Una legge finalizzata a contrastare l’influenza russa in Polonia, ma in realtà contro l’opposizione e il suo leader, Donald Tusk, è stata prima firmata dal presidente polacco Duda che poi, dopo quattro giorni, ne ha chiesto la revisione. Perché?
C’è grande confusione sotto il cielo, specialmente a Varsavia dove una legge contro l’influenza russa – in realtà pensata per colpire l’avversario politico, Donald Tusk, candidato alle prossime elezioni di ottobre e leader di Piattaforma Civica, partito di opposizione – è stata prima firmata dal presidente Duda e poi, dopo quattro giorni, lo stesso Duda ne ha chiesto la revisione. Una frettolosa e imbarazzata giravolta. A fermarlo sono stati gli americani. Già, perché oltre all’ovvia critica europea – di cui il governo polacco sono anni che si infischia – è arrivata anche la reprimenda di Washington, poco disponibile ad accettare l’ennesimo passo verso la democratura di un paese strategico, soprattutto con la guerra in corso. Ma andiamo con ordine e riavvolgiamo il filo degli eventi.
I rapporti con Washington
Il governo polacco, guidato dal partito Diritto e Giustizia (PiS), al potere dal 2015, ha condotto negli anni una serie di riforme che hanno minato alle fondamenta lo stato di diritto, e hanno condotto il paese verso una deriva illiberale. L’Unione Europea è più volte intervenuta avviando infine una procedura d’infrazione nei confronti di Varsavia. L’aggressione russa all’Ucraina ha però mutato i rapporti tra la Polonia e i suoi partner occidentali, almeno in apparenza. L’accoglienza di milioni di profughi ucraini e il protagonismo all’interno della NATO hanno modificato l’immagine del governo all’estero. Tuttavia, se il governo pensava di ottenere così un lasciapassare per altre misure illiberali, si sbagliava di grosso. I rapporti tra Washington e Varsavia, da sempre piuttosto positivi, si erano ulteriormente stretti durante l’amministrazione Trump, portatrice di valori non dissimili da quelli espressi dal PiS. Ma il presidente americano Joe Biden non ha mai fatto mistero del proprio disprezzo verso i conservatori polacchi, paragonandoli all’autocrate bielorusso Alexander Lukashenko e al premier ungherese Viktor Orbán, denunciando “l’ascesa di regimi totalitari” in Europa.
La mazzata amaricana
Il 30 maggio scorso, il governo americano ha espresso formale preoccupazione per la creazione in Polonia di una nuova commissione per indagare sull’influenza russa nel paese, che ha il potere di bandire individui dai pubblici uffici per un massimo di dieci anni. In una dichiarazione rilasciata il giorno successivo alla firma della legge, il Dipartimento di Stato americano ha annunciato che “il governo degli Stati Uniti è preoccupato per l’approvazione della nuova legislazione, che potrebbe essere utilizzata in modo improprio per interferire con le elezioni libere ed eque della Polonia” e “condivide le preoccupazioni espresse da molti” che la commissione “possa essere utilizzata per bloccare la candidatura di politici dell’opposizione senza un giusto processo”. Washington concludeva chiedendo “al governo della Polonia di garantire che questa legge non impedisca agli elettori di votare per un candidato di loro scelta e che non venga invocata o abusata in modi che potrebbero influire sulla legittimità delle elezioni”.
Il contenuto della legge
La legge prevede l’istituzione di una commissione che indaghi su quanti, in Polonia, hanno fatto da sponda agli interessi russi, favorendo l’influenza e la penetrazione del Cremlino nel paese. Tuttavia, la vaga definizione di cosa si intenda per “influenza russa” permetterebbe azioni arbitrarie da parte della commissione, che avrebbe accesso anche a informazioni classificate. Soprattutto, la commissione avrebbe potere di estromettere dalla vita pubblica personalità ritenute coinvolte con gli affari del Cremlino senza passare da un tribunale, senza processo, senza possibilità di difesa da parte dell’imputato. E chi andrebbe a comporre questa commissione? Nove persone scelte dal Sejm, dove il governo ha la maggioranza.
Cosa c’entra Donald Tusk?
Piattaforma civica (PO), il più grande partito di opposizione, ritiene che la legge sia in realtà finalizzata a colpire il loro segretario, Donald Tusk, primo ministro dal 2007 al 2014. Il PiS ha infatti spesso accusato Tusk di agire a favore degli interessi della Russia durante il suo mandato. In particolare, Jaroslaw Kaczyński – leader del PiS – ritiene che Tusk abbia operato per insabbiare le responsabilità russe legate alla tragedia di Smolensk, l’incidente aereo che costò la vita all’allora presidente Lech Kaczyński, gemello di Jaroslaw, e ad altre 95 persone tra politici e alti gradi dell’esercito. L’aereo su cui viaggiavano precipitò nei pressi di Smolensk dove era diretto per celebrare l’anniversario dell’eccidio di Katyn. Da allora, la stampa conservatrice non ha mai smesso di gridare al complotto attribuendo l’accaduto a una deliberata azione dei russi, benché diverse commissioni di indagine abbiano dichiarato essersi trattato di incidente fortuito.
La questione che però fa davvero preoccupare Tusk è la stipula, durante il suo mandato, di un accordo energetico con la russa Gazprom esponendo la Polonia al ricatto del Cremlino. A onor del vero, Tusk – che pure quell’accordo firmò, nel 201o – fu un acceso critico del progetto di raddoppio del North Stream, consapevole di quanto pericolosa fosse la stretta energetica russa.
L’iter della legge
L’istituzione di una commissione che indaghi l’influenza russa nel paese è stata proposta per la prima dalla coalizione di governo alla fine del 2022 ed è stata infine approvata nell’aprile 2023 dal Sejm – la camera bassa del parlamento, dove il governo ha la maggioranza – prima di essere respinta dal Senato, controllato dall’opposizione. Il 26 maggio scorso, però, il Sejm ha annullato la decisione del Senato approvando il disegno di legge per la creazione della commissione, inviandolo al presidente della repubblica per l’approvazione. Il 29 maggio, il presidente polacco Andrzej Duda – membro del PiS – ha firmato la legge benché “consapevole delle critiche avanzate” spiegando che avrebbe sottoposto il dispositivo al vaglio del Tribunale costituzionale (Trybunał Konstytucyjny, da alcuni chiamato Corte Costituzionale) i cui 15 membri, eletti dal Parlamento, restano in carica per nove anni. Nel 2015, dopo una crisi sulle nomine di cinque nuovi giudici, il governo conservatore ha promosso alcune riforme che hanno portato il Tribunale sotto il controllo dell’esecutivo. In poche parole, una corte controllata dal governo dovrà stabilire se la legge voluta dal governo è costituzionale.
La revisione della legge
A seguito delle pressioni internazionali, il presidente polacco Duda ha infine deciso di rivedere la propria decisione e chiedere alcune modifiche alla legge. Gli emendamenti, che dovranno ora essere vagliati dal parlamento, limiteranno la possibilità della commissione di bandire individui dai pubblici uffici, consentiranno all’imputato di appellarsi in tribunale e impediranno l’accesso a documenti classificati. Inoltre, i membri della commissione non potranno essere parlamentari. La reazione dell’opposizione si riassume in una frase: “Duda ha posto il veto alla sua stessa firma”. La giravolta presidenziale mostra quanto rilevante sia l’influenza americana, più che russa, nella vita politica polacca. La deriva illiberale del paese ha infine trovato un argine, in attesa che le urne dicano quale strada vorranno percorrere i polacchi in futuro.