Nel 1850 Karl Marx scrisse “fare la rivoluzione permanente fino a quando tutte le classi, più o meno abbienti siano state cacciate dalle loro posizioni dominanti”. Se sostituissimo rivoluzione con guerra civile e classi con gruppi di potere, avremmo la descrizione del Tagikistan del dopo indipendenza. Il Tagikistan è stato l’unico paese dell’Asia Centrale a precipitare nella guerra civile dopo la sua indipendenza, una guerra durata dal 1992 al 1997. Sono passati ormai più di 20 anni da quegli anni sanguinosi, ma le tragiche conseguenze sembrano essere presenti nel paese ancora oggi.
La geografia
Chiunque abbia viaggiato in Tagikistan, sa che il paese è composto da una serie di vallate che restano isolate per lunghi periodi ogni anno. Altitudine e passi innevati, questo non ha certo favorito la comunicazione tra le diverse regioni del paese, portando alla nascita di forti appartenenze locali. Ad uno primo sguardo la guerra civile tagika sembra questo, una lotta di potere tra interessi regionali: da un lato i clan dominati della zona di Leninabad (oggi Khujand) e Kulob e dall’altro milizie armate dirette da Gharm e dalla regione autonoma del Gorno-Badakshan, ossia il Pamir.
In realtà se guardiamo oltre il velo geografico, scopriamo un lato politico profondamente interessante. A contestare un potere centrale composto da ex dirigenti comunisti troviamo una coalizione unita di forze liberal democratiche, islamiche e autonomiste (nel caso del Pamir la geografia sembra avere davvero un peso molto forte). Una coalizione eterogenea nata dalla mancanza di libera espressione del Tagikistan sovietico, con la presenza del Partito della Rinascita Islamica, prima del suo scioglimento l’unico partito islamico centrasiatico legalmente riconosciuto.
Il caos
La guerra civile tagika affonda le sue radici nell’insoddisfazione per quella che allora era l’Unione Sovietica, trovando la scintilla nell’elezione a presidente della neonata repubblica di Emomali Rahmon. Come nel resto dell’Asia Centrale, la continuità era data dalla presenza degli stessi gerarchi alla guida del paese, ma in Tagikistan erano presenti troppi interessi divergenti. La Russia da subito sostenne le forze governative con un centro di comando in Uzbekistan, non sono forse un caso i forti legami operativi con il Tagikistan dell’estremista Movimento Islamico dell’Uzbekistan.
Se le forze di governo guardavano a Mosca, l’opposizione tagika guardava in Afghanistan. Dal confine afghano arrivarono in soccorso le forze più diverse, se da un lato ad appoggiare l’opposizione del Tagikistan c’era il comandante Massoud, dall’altro c’erano i talebani ed Al-Qaeda. Questo spiega perché nel contesto regionale, Dushanbe sia stata la capitale più ostile al fenomeno dell’estremismo islamico. Se a mettere nel 2015 fuori legge il Partito della Rinascita Islamica sia stata la paura del fondamentalismo oppure un più prosaico calcolo politico non è dato sapere.
Il Tagikistan oggi
Quale che sia la verità, la guerra civile tagika fu un dramma per la popolazione. Il 10% dei tagiki si trovo sfollato nel proprio paese, mentre quasi centomila fuggirono in Afghanistan. Ancora oggi il paese è diviso, recente è nel Pamir la repressione degli oppositori politici sfociata nel sangue. Il Pamir è, come detto, forse l’unica area del paese che per storia e cultura ha istanze realmente autonomiste. Ovviamente non accolte dal potere centrale, esattamente come avviene in Uzbekistan nel caso del Karakalpakstan. Ad oggi il paese sembra ancora lontano da una memoria condivisa.