Russia

La Russia in guerra: c’è chi fugge, c’è chi resta

Tantissime persone hanno deciso di fuggire dalla Russia in seguito all’invasione in Ucraina, chi per paura, chi per ragioni ideali. Quali sono invece i pensieri di chi si trova a vivere in un Paese in guerra “contro l’Occidente”? Se è difficile avere un quadro generale, delle testimonianze possono aiutarci a capire quale sentimento possa diffondersi in un paese vittima dell’ideologia putiniana e sommerso dalla propaganda di regime.

La grande fuga

Centinaia di migliaia di persone hanno lasciato la Russia dallo scoppio del conflitto in Ucraina. Tra di loro c’è Svetlana, una giovane donna sulla trentina, la quale amava il proprio paese e la propria vita a Mosca, ma per lei con la guerra tutto è cambiato: realizzò che non sarebbe finita in tempi brevi e che i suoi concittadini non sarebbero scesi in piazza a protestare. Giunse perciò alla conclusione di dover abbandonare la sua patria, la sua vita, per mettere tra lei e le autorità la maggiore distanza possibile. Ora risiede in Serbia, a Belgrado, città nella quale lavora per una società moldava, ma la sua ambizione è trasferirsi in Olanda.

La criminale invasione ai danni dell’Ucraina lanciata dal Cremlino portò tanti russi ad emigrare già agli albori del conflitto su larga scala, nel periodo tra il marzo e l’aprile del 2022. Successivamente arrivò la controversa mobilitazione parziale del mese di settembre, destinata ai riservisti; lunghe code di cittadini in fuga si formarono ai confini con la Georgia e con il Kazakhstan. Si crede che almeno 700’000 persone siano fuggite per evitare una chiamata nell’esercito.

Il ministero della Difesa britannico stima che nel solo 2022 circa un milione e trecentomila russi abbiano lasciato il loro paese; da fonti governative russe il numero dei migranti si attesta tra i 600’000 e il milione. Inoltre, dall’inizio del conflitto circa 155’000 russi hanno ricevuto permessi di soggiorno temporanei in paesi dell’UE – dove circa 2’000 russi hanno ottenuto lo status di rifugiati politici – e in vari paesi dei Balcani, del Caucaso e dell’Asia Centrale.

Alcune voci dalla Russia

Thomas viveva a San Pietroburgo, si definisce pacifista e si rifiutava di essere mandato al fronte; definisce il massacro di civili come inaccettabile. Dal febbraio del 2022 cominciò a postare online messaggi contro la guerra e si unì a proteste di strada; inoltre, da uomo gay, non si sentiva affatto al sicuro da quando il parlamento approvò una nuova legge contro la propaganda LGBT. Thomas ha fatto richiesta per l’asilo politico in Svezia, ma per il momento la sua richiesta è stata respinta; sta studiando lo svedese per trovare un’occupazione al più presto.

Sergey, da Rostov sul Don, si trova oggi a Tbilisi, in Georgia. A spiccare in lui erano inizialmente le preoccupazioni di tipo economico. Quale sia l’esito della guerra, le conseguenze economiche sarebbero evidenti e tragiche – si ritrovò a pensare. Dalla sua città, situata nel sud della Russia e vicina al confine ucraino, vedeva partire equipaggiamenti militari, mentre gli ospedali si riempivano di feriti. Dopo l’annuncio della mobilitazione parziale pronunciato da Putin abbandonò la sua terra, lasciando dietro di sé moglie e figlio. Ora il suo obiettivo è guadagnare abbastanza per permettere alla sua famiglia di vivere al di fuori della Russia, per questo motivo sta cercando lavoro in Europa.

Alfa Bank, la più grande banca privata russa, stima che l’1.5% dell’intera forza-lavoro del paese si trovi oggi fuori dai confini nazionali. Ciò che è grave è che spesso chi se ne va è un professionista altamente qualificato, con la perdita in termini di produttività che ne deriva. Inoltre, a complicare il quadro, un recente sondaggio ha dimostrato che il 35% delle aziende soffre per la mancanza di manodopera, dovuta in parte alla mobilitazione lanciata lo scorso settembre. Tuttavia, la maggior parte del territorio russo non risentirà di questi cambiamenti, per il fatto che nelle piccole città e paesi gli standard di vita sono sempre stati bassi. Del resto, coloro che lasciano la Russia provengono spesso dalle grandi città, hanno titoli di studi di un certo livello e godono di un tenore di vita più soddisfacente rispetto la media.

