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RUSSIA: Colpo di Stato, guerra civile o messinscena? Una ricostruzione

Colpo di Stato, guerra civile o squallida messinscena? I mercenari della Wagner occupano Rostov sul Don, in Russia, e Prigožin dichiara guerra al Cremlino. Proviamo a offrire una ricostruzione di come si è giunti fin qui…

 

Evgenij Prigožin è, insieme a Dmitrij Utkin, il fondatore e il leader della compagnia militare privata “Gruppo Wagner“, mercenari russi al soldo del Cremlino – almeno fino a ieri notte. Impiegati in diversi scenari – dal Mozambico, al Mali, alla Repubblica Centrafricana – operavano in contesti in cui era necessario per la Russia potersi dichiarare “non coinvolta” nei conflitti, nei colpi di stato, nella destabilizzazione di quei paesi. Ma il Gruppo Wagner, addestrato in strutture del ministero della Difesa russo, ha sempre agito in linea con le esigenze geopolitiche di Mosca. L’impiego in Siria e, successivamente, in Ucraina ha palesato il legame con il regime russo – un legame che ora sembra spezzato. Già, perché il Gruppo Wagner – e il suo leader, Prigožin – sembrano aver dichiarato guerra al Cremlino. I mercenari avrebbero preso il controllo di Rostov sul Don e Voronhez, in Russia. Siamo davvero alle porte di una guerra civile? E cosa ha spinto Prigožin a voltare le spalle al Cremlino?

 

Bakhmut, primo atto
È inutile dire che occorre cautela nell’analizzare la situazione, e che solo il tempo potrà spiegare gli eventi in corso. Tuttavia, prendendoci qualche rischio, possiamo azzardare una ricostruzione. Il Gruppo Wagner ha dimostrato in questa guerra di essere nettamente superiore, per addestramento e armamenti, all’esercito regolare russo. Una forza militare che poteva contare di circa cinquantamila uomini e che garantiva al suo leader Prigožin una certa influenza politica. Con il crescere del peso militare della Wagner aumentava il peso politico di Prigožin al punto da diventare una minaccia. Non tanto per Vladimir Putin, che ha sempre giocato al divide et impera con i suoi scagnozzi, quanto per l’apparato militare, il ministro della Difesa, Segej Shoigu, e il capo di Stato maggiore, Valerij Gerasimov. A questi si deve la decisione di mandare i mercenari della Wagner a morire nel calderone di Bakhmut.

 

Una città il cui rilievo strategico era pressoché nullo, ma in cui i “wagneriani” hanno trovato la morte in quantità. Tanto che lo stesso Prigožin, in un celebre video, accusò i vertici militari di essere dei traditori, di avere le mani sporche di sangue, di non avere mandato i rifornimenti necessari affinché la presa di Bakhmut non diventasse la tomba della Wagner. E minacciava di ritirarsi, di abbandonare il campo, se la vedessero i militari. Il video, iconicamente, è stato girato davanti al cumulo dei cadaveri, e diffuso in rete. Un accordo venne infine trovato, ma in quel video – il primo in cui emerse chiaramente la crepa interna al regime –  Prigožin mostrava di aver capito l’antifona. Dissanguare la Wagner serviva a eliminare la minaccia militare dei mercenari togliendogli rilevanza politica. E in un regime politico come quello russo, chi non serve più rischia di fare una brutta fine. Ecco allora che mettersi sotto i riflettori serviva a Prigožin per rendersi intoccabile o, almeno, rendere meno conveniente al Cremlino liquidarlo.

 

Un missile sul campo Wagner
Nella mattinata di ieri, 23 giugno, Prigožin rilascia una dichiarazione sui social in cui accusa il ministero della Difesa russo di aver lanciato un attacco missilistico su un campo della Wagner, diffondendo filmati che mostrerebbero le conseguenze dell’attacco. “Un attacco missilistico è stato effettuato sulle basi del gruppo Wagner. Ci sono molte vittime. Secondo i combattenti che hanno assistito, l’attacco è arrivato alle spalle, il che significa che è stato lanciato dalle truppe del ministero della Difesa della Federazione Russa”, ha detto Prigožin, promettendo conseguenze.

