Approda al lido di Venezia l’opera di Andrej Tarkovskij più censurata, finalmente nella versione integrale.
Se c’è un film di Andrej Tarkovskij sul quale girano leggende metropolitane è Andrej Rublev. Censurato dall’Unione Sovietica, il lungometraggio ha visto la pubblicazione di varie versioni, al punto che, per molto tempo – grazie ad un errore di presentazione compiuto dall’azienda statunitense Criterion – si riteneva che la versione commercializzata con il titolo “La Passione di Andrej”, da circa tre ore e mezza, fosse quella più affine alla visione originale del regista russo, mentre è più comune imbattersi nella versione censurata dalle autorità sovietiche. Il figlio, Andrej A. Tarkovskij (già recatosi al lido nel 2019 alla regia di Cinema Prayer, un documentario sul padre), chiarisce la questione presentando alla Mostra del Cinema di Venezia di quest’anno la “Director’s Cut”, restaurata in 4K a cura della Laser S. Film di Roma a partire dai negativi che lo stesso Tarkovskij padre ha trafugato in Italia durante il suo esilio. Se la versione approvata dalla censura sovietica e finora diffusa era di 183 minuti, la director’s cut arriva a 191, più breve de La Passione che non è altro che il montaggio grezzo iniziale del film.
A prima vista, l’esperienza di visione sembra identica. Eppure, gli otto minuti aggiunti, sparpagliati in frammenti tra le varie scene, diventano cruciali. Se l’epopea del monaco ortodosso, pittore di icone Andrej Rublev, nel montaggio approvato era di natura prettamente spirituale, il personaggio di Rublev, nella prima metà del film, spesso esprime dei giudizi facilmetne interpretabili come politici: critica la società, che rende ignorante la plebaglia, esprime fortemente il senso di oppressione dei Boiardi che in realtà era percettibile nel montaggio censurato, ma in modo molto implicito. La scena della fusione della campana è costellata da frasi e sentenze in cui i personaggi esprimono la loro preoccupazione per quanto riguarda le conseguenze del loro fallimento. Non è difficile vedere un parallelo con il terrore dei gulag durante l’era sovietica – e di conseguenza comprendere il perché certe scene erano inaccettabili ai vertici.
Inoltre, nel montaggio definitivo ritornano alcune inquadrature che hanno suscitato controversie già in passato per quanto riguarda la violenza sugli animali, tra cui l’inquadratura che vede una mucca in fiamme durante la scena della razzia della città di Vladimir. Secondo le leggende la mucca era coperta da un telo ignifugo, ma il cavallo che cade da un soppalco (presente anche nella versione censurata) è perito durante le riprese. Anche la scena in cui Kirill bastona il proprio cane quando abbandona il convento, nella prima parte del film, è più violenta, a rendere il personaggio ancora più negativo (si sottolinea che Tarkovskij era un amante dei cani – è noto che il cane che compare in Stalker, un randagio trovato sulla location, è stato in seguito adottato dallo stesso regista).
La qualità 4K del film è davvero spettacolare: il precedente restauro risaleva ai primi 2000, ed ormai era obsoleto rispetto alle nuove tecniche che adottano il 4K. Quasi certamente, la Criterion (prima o poi) curerà una riedizione in 4K del capolavoro troncato per oltre cinquant’anni e che finalmente viene alla luce nella sua forma corretta.