Uscita per Miraggi Edizioni la prima traduzione del capolavoro di Eduard Bass, ambientato nella neonata Repubblica cecoslovacca.
Esce, per i tipi di Miraggi Edizioni, nella collana NováVlna e nella traduzione italiana del sottoscritto, un grande classico della letteratura ceca che, da oltre un secolo, affascina lettori giovani e adulti. Una coppia di poveri contadini, i Klapzuba, una casupola ai margini del bosco e undici esuberanti figli maschi. È così che si presenta al lettore Gli invincibili undici di papà Klapzuba, la prima traduzione italiana della Klapzubova jedenáctka, il capolavoro di Eduard Bass, al secolo Eduard Schmidt. Figura eccentrica e poliedrica, Bass, nato nel 1888 a Praga, dove morì nel 1946, fu prolifico scrittore di romanzi d’appendice, giornalista, pamphlettista oltreché drammaturgo, attore, cabarettista, canzoniere e cantante.
Un profilo peculiare rintracciabile nel linguaggio molto vivace, nei giochi di parole, nella ricchezza quasi cinematografica dell’immaginario espositivo nonché nel ritmo incalzante e dinamico della narrazione. Uscito inizialmente nel 1922 come feuilleton del quotidiano nazionale Lidové noviny (Giornale popolare), riscosse un tale successo che, già nello stesso anno, fu ripubblicato come libro. Prima opera maggiore dell’autore destinata a un grande successo, questo romanzo vede la luce dopo soli quattro anni dalla fondazione della nuova Repubblica cecoslovacca, nata sulle ceneri dell’Impero Austro-Ungarico.
L’entusiasmo di un nuovo calcio d’inizio
È, quindi, nel fermento post-bellico che occorre anzitutto inquadrare l’energia degli undici ragazzi di papà Klapzuba e la loro voglia di giocare e di mettersi in gioco: le stesse della neonata Repubblica cecoslovacca. Fortunato ed efficace pretesto narrativo per raccontare, attraverso valori e virtù ma anche contrasti e bassezze del mondo sportivo, quell’agognata e, infine, conquistata, indipendenza nazionale. Punto di arrivo, grazie alle abili negoziazioni politiche dei tre padri fondatori Tomáš Garrigue Masaryk, Edvard Beneš e Milan Ratislav Štefánik, del patriottismo ceco e slovacco di epoca risorgimentale. Un paese giovane, figlio dell’assetto postbellico, suggellato dal Trattato di Versailles, e della necessità dei due “piccoli” popoli di unirsi per farsi “più grandi”, a fronte di vicini pericolosamente inclini all’espansionismo e, a livello internazionale, di creare un cuneo più robusto contro futuri revanscismi nazionalistici delle confinanti potenze sconfitte. Che, nonostante tutto, non si faranno attendere e porteranno al secondo conflitto mondiale. E un Paese “nuovo” giacché, seppur entrambi parte dell’Impero Austro-Ungarico, da secoli cechi e slovacchi afferivano a corone e culture politiche assai diverse: austriache i primi e ungheresi i secondi. Un Paese, quindi, alla ricerca di questa nuova identità, desideroso di confrontarsi con il mondo mostrando tutte le sue qualità e trasposto in un romanzo che, a suo modo, è anche operazione di mitopoiesi in fieri, ovvero la genesi di una nuova mitologia e pedagogia nazionale sulla falsariga di roboanti imprese calcistiche.
Palloni invece di baionette
Ecco, quindi, le grandi trasferte calcistiche di una squadra favolosamente invincibile, riflesso di un popolo che, inebriato della libertà e dell’indipendenza appena acquisite, anela l’agone sportivo quale, nella felice interpretazione di Bass, mezzo pacifico e costruttivo di confronto tra le nazioni. Ben memore dell’immane catastrofe che la Grande Guerra aveva lasciato dietro di sé. Si pensi, per esempio, al delizioso dialogo tra papà Klapzuba e il re d’Inghilterra in cui il primo adombra alla testa coronata un mondo ideale in cui le controversie internazionali vengono risolte, anziché con le baionette, con il pallone. Un antimilitarismo, qui declinato nella competizione sportiva quale surrogato e superamento dell’aggressività bellicista, che ritroviamo anche nel celeberrimo romanzo dello scrittore ceco Jaroslav Hašek, amico e compagno di bevute di Bass e autore de Il buon soldato Švejk. Ma anche un sottile sfottò all’istituto monarchico stesso, che vedeva nell’imperatore austriaco Francesco Giuseppe l’ostacolo principale all’emancipazione dei popoli assoggettati nel suo impero multietnico.
Nel romanzo Bass immagina, quindi, una fantasmagorica squadra formata da questi undici giovani fratelli che, retti da passione, fratellanza, onestà e reciproca lealtà, viaggiano per il mondo sconfiggendo una squadra blasonata dietro l’altra con roboanti prestazioni e improbabili punteggi. “Sono questi, ordunque, i gloriosi campioni mandati dalla piccola e ambiziosa repubblica nel cuore dell’Europa a conquistare la fama in tutto il mondo! Che pittoresca idea quella di undici fratelli capaci di trasformare i loro innati sentimenti di fratellanza in una magnifica combinazione e in una squadra affiatata! A prima vista, non sembrano chissà cosa”. Così Bass vede la neonata Repubblica: giovane, forte, determinata, sconosciuta al mondo nonché essa stessa del mondo poco pratica, ma curiosa, scaltra, coraggiosa, al limite dell’impudenza, allegra, fiduciosa e, proprio come gli Invincibili undici di papà Klapzuba, sempre pronta a districarsi magistralmente, senza mai arrendersi, da ogni strano impiccio e ostacolo che gli avversari gettano sulla loro strada.