Ma l’invasione in Ucraina ha generato anche degli scontri generazionali, con figli che non riconoscono l’autorità dei padri quando si discute del conflitto in corso. E’ il caso di Uliana, un’attrice che ha perso il fratello Vanya in guerra; fu ucciso nei pressi del famigerato complesso industriale di Azovstal, a Mariupol. Suo padre, sebbene distrutto da un dolore che solo un genitore che perde il giovane figlio può provare, è orgoglioso che Vanya sia morto da “eroe” e da “patriota” in una lotta contro i “nazisti” ucraini.

Questa è la storia di tante famiglie nella Russia di oggi, in cui i genitori, cresciuti in epoca sovietica, si affidano ai racconti della tv di Stato, mentre i giovani, figli di un’epoca che sognava un mondo senza più muri e divisioni, ricercano fonti molto più varie, da Youtube ai social media. A confermare questo trend ci sono i dati di un sondaggio pubblicato nel novembre 2022 in cui si evidenzia come il supporto alla cosiddetta “operazione speciale” trovi un riscontro positivo nel 75% degli over-40, ma solo nel 62% degli appartenenti alla fascia d’età che va dai 18 ai 24 anni.

Peggio di una guerra, c’é solo perdere una guerra

Se è facile capire le ragioni di chi abbandona la Russia, è più complesso cogliere quali siano i pensieri di chi nel paese ci vive giorno per giorno e si convince delle ragioni del suo paese. C’é chi ritiene che il conflitto sia inevitabile e che la Russia debba proseguire nella sua azione fino alla vittoria finale, ma è critico verso modi e tempi in cui l’invasione è stata condotta.

C’é chi spera in un compromesso che possa mettere fine alla carneficina sul campo prima possibile. C’è anche chi vive la situazione in maniera neutrale, da attore apolitico qual é, e propende dunque per una rassegnata passività tipica di chi non riconosce alcuna verità; come i russi soffrono la propaganda di stato, la quale manifesta “la sua verità”, così avviene anche in Occidente, dove la verità viene percepita diversamente. Il loro motto potrebbe essere “non esistono fatti, solo interpretazioni”.

Infine, ci sono i cosiddetti “nuovi patrioti”, coloro che sperano in una vittoria del loro paese dal momento che l’intero Occidente si è unito per sconfiggerlo. Secondo alcuni di loro, al momento non importa se il conflitto sia giustificato o meno, ma ora ci si è dentro, e l’unica cosa peggiore di una guerra, è una sconfitta in una guerra, la quale porterebbe conseguenze catastrofiche dal punto di vista materiale e morale. Per questi nuovi patrioti appoggiare il loro paese, anche a costo di rimuovere dalla loro coscienza i crimini da esso perpetrati, significa rinunciare a immaginare un futuro possibilmente prospero e stabile all’interno della Russia.

Sergey, cittadino russo, afferma: “Non supporto la guerra. Ma sfortunatamente, la stessa esistenza della mia madrepatria è in gioco. Non voglio vedere il collasso, la distruzione del mio paese. Ho domande per gli istigatori dell’operazione militare speciale, ma prima resta da risolvere il problema esistenziale.” In queste parole sembra trasparire, fra le altre cose, una vaga paura per il cambiamento, il quale, se pensiamo al secolo scorso, nella storia russa ha sempre portato con sé tragedie e nuove difficoltà.

Forse solo una sconfitta militare potrà cambiare questa Russia – così dicono anche i dissidenti di Putin; questa volta si spera in meglio, una volta per tutte. Gli stessi cittadini russi ne sarebbero felici.

Chi è Lorenzo Fraccaro

Classe 1998, ha una laurea in scienze politiche presso l’università di Padova. Successivamente ha conseguito il suo titolo magistrale in relazioni internazionali all’Università Ca’ Foscari di Venezia con una tesi sui totalitarismi del Novecento. Grande appassionato di storia e politica internazionale, negli anni ha approfondito eventi e dinamiche riguardanti l’Europa Orientale. Per East Journal è il responsabile dell’area che si occupa di Russia, Ucraina, Bielorussia, Caucaso e Asia Centrale.

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