Prigozhin

Il golpe di Evgenij Prigozhin, il potere di Vladimir Putin

Ricostruiamo ciò che è successo con Prigozhin, chef di Putin, capo della Wagner, eroe di guerra, infine aspirante golpista. Quali gli effetti della sua azione sul potere di Vladimir Putin? 

Il piano di Prigozhin

Dunque, alla fine, Prigozhin è arrivato in Bielorussia. Dalla rivolta con cui i suoi uomini erano marciati fino a qualche centinaio di chilometri da Mosca non si avevano avuto più notizie di lui per qualche giorno. Successivamente è riemerso dal buio a cui sembrava condannato per illustrarci con una certa spavalderia le ragioni della sua famigerata “marcia della giustizia”: prevenire lo scioglimento della Wagner e richiamare i vertici militari – Shoigu e Gerasimov – a rendere conto del proprio fallimentare operato.

Per di più, ha affermato di essersi fermato per evitare un bagno di sangue fratricida, ma più probabilmente è stata la paura a frenarlo – effettivamente sarebbe andato incontro a morte certa – dal momento in cui ha colto che le possibilità di successo del suo ammutinamento erano minimali. Ciò non toglie che almeno un risultato sia stato raggiunto: la marcia ha scalfito il potere verticale di Putin, dimostrando che il grande capo non è  intoccabile.

Il leader della Wagner ha fatto quello che ha fatto per salvarsi la pelle. Era divenuto nel tempo un personaggio scomodo perché troppo mediatico e potente ( tra le altre cose, può anche vantare per sé la vittoria a Bakhmut, la prima in 10 mesi per i russi), poco volenteroso di piegarsi ai dettami del ministero della Difesa, il quale chiedeva ai Wagner di entrare sotto contratto nei ranghi dell’esercito regolare. A un certo punto ha temuto per la sua incolumità, la sua vita poteva essere preda dei piani mafiosi del Cremlino.

Prigozhin, del resto, aveva pronunciato delle verità scomode: ha parlato del numero dei morti russi – circa 100’000 – ha condannato il modo in cui la Russia sta conducendo la guerra, ha smascherato la bugia secondo cui questo è un conflitto causato dalle mire imperialistiche della Nato, organizzazione che secondo la propaganda ufficiale si servirebbe dell’Ucraina per una guerra di procura. Se un normale cittadino russo pronunciasse tali sentenze sarebbe condannato ad anni di prigione. Tuttavia, è bene ricordare che Prigozhin non ha mai spinto per un ritiro russo dall’Ucraina. Questa guerra s’ha da fare, ma probabilmente il leader della Wagner si è reso conto che è ormai impossibile da vincere, di conseguenza ha cercato di trarne almeno un vantaggio personale.

Ha, dunque, provato “il tutto per tutto”, come si suol dire, spinto da disperazione, ma anche da un preciso disegno politico-militare. Da ciò che è emerso, infatti, l’azione di Prigozhin appare essere un tentato “golpe”, un attacco non solo ai vertici militari, ma al centro del potere politico in Russia, Vladimir Putin.

Il Presidente russo è sembrato debole, ma forse si è semplicemente ritirato dietro le quinte, in un atteggiamento tipico di uno zar. Alla fine il “rivoluzionario” ha trovato una via di fuga, non è stato sconfitto (non sul campo), sebbene Putin lo avesse descritto come un “traditore”, autore di una “pugnalata alla schiena”. In realtà, il presidente non aveva nulla da guadagnare con una reazione violenta: molti soldati sarebbero stati uccisi e le conseguenze sarebbero state imprevedibili. Per di più, non si deve dimenticare che nel tempo i membri della Wagner sono stati descritti dalla propaganda ufficiale come degli “eroi”. Toccarli poteva essere controproducente.

A concludere un accordo con Prigozhin il fido Lukashenko, il quale lo ha spinto a fermarsi. In cambio, una moratoria sul procedimento penale contro la Wagner, che quasi sicuramente abbandonerà il territorio ucraino.

Una crepa nel potere personale di Putin?

E per quanto riguarda Vladimir Putin? Difficile dire se da questo episodio ne esca veramente indebolito. Il suo potere è personale, chiuso, ma gli insuccessi sul campo pesano, non possono non pesare. Inoltre, Prigozhin ha preso Rostov sul Don – non proprio una piccola città – in brevissimo tempo e senza lottare, dunque senza incontrare una resistenza armata dello Stato. È un successo che fa riflettere e solleva delle domande sul sistema di potere in Russia, complice anche l’appoggio popolare dimostrato da qualche sostenitore mentre le truppe Wagner lasciavano Rostov (consenso verso Prigozhin, sentimento anti-élites, rifiuto della guerra, ricerca di un nuovo capo-popolo?). Un vero e proprio monopolio della forza non é sembrato esserci, ma Putin a questo ha risposto, affermando che é lo Stato russo che ha finanziato pesantemente la potenza di fuoco degli uomini di Prigozhin. Non certo un’ammissione di colpa, bensì una dichiarazione finalizzata a convincere tutti che gli strumenti del potere sono ancora saldi in mano sua.

Tuttavia, Prigozhin è in esilio, la Wagner appare ridimensionata, la guerra di terrore continua con scenari inquietanti. Questo ultimo punto è da sottolineare, Putin poteva benissimo permettersi di negoziare con Prigozhin, ma ciò che non può concedersi é una sconfitta in Ucraina; ciò comporterebbe quasi certamente la fine del suo regime, per cui dovrà almeno mantenere i territori fino ad ora acquisiti, a qualunque costo.

Altro aspetto da segnalare é che il generale Surovikin – il quale inizialmente fu uno dei pochi ad esporsi per chiedere a Prigozhin di interrompere la sua marcia e che si é poi scoperto essere un membro della Wagner – é stato arrestato , o forse solo interrogato, per aver scelto il “fronte Wagner” durante la rivolta. Sarebbe la prova che svela la reale natura della rivolta del leader della Wagner: non una semplice azione dimostrativa, bensì una lotta di potere, vinta per ora da Shoigu, il ministro della Difesa, il quale vede le milizie Wagner e il loro leader – che lo aveva pesantemente criticato – uscire di scena.

Intanto, Putin richiama all’unità il popolo russo, ringrazia le forze armate per avere evitato una guerra civile – ricordando i fatti successivi al 1917, argomento studiato per colpire la sensibilità di molti russi  cerca, in maniera alquanto clamorosa, l’abbraccio con la sua gente. L’obiettivo è vendere un’immagine di stabilità e ordine, nonostante tutto, ma il suo destino oggi appare più incerto di ieri, così come quello della Russia, che potrebbe trovarsi ancora una volta in balia della Storia.

Chi è Lorenzo Fraccaro

Classe 1998, ha una laurea in scienze politiche presso l’università di Padova. Successivamente ha conseguito il suo titolo magistrale in relazioni internazionali all’Università Ca’ Foscari di Venezia con una tesi sui totalitarismi del Novecento. Grande appassionato di storia e politica internazionale, negli anni ha approfondito eventi e dinamiche riguardanti l’Europa Orientale. Per East Journal è il responsabile dell’area che si occupa di Russia, Ucraina, Bielorussia, Caucaso e Asia Centrale.

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