La Serbia e i BRICS, strategia o provocazione?

In occasione del XV vertice dei paesi BRICS, tenutosi a Johannesburg dal 22 al 24 agosto, è stata sollevata in Serbia la questione di una possibile quanto strategica adesione del paese a questa alleanza economica internazionale. Ma se la Serbia vanta già ottimi rapporti con i due principali membri BRICS – Cina e Russia – perché caldeggiare questa adesione?

Serbia e BRICS: un nuovo Est-Ovest?

Qualche giorno fa è stata presentata al parlamento serbo una risoluzione per chiedere l’adesione della Serbia al blocco BRICS, in alternativa all’adesione del paese all’Unione Europea. La risoluzione arriva dopo l’annuncio emanato a Johannesburg dai membri BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, da cui l’acronimo) di voler accogliere sei nuovi membri, accelerando la spinta del blocco verso un rimpasto dell’ordine mondiale. Secondo la risoluzione, l’adesione al blocco BRICS confermerebbe l’impegno della Serbia per la creazione di un ordine mondiale “più giusto“, basato sul rispetto incondizionato del diritto internazionale, limitando al tempo stesso l’egemonia occidentale, promuovendo la sicurezza e la stabilità e assicurando la riforma fondamentale delle istituzioni finanziarie internazionali per l’eguale sviluppo economico di tutti gli Stati. 

La proposta arriva dal capo dell’intelligence serba Aleksandar Vulin e fa eco alla volontà del suo partito, il Movimento dei socialisti (PS), partner minore del Partito progressista serbo (SNS), oggi al governo. Nel luglio scorso Vulin, non nuovo a posizione estremiste, nazionaliste ed anti-occidentali, è stato sottoposto a sanzioni da parte degli Stati Uniti, in quanto implicato nella criminalità organizzata transnazionale, nel traffico illegale di stupefacenti e nell’abuso di cariche pubbliche a favore della Russia. La proposta di adesione ai BRICS si rifà a quanto dichiarato da Milorad Dodik, presidente della Republika Srpska (l’entità serba di Bosnia) nel suo ultimo affondo anti-occidentale; Dodik, infatti, si è espresso a favore di una potenziale adesione della Bosnia al blocco BRICS, un’adesione che per il paese sarebbe, sempre secondo Dodik, “più accessibile e più veloce” rispetto alle procedure per diventare membro UE.

L’evoluzione del contesto geopolitico globale, con la guerra in Ucraina e la crisi di Taiwan, mostrano un’evidente escalation delle frizioni tra Oriente e Occidente. Questo, unito al fatto che non esiste alcun criterio chiaro o predeterminato (fatta eccezione per il no alla “politica delle sanzioni” contro la Russia) per l’arruolamento dei nuovi paesi nella cerchia BRICS, e al fatto che le enormi diversità tra gli stessi paesi passano in secondo piano rispetto alla volontà di adesione, dimostrano in maniera lampante come l’alleanza BRICS non abbia esclusive finalità economiche, ma stia diventando una realtà sempre più politica.

Cosa vuole la Cina?

Questo nuovo scenario Est-Ovest è stato ribadito dal presidente cinese Xi Jinping durante il suo intervento al vertice di Johannesburg, che alcuni osservatori hanno definito “l’incitamento più palese ed esplicito” ai membri BRICS ad affrancarsi dall’Occidente. Insomma, Pechino sembra voler espandere i paesi BRICS per rafforzare la propria posizione nello scacchiere internazionale in vista di un possibile conflitto su più ampia scala.

In barba alla presunta “multipolarità” che aleggia quando si parla di BRICS, qui pare piuttosto di assistere a un nuovo tentativo di spartire il mondo in due blocchi, e di scongiurare la potenziale creazione di un triblocco neutrale, come avvenne a suo tempo con i “Paesi non allineati”. Convinta di aver imparato la lezione della Guerra fredda, Pechino crede forse di avere i mezzi necessari per evitare la sconfitta subìta da Mosca a suo tempo, quando l’URSS perse la battaglia economica con l’Occidente. Ed è per questo che la Cina sta cercando di rafforzare la propria influenza commerciale nel mondo: l’obiettivo è surclassare gli Stati Uniti, suo principale avversario.

Ma qui si tratta anche, e soprattutto, di un tentativo da parte dei regimi antidemocratici di Cina e Russia di porre un freno all’espansione della libertà e della democrazia nel mondo. E il presidente cinese lo sta facendo attraverso l’economia, cercando cioè di condurre quanto più mondo possibile sotto il controllo della Cina, nel tentativo di impedire – o quanto meno rallentare – la democratizzazione globale. 

Il cavallo di Troia dei Balcani

In tal senso la Serbia fornisce un ottimo esempio: la Cina infatti investe da anni miliardi di euro nel paese balcanico, soprattutto da quando Aleksandar Vučić è al potere. Viste globalmente, le ambizioni di Pechino nei Balcani occidentali sono di facile lettura: l’obiettivo è quello di raggiungere l’Europa centrale e occidentale. Ma il discorso Cina-Balcani è molto più complesso.

Ad ogni modo, nessun rappresentante serbo era presente a Johannesburg. Alla vigilia delle recenti dichiarazioni del presidente del Consiglio europeo Charles Michel sull’allargamento dell’UE nei Balcani occidentali, il Ministro degli esteri serbo Ivica Dačić ha infatti spiegato che una candidatura della Serbia ai BRICS non è compatibile con la sua candidatura per l’adesione all’UE.

Ma, dati alla mano, se la Serbia non è nei BRICS, i BRICS sono in Serbia: investimenti dalla Cina, materie prime dalla Russia, finanziamenti dagli Emirati. A differenza degli altri paesi BRICS, la Serbia ha candidamente ammesso che gode già di “relazioni fraterne e di un’amicizia d’acciaio” con Cina e Russia, e per questo non è interessata a stipulare un’alleanza formale. D’altro canto, Russia e Cina hanno bisogno della Serbia così com’è, e dov’è: alle porte dell’Unione Europea, con una democrazia sempre più in bilico in cui i diritti umani sono fortemente limitati. Una sorta di cavallo di Troia dei Balcani alle porte dell’Unione, come temeva qualche anno fa Johannes Hahn, ex commissario per l’Allargamento.

Foto: dailymaverick.co

 

Chi è Paolo Garatti

Storico e filologo, classe 1983, vive in provincia di Brescia. Grande appassionato di Storia balcanica contemporanea, ha vissuto per qualche periodo tra Sarajevo e Belgrado dove ha scritto le sue tesi di laurea. Viaggiatore solitario e amante dei treni, esplora l'Est principalmente su rotaia

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