 

Dopo alcune ore un incontro tra Prigožin, il vice ministro della Difesa Yevkurov e il vice capo di stato maggiore Alekseev, avrebbe portato i nodi al pettine, con il leader della Wagner che accusava di essere stato attaccato dai militari e i militari che lo intimavano a non interferire con la guerra. La mattina del 24 giugno sono apparsi i video dei colloqui. Colpisce il tono sprezzante, le accuse reciproche, le minacce velate e palesi, la posa da signori della guerra, da gangster. Nelle mani di questa gente è la vita dei russi, e non solo. A un certo punto di sente Alekseev dire che ciò che più gli spiace è che “a Kiev festeggeranno per qualche giorno”. Queste parole chiudono di fatto il tentativo di negoziato con Prigožin.

 

La bocca della verità?
Nella notte, mentre i reparti della Wagner prendono il controllo di Rostov sul Don, l’ennesimo video di Prigožin diventa virale: «L’Ucraina non ha mai bombardato la città di Donetsk ma solo le postazioni dei russi. In questi otto anni il Donbass è stato saccheggiato dai dipendenti dell’amministrazione presidenziale russa. La NATO non ha attaccato la Russia, è un inganno. Anche la distruzione di 60 carri armati Leopard è una bugia, ne abbiamo distrutti solo due. Per l’esercito russo è un bagno di sangue». E poi spiega le ragioni dell’invasione, dovuta «alle ambizioni personali di Shoigu che è un malato di mente, e al desiderio degli oligarchi di prendersi tutta l’Ucraina, non solo il Donbass, mettendo Medvedchuk come presidente e dividendosi con lui le ricchezze del paese». Medvedchuk è un oligarca ucraino filorusso, la cui figlia è stata tenuta a battesimo dallo stesso Putin, arrestato nei primi mesi di guerra. E prosegue affermando l’impreparazione dell’esercito russo: «L’esercito russo non è in grado di combattere perché si fa carriera non per le proprie capacità, ma solo per la fedeltà mostrata al regime. Nei primi giorni di guerra la Russia ha perso migliaia dei suoi migliori soldati per niente, non c’era adeguata pianificazione e le forze in campo non sapevano quali erano i loro compiti. La Russia sta nascondendo la quantità catastrofica di morti in battaglia. Quando – nel mese di marzo 2022, ndr – siamo entrati in campo (il Gruppo Wagner) era già chiaro che sarebbe stato impossibile vincere la guerra». Le accuse di Prigožin si rivolgevano al ministero della Difesa e all’esercito, non a Putin che sarebbe stato “mal consigliato” e a cui avrebbero tenuto nascosta la gravità della situazione. Un modo per non bruciarsi tutti i ponti. «Siamo qui per difendere la Russia» ribadiva Prigožin.

 

Guerra civile o messinscena?
Ancora nelle prime ore della mattina del 24 giugno, mentre Prigožin minacciava di marciare su Mosca, proseguivano i tentativi di ricomporre la rottura. Ma inutilmente. La “marcia per la giustizia” verso la capitale del Gruppo Wagner muoveva i primi passi senza incontrare grossa resistenza mentre Putin, parlando alla nazione, parlava di “traditori“, “pugnalata alle spalle” e punizioni esemplari. Ma sono parole. Un accordo – se non con Prigožin, almeno con i mercenari – si può sempre trovare, come già avvenuto in passato. Che si tratti di un effettivo tentativo di colpo di stato, di uno scenario da guerra civile, è presto per dirlo. Niente si può escludere. La Russia è imprevedibile. Non si può escludere nemmeno un accordo dell’ultimo minuto né una messinscena da fine impero, squallida come i suoi protagonisti.

 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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