In una Grecia ancora scossa dal tragico naufragio di Pylos, tutto è pronto per un nuovo governo targato Nea Dimokratia. Al secondo turno delle elezioni legislative, svoltosi domenica 25 giugno, la formazione guidata da Mitsotakis conferma l’ampia vittoria ottenuta il mese scorso e ottiene la maggioranza assoluta in Parlamento; per SYRIZA, invece, la doppia, cocente sconfitta apre ad un’inevitabile riflessione sull’identità stessa del partito.
Il primo turno: trionfo ND, débâcle per SYRIZA
Dei quasi 10 milioni di greci recatisi alle urne il 21 maggio scorso per eleggere la diciannovesima legislatura del Parlamento greco, in pochi, forse, si aspettavano che l’annunciato testa a testa fra i due maggiori partiti ellenici – che i sondaggi davano distanti solamente 6 punti percentuali – si rivelasse una partita senza storia. 40,79% per Nea Dimokratia del premier uscente Kyriakos Mitsotakis, 20,07% per il suo principale sfidante, SYRIZA, guidato da Alexis Tsipras: ad eccezione della sola Tracia, 58 regioni su 59 si sono tinte di blu. Anche Creta, storica roccaforte progressista, è per la prima volta passata al centrodestra.
Un risultato, dunque, che ha avuto sì del clamoroso, ma che – vista l’entrata in vigore della modifica della legge elettorale in direzione di un sistema proporzionale puro approvata nel 2016 – non è stato sufficiente per formare un governo senza ricorrere ad alleanze di coalizione. Uno scenario, quest’ultimo, che è stato rifiutato da entrambi i leader: al secondo turno, infatti, il ritorno al maggioritario avrebbe consentito di ottenere un bonus di fino a 20 seggi a cui si sarebbero sommati altri 30 possibili seggi assegnati in relazione alle performance elettorali (uno per ogni mezzo punto percentuale ottenuto fra il 25% e il 40%).
Il secondo turno: la musica non cambia
Cinque settimane dopo, quando il popolo greco è tornato nuovamente alle urne, il risultato non è cambiato: Nea Dimokratia ha ottenuto praticamente la stessa percentuale di voti (40,6%), conquistando 158 seggi dei 300 disponibili in Parlamento grazie al bonus dato dal maggioritario; SYRIZA, invece, è riuscita addirittura a peggiorare il pessimo risultato del primo turno con un 17,8% che le consegna solamente 48 seggi.
A sinistra, poi, la sconfitta di SYRIZA non è stata l’unica notizia di rilievo: con il l’11,9% dei voti (11,46% al primo turno), il PASOK – il vecchio partito socialista fondato Andreas Papandreou e attualmente guidato da Nikos Androulakis – si conferma come terza forza politica del Paese. Rispetta le attese anche il Partito Comunista Ellenico (KKE), che ottiene il 7,7% (e che, curiosamente, ottiene la maggioranza nelle tre circoscrizioni dell’isola di Ikaria); delude MeRA25, che non supera la soglia di sbarramento, fissata al 3%. La vera sorpresa, tuttavia, riguarda l’estrema destra: sia Soluzione Greca (Elliniki Lysi), che Vittoria (Niki), partito filorusso e ultraortodosso, che Spartani, formazione appoggiata da Ilias Kasidiaris – ex-leader di Alba Dorata, ora in carcere – entrano in Parlamento, conquistando complessivamente poco più del 12% dei voti.
Nea Dimokratia: prevale la stabilità economica
I sospetti di complicità con i servizi segreti nell’utilizzo dello spyware Predator per sorvegliare i telefoni di giornalisti ed esponenti politici rivali; le responsabilità dirette nel disastro ferroviario di Tempe del febbraio scorso, dove hanno perso la vita 57 persone; uno stato di progressiva soppressione della libertà di stampa e di controllo del governo sui media che negli ultimi due anni ha posizionato la Grecia all’ultimo posto della classifica europea stilata da RSF. Nessuno di questi fattori è riuscito a scalfire la credibilità politica di Nea Dimokratia, che, al contrario, ha migliorato il 39,85% ottenuto alle elezioni del 2019.
Dopo più di un decennio di durissima crisi economica che ha avuto tragiche ricadute sul tessuto sociale, la promessa di stabilità sul quale Mitsotakis ha basato la campagna elettorale sembra aver prevalso su ogni possibile ostacolo. Una promessa che, però, pare lungi dall’esser vuota: nel 2022 la Grecia ha osservato una crescita del PIL del 6%, un numero sempre maggiori investimenti esteri, una disoccupazione tornata ai livelli pre-crisi (10,9%: il tasso più basso dal 2009), una paga minima alzata a 780 euro al mese, un salario medio per il settore privato – che nel 2014 si attestava a 1042 euro – giunto ormai a quota 1176 euro. Numeri che riescono ad inquadrare la crescita del Paese nell’ultimo quadriennio, nel quale il governo ha saputo approfittare di una situazione già in fase di stabilizzazione e che è riuscito a migliorare attraverso delle oculate politiche economiche: il 40,5% preso da Nea Dimokratia testimonia la volontà degli elettori di premiare l’operato dell’esecutivo e, soprattutto, evidenza come in questo momento la stabilità economica e politica sia percepita come assolutamente prioritaria.