Mens sana in corpore sano
Qualità e virtù moralmente codificate e sancite da Masaryk, il grande, quasi mitologico, presidente e padre fondatore della Repubblica cecoslovacca, che, secondo lo spirito del tempo, trovavano anche espressione fisica nello sport. Vale la pena ricordare, in tal senso, il Sokol (in italiano Falco), il movimento di ispirazione nazionalista fondato a Praga già nel 1862 che, nato come società di ginnastica, si proponeva di educare, istruire e coltivare il popolo ceco alla consapevolezza della propria identità nazionale. “Mens sana in corpore sano”, dunque, ove la salute, fisica e mentale si declinava anche in attività politica e formativa, sullo sfondo della grande diffusione di attività ricreative, culturali e sportive, rese accessibili alle grandi masse, che, oltre a coinvolgere l’individuo nell’edificazione della nuova società repubblicana, volevano anche scacciare il ricordo ancora vivo degli orrori bellici.
Una storia che parla a tutti
La profondità del messaggio e l’importanza dei valori alla base dell’opera di Bass, unitamente al linguaggio tra l’arcaico e il faceto e alle gesta rocambolesche dei ragazzi di Klapzuba, fanno di questo romanzo un libro con più chiavi di lettura, come d’altronde suggerito dal sottotitolo Una storia per grandi che piccini. Tipicamente fiabesco, d’altronde, è anche lo stesso impianto narrativo: un eroe buono, qui nella forma collettiva della squadra, guidato e coadiuvato da un saggio consigliere, papà Klapzuba, affronta mille traversie, insormontabili ostacoli e avversari scorretti inclusi feroci cannibali, che supera grazie alle proprie qualità morali e fisiche. L’epos fiabesco educativo, rivolto al pubblico più giovane, risulta mitigato e, quindi, appetibile per lettori più maturi, dalla sfumatura umoristica e dall’ironia sottesa. Una storia che parla a tutti i lettori per offrire loro una lezione fondamentale: credere in se stessi e nelle proprie qualità, non arrendersi mai alle avversità, ingegnarsi per superare gli ostacoli, essere giocatori leali e fedeli e non temere nessuna meta troppo ambiziosa.
Il sogno democratico di un paese ambizioso
Come, appunto, quella Cecoslovacchia del periodo interbellico, in Cechia nota come la Prima Repubblica, che, per vent’anni, ovvero dalla fondazione nel 1918 fino all’occupazione nazista del 1939, riuscì, ancorché politicamente giovane e “inesperta”, a resistere alle pressioni di nefaste ideologie e dittature. Improbabile isola felice circondata da regimi autoritari, o in procinto di diventarlo, strano accidente della Storia che voleva quasi tutta l’Europa, specie quella centro-orientale, preda di nazionalismi e totalitarismi, pericolose ignizioni delle macerie ancora ardenti della prima Guerra mondiale, la Cecoslovacchia si dimostrò capace di dar vita a un paese democratico e liberale con una delle economie più floride e dinamiche del mondo. Si pensi, per esempio, all’impero calzaturiero Baťa, tutt’ora esistente. Tanto non bastò, tuttavia, a reggere l’urto dell’espansionismo tedesco che per sei anni trasformò il paese in un protettorato, leggasi stato fantoccio, deputato alla produzione bellica per il Reich. Eppure, evidentemente tanto bastò per affondare quelle radici da cui poi, caduto nel 1989 anche l’altro totalitarismo, rosso, riprendere la costruzione del paese libero e democratico che conosciamo oggi.
E il triste epilogo
Il libro, inoltre, si pregia delle splendide illustrazioni originali di Josef Čapek, pittore e disegnatore ceco, fratello del celebre scrittore, giornalista e drammaturgo Karel Čapek. Tragico il destino di entrambi i fratelli Čapek, epilogo simile a quello della Prima Repubblica della cui élite intellettuale entrambi furon figure di spicco. Josef, infatti, morirà nel 1945, poco prima della fine della guerra, nel campo di concentramento di Bergen-Belsen preceduto, nel giorno di Natale del 1938, dal fratello minore, Karel, all’indomani di quel funesto Trattato di Monaco che vide la Cecoslovacchia costretta a cedere i Sudeti germanofoni al Reich decretando, così, la fine della gloriosa esperienza politica, economica e sociale della Prima repubblica, vera protagonista, per interposta squadra sportiva, di questo romanzo.
Un libro, insomma, che rimane ancora attuale a fronte non solo delle incertezze sociali e politiche che le società democratiche stanno vivendo, attanagliate dalla sensazione di progressivo accerchiamento da parte delle forze autoritarie e illiberali, ma anche della rinnovata importanza e attenzione che oggi si dà allo sport e, più in generale, all’attività fisica quale strumento di benessere sia per il corpo che per la mente, altresì atto a tonificare e temprare l’individuo moderno chiamato a difendersi dalle complesse sfide del mondo contemporaneo.