Il 18 agosto, il parlamento di Skopje ha avviato un dibattito sulla riforma costituzionale che dovrebbe aprire la strada all’adesione della Macedonia del Nord all’Unione europea. Per ora, mancano i numeri e il voto parlamentare è stato rinviato.
Ne abbiamo parlato a più riprese. Il cammino verso l’integrazione europea per la Macedonia del Nord è strettamente legato alla risoluzione dei conflitti politici con la Bulgaria. Da anni, Sofia reclama un maggiore riconoscimento e tutela della minoranza bulgara sul territorio macedone, rifiutando inoltre molti aspetti dell’identità linguistica e nazionale della Macedonia del Nord (si pensi a tutto il dibattito attorno all’eroe nazionale condiviso, Goce Delčev).
Da qui, la “Proposta Francese” del 2022, redatta a Parigi e sostenuta dall’UE che prevede l’apertura dei negoziati con Skopje a seguito di alcune modifiche costituzionali che accolgano le richieste bulgare. Dopo che proposta era stata approvata dal parlamento macedone – voto contrassegnato da proteste e manifestazioni pubbliche, oltre che dal boicottaggio da parte dell’opposizione del partito conservatore macedone VMRO-DPMNE – gli emendamenti alla Costituzione previsti dalla proposta sono stati recentemente avvalorati dalla commissione per gli affari costituzionali del parlamento e, dal 18 agosto, si sono svolte le discussioni plenarie per il voto.
I risultati del confronto
Il riconoscimento della minoranza bulgara e dei suoi diritti sul territorio macedone all’interno della Costituzione richiede il voto favorevole di due terzi del parlamento – 80 deputati su 120. Una maggioranza di cui l’attuale governo di centrosinistra del SDSM, guidato dal premier Dimitar Kovačevski, non dispone per un soffio, dato che mancano solo otto voti e al momento l’opposizione resta sul piede di guerra.
Il discorso nazionalista di Hristijan Mickoski, leader di VMRO-DPMNE, attorno al pericolo di “bulgarizzazione” della società macedone come compromesso per il processo di integrazione, ha confermato lo stallo di fronte alle riforme. Un lavoro sulla Costituzione che, secondo Mickoski, deve essere accettato dai macedoni, non da albanesi, bulgari, o altre minoranze sul territorio. L’opposizione aveva perciò richiesto, per l’inizio delle discussioni parlamentari, le dimissioni dal governo dei ministri appartenenti all’Unione Democratica per l’Integrazione (DUI), principale partito che rappresenta la minoranza albanese. Richiesta parzialmente accolta a fine luglio da Ali Ahmeti, leader del partito, che ha aperto al ritiro della sua delegazione dal governo, ma soltanto dopo la votazione sulle modifiche costituzionali. Soluzione che non ha soddisfatto Mickoski, per il quale le dimissioni avrebbero dovute essere immediate e irrevocabili.
Le modifiche costituzionali vengono interpretate dall’opposizione e da molti macedoni come una minaccia alle fondamenta del paese, per cui non solo l’opposizione ha fatto appello all’UE per maggiori garanzie che “confermino inequivocabilmente l’identità, la cultura, la tradizione e la lingua macedone”, ma ha sollevato anche la questione della reciprocità. La Bulgaria deve, sostiene l’opposizione, a sua volta riconoscere e tutelare la minoranza di cittadini macedoni sul suo territorio. Minoranza la cui esistenza viene negata da Sofia: come riportato da Balkan Insight, negli ultimi due decenni la Bulgaria ha perso molteplici cause a Strasburgo, riguardanti denunce di attivisti macedoni locali impossibilitati a registrare alcuna associazione o partito politico sul suolo bulgaro.
Il centrosinistra alla guida del Paese ha commentato queste mosse definendole irresponsabili di fronte al sogno europeo e alle possibilità che la Macedonia del Nord potrebbe avere con l’approvazione degli emendamenti. L’apertura dei negoziati nel 2022 con le condizioni poste dalla Bulgaria era stata infatti commentata dal premier Kovačevski come un momento storico e di grande valore per il paese. Il tutto mentre da Bruxelles arrivano segnali contrastanti: mentre il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha parlato apertamente del 2030 come orizzonte temporale per un nuovo allargamento, la Commissione europea ha fatto sapere che il processo non ha una data di scadenza e i paesi candidati entrereanno quando saranno pronti.
Agosto: un “mese caldo” in Macedonia del Nord
Lo stallo è evidente. Il governo sostiene che i macedoni non andranno ad elezioni anticipate, come chiesto dal VMRO, e ha rimandato il voto parlamentare a novembre. In ogni caso, le elezioni sono programmate per la primavera dell’anno prossimo e, secondo le proiezioni, il governo potrebbe uscirne sconfitto.
Che il discorso nazionalista stia prevalendo lo confermano un paio di episodi recenti. La visita del premier kosovaro Albin Kurti a metà agosto nei comuni di Cair e Tetovo, a maggioranza albanese, contrassegnata dall’esposizione di simboli albanesi e senza il coinvolgimento delle autorità macedoni, ha scatenato un’ondata di reazioni. In risposta a quella che è stata percepita come una provocazione nazionalista albanese, il ministero degli Interni di Skopje ha avviato un procedimento penale contro i sindaci dei due comuni visitati da Kurti per violazioni legate all’uso dei simboli dello Stato.
A distanza di pochi giorni, la “tempesta estiva” macedone ha accusato un nuovo colpo. Dalla Serbia, il ministro della Difesa Miloš Vučević si è esposto con una dichiarazione a condanna della Macedonia del Nord e del Montenegro, in particolare, di aver promosso l’indipendenza del Kosovo: «Avete sbagliato e l’errore vi colpirà» ha tuonato Vučević, evocando l’esempio dell’Ucraina. I due paesi accusati si sono difesi confermando la via della cooperazione nelle relazioni con gli stati della regione, chiedendo un chiarimento su quelle che, a conti fatti, sono state lette come delle minacce – poi edulcorate dallo stesso Vučević.
L’opinione pubblica macedone è dunque messa alla prova ancora una volta su temi identitari e nazionali, che si accompagnano ad un crescente senso di smarrimento e di disincanto, ben rappresentato negli ultimi anni dal fenomeno dell’emigrazione. Il voto parlamentare sugli emendamenti costituzionali e’ l’ennesimo, cruciale passaggio in quel percorso verso il “sogno europeo” che sembra non realizzarsi mai.
Foto: BIRN