Dal punto di vista della politica estera, poi, gli analisti sottolineano il ruolo che la rielezione del presidente turco Erdoğan potrebbe aver giocato anche dall’altra parte dell’Egeo: agli occhi degli elettori greci, infatti, la figura di Mitsotakis – visti i buoni rapporti con Unione Europea e USA – apparirebbe come una garanzia anche sul piano della sicurezza internazionale in un momento in cui i rapporti con il vicino turco sono particolarmente tesi.
Quale futuro per SYRIZA?
Dall’altra parte dello spettro politico, invece, SYRIZA sembra aver pagato una strategia politica rivelatasi fallimentare non solo in campagna elettorale, ma anche nel lungo periodo. La retorica che paragonava il governo ad un regime autoritario, utilizzata durante tutti i quattro anni dell’esecutivo Mitsotakis e fino alla vigilia delle elezioni, in particolare, avrebbe definitivamente stancato un elettorato già stufo di un’opposizione che a tante, troppe parole accompagnava decisamente meno fatti. Tale atteggiamento si è poi riflesso anche nella mancanza di presa di posizione su alcuni temi chiave del periodo pre-elezioni, soprattutto su quello dei migranti e della possibile costruzione di un muro lungo il confine terrestre con la Turchia, che è stato invece uno dei cavalli di battaglia della cavalcata trionfale di Mitsotakis. Non ha funzionato neanche il tentativo di cooptazione del voto giovanile: nella fascia 17-24, dove Nea Dimokratia ottiene il 27,7% dei voti, SYRIZA prende solamente il 20%.
Guardando più al lungo periodo, il partito guidato da Tsipras sembra avere perso la propria identità nel tentativo di trasformarsi da una formazione della sinistra radicale ad una più vicina a posizioni centriste e, con essa, anche il suo elettorato di base. Le disastrose politiche economiche portate avanti durante il periodo al governo, dal 2015 al 2019, poi, sembrano non essere state dimenticate da un elettorato spossato da dieci anni di crisi ed in ricerca di una risalita. A ciò si aggiunge una totale mancanza di lungimiranza nelle alleanze di coalizione: pur sapendo dal 2016 che nel 2023 ci sarebbe stato un sistema proporzionale, non c’è stato alcun investimento nel formare accordi a sinistra.
Quale futuro, dunque, per la sinistra greca?
Il PASOK, forte del risultato promettente ottenuto alle elezioni, si posiziona decisamente in rampa di lancio e potrebbe persino ambire ad affermarsi come secondo partito di Grecia e forza politica leader dell’opposizione. Per SYRIZA, invece, il futuro appare molto meno roseo: sarà necessario ritrovare alla svelta l’identità perduta, anche attraverso un rinnovamento radicale del partito. La prima figura messa in discussione è – ovviamente – quella di Alexis Tsipras. Il segretario è il cardine sul quale ruota tutta SYRIZA, ma da vecchio punto di forza sembra ormai essere divenuto un ostacolo: un suo eventuale passo indietro, tuttavia, apre ad interrogativi ancora più profondi.
La vittoria di Nea Dimokratia proietta virtualmente la Grecia sul percorso intrapreso nella legislatura precedente: la crescita economica, lo sfruttamento delle riserve di idrocarburi al largo delle sue coste, il rafforzamento della propria posizione internazionale, la gestione dei difficili rapporti con la Turchia, tutti elementi che fanno parte di un quadro di lenta risalita della china da parte di un Paese che, dieci anni fa, aveva toccato il fondo. Ma se la vittoria di Mitsotakis piace ai mercati e prospetta un futuro segnato da un rialzo degli indici, pone invece qualche preoccupazione per quanto riguarda la qualità del suo governo: la dominazione dello scenario politico da parte di Nea Dimokratia, l’opposizione molto debole e un sostanziale assoluzione sul tema degli scandali data dal risultato elettorale non sono sintomi di buona salute per una democrazia. Yannis Varoufakis, con fare tetro, già all’indomani del primo turno aveva annunciato che “l’erdoganizzazione della Grecia è completa”. Staremo a vedere quello che accadrà, sperando che Varoufakis venga smentito.
Immagine: profilo Twitter di Kyriakos Mitsotakis