Nella Bulgaria di Zdravka Evtimova, dove esistono solo violenza, criminalità, povertà e una certa nostalgia rassegnata.
Radomir, Bulgaria. Un piccolo comune nella regione di Pernik, vicino alla capitale Sofia, è il teatro deprimente dove Zdravka Etimova mette in scena un racconto crudo e ossessivo. “La città della gioia e della pace” (Besa Muci, 308 p.), uscito in Bulgaria nel 2007 e comparso in Italia solo da qualche anno, è uno dei più bei romanzi sul deserto post-socialista.
Il deserto non è soltanto un’immagine figurativa: proprio all’inizio del romanzo, si riflette sulla possibile desertificazione del comune di Radomir, drenato inesorabilmente dei suoi lavoratori. Il libro anticipa quindi quella che attualmente è la più grande sfida della Bulgaria, ovvero il rapido crollo demografico. L’immagine dei lavoratori stagionali, in particolare dei raccoglitori d’olive in Spagna, in Grecia o a Cipro ricorre ogni dozzina di pagine, così come tutta una serie di piccole ossessioni che l’autrice ripropone di continuo, scandendo il ritmo del romanzo a suon di piccole schizofrenie e di immagini banali quanto eloquenti.
Il romanzo gira esclusivamente attorno alla vita di alcune donne, mentre gli uomini sono ridotti a semplice strumento riproduttivo o di piacere. Di queste donne narra momenti di vita, senza seguire alcun filo cronologico o consistenza tematica. Ci sono le sorelle Binna e Sinna: la prima è la ragazza più bella di Radomir, ovvero della Bulgaria, d’Europa, del mondo, come ripete spesso Evtimova, quasi a segnalare l’orizzonte ristretto ma completo dei cittadini del piccolo comune; la seconda morde e aggredisce tutti, grida fiera alla madre adottiva che “coi tuoi soldi ho comprato una bottiglia e me la sono scolata. Un gruzzolo messo da parte in tre mesi! Ho bevuto bevande costose, mangiato pasti costosi e incontrato ragazzi costosi. Alla fine mi faceva male là sotto per colpa di quegli stalloni”.
C’è la madre adottiva, Vancha, che rivende la spazzatura degli europei, atterrata in qualche modo – spesso tramite suo figlio – nella pattumiera cui è ridotta la Bulgaria e che risponde alla figlia adottata “solo i muli nei campi non ti hanno montato”. C’è soprattutto Dana la Sterile (che avrà un figlio), la donna più alta di Radomir ovvero della Bulgaria e d’Europa, che ricalca in maniera verosimile la figura dei baronetti di villaggio di questa parte di mondo: ricchissima, si prodiga in regali, paga i suoi amanti, possiede quasi tutti i commerci del comune. In uno sgabuzzino tiene gelosamente Tano, ubriacone e padre di sua figlia che ha l’unico merito di essere più alto di lei – e di conseguenza essere l’uomo più alto di Radomir, ovvero della Bulgaria e d’Europa. E c’è la sua esperta capo e consigliera Isabella, che tenta in tutti i modi di far sesso con Dana e che ha imposto un culto assoluto di tutto ciò che è italiano in casa della padrona.
Volutamente volgare e violento, il romanzo vira facilmente al tragicomico; proprio questo, assieme alle immagini che ricorrono ossessive e all’ambientazione isolata di campagna, ricordano molto la grande letteratura dell’ungherese László Krasznahorkai. “La città della gioia e della pace” segnala che i traumi nella regione vengono pian piano processati, riprodotti artisticamente e quindi elaborati; non sorprende, quindi, che quest’angolo di Europa ci abbia regalato alcuni tra i più grandi romanzi contemporanei.
Foto: Венцислав Владимиров, Wikimedia Commons