E’ sbagliato provare a definirli attraverso categorie etno-nazionali, avevano una vocazione fortemente libertaria, ed ogni uomo era sottoposto ad un rigido addestramento militare. Erano i cosacchi, citati in più occasioni a causa dell’attuale conflitto in Ucraina
Articolo pubblicato in collaborazione con Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa
«Mostreremo che noi, fratelli, siamo di stirpe cosacca» recitano le ultime parole dell’inno ucraino. Eppure, nell’immaginario comune i cosacchi sono generalmente collegati alla Russia imperiale, sia zarista che sovietica. Per provare a risolvere questo “fraintendimento”, bisognerebbe definire cosa sia un cosacco. Farlo attraverso caratteri etnonazionali può solamente confondere le idee, oltre ad essere metodologicamente sbagliato.
I cosacchi non hanno mai costituito un gruppo etnico vero e proprio: sia il polacco kozak che il tataro qazaq erano termini usati, a partire dal XIV secolo, per definire nomadi e uomini liberi, o anche, in altri contesti, guardie e predoni. Si sono formati in comunità, attorno ai bacini fluviali del Bug orientale, Dnipro e Don, comprendenti popolazioni slave miste a quelle turcofone storicamente presenti nell’area. L’economia di queste società dipendeva dal trasporto delle merci attraverso i fiumi e dall’agricoltura, mentre ogni uomo doveva seguire un rigido addestramento militare.
Combattere non era una scelta bensì una necessità: le comunità cosacche si moltiplicarono nell’immensa pianura tra Ucraina e Russia meridionale allora chiamata “campi selvaggi”, confine tra Granducato di Lituania (poi Confederazione polacco-lituana inseguito all’Unione di Lublino del 1569) e Granducato di Mosca, in procinto di diventare impero zarista. Gli insediamenti cosacchi costituivano un importante avamposto per le potenze dell’area in contrasto ai raid dei tatari di Crimea e di altre popolazioni nomadi, e i cosacchi venivano periodicamente assoldati dalle potenze vicine in difesa dei confini.
L’obiettivo dei tatari, alleati dei turchi, era fare razzia di merci, ma anche di esseri umani: secondo lo storico americano Serhii Plokhy, tra i due e i tre milioni di slavi fecero parte della tratta degli schiavi tra il XVI e XVII secolo, rivenduti nei porti della Crimea per le necessità dell’Impero ottomano.
Col tempo i rapporti tra tatari e cosacchi si bilanciarono, e spesso furono i primi ad essere costretti alla difensiva. Da qui la necessità di costruire città-fortezze sul Mar Nero; fra esse c’era Khadjibey, l’attuale Odessa.
Per la propria posizione strategica, le comunità cosacche attorno al Dnipro diventarono un rifugio anche per quei contadini che volevano sfuggire al vassallaggio della nobiltà russa ad est e della szlachta polacca ad ovest, la cui assimilazione religiosa e sociale aveva impedito la formazione di una nobiltà locale.
Sfuggendo dalla propria condizione di schiavitù, i fuggiaschi speravano di diventare ukhodniki, uomini liberi. I duma, canti popolari dei cosacchi, narrano proprio la vocazione libertaria di queste comunità, espressa nell’organizzazione politica da rudimentali tratti socioistituzionali di democrazia elettiva. L’atamano – il capo politico-militare dei cosacchi – era eletto da un’assemblea, che aveva altresì facoltà di rimuoverlo dalla sua posizione.
Come detto, l’accoglienza di altre popolazioni era all’ordine del giorno, seppur generalmente subordinata all’accettazione della religione ortodossa. Al di fuori della vita politica di queste democrazie militari, le donne avevano un ruolo di quasi pari rispetto agli uomini, specialmente quando questi erano in battaglia, nella vita quotidiana delle città fortezze cosacche, di cui l’isolotto sul Dnipro di Chortycja era base principale.
Attorno a quest’area dell’Ucraina sudorientale nacque la Sič di Zaporižžja, attualmente sesta città per popolazione in Ucraina, il cui nome significa letteralmente “al di là delle rapide”, quelle del Dnipro. La Sič non fu mai indipendente, ma godette di larga autonomia all’interno della Confederazione polacco-lituana – i rapporti tra i re polacchi e cosacchi erano regolati da documenti bilaterali spesso disattesi per le strette dei primi, come l’istituzione di registri per i cosacchi, e le conseguenti ribellioni dei secondi.
Seppur manchino documenti sulla Sič redatte dai cosacchi stessi – le principali fonti sono in lingua polacca, russa e turca – essa è celebrata dalla storiografia ucraina come prima esperienza proto statuale a cui far risalire l’Ucraina moderna, mettendo fra parentesi la questione medievale attorno alla Rus’ di Kyiv.
Circa cinquecento anni dopo, possiamo oggi assistere, in relazione ai cosacchi, ad una componente reale – il corpo paramilitare dei cosacchi registrato nella Federazione Russa, di cui molti “eredi” si vedono tra le file dell’esercito di Mosca e dei separatisti del Donbas – e soprattutto un’altra immaginaria e idealistica – in questo caso fatta propria dall’Ucraina.
In Ucraina ogni forma d’arte, dal cinema alla musica elettronica , celebra i combattenti della Sič di Zaporižžja, mentre sia civili che militari imitano vestiario e acconciature cosacche, il famoso ciuffo chiamato oseledets. Rievocando l’epopea cosacca, molti ucraini fanno propri gli ideali anarcolibertari e i valori delle prime comunità cosacche, traslandoli alla lotta dell’Ucraina contemporanea; una sorta di populismo storico.
Cosa c’entrano i cosacchi con la Russia?
Com’è avvenuto, dunque, il cortocircuito per cui i fondatori dell’animo combattente ucraino siano oggi un corpo fedele a Vladimir Putin in Russia? Come accennato, ed è una regola per lo spazio est europeo, non si può razionalizzare la storia rispetto agli attuali confini statali.
Già nel ‘500 i cosacchi zaporoghi non erano l’unica comunità dell’area; gruppi di cosacchi nell’area tra il Don e il Volga erano stati gradualmente assorbiti nell’esercito zarista sin dai tempi di Ivan il Terribile.
Fu però l’ennesima ribellione a segnare l’abbraccio fatale fra cosacchi e Zarato, fra ucraini e russi. Nel 1649, una rivolta contro i proprietari terrieri polacchi guidata dall’atamano Bohdan Chmelnyckij (oggi celebrato sulla banconota da 5 hryvnie) portò alla nascita dell’Etmanato cosacco, comprendente non solo la Sič (con cui i rapporti non furono ideali) ma anche altre aree dell’Ucraina in mano polacca, fra cui Kyiv.
L’evento aprì un periodo di violenze di massa fra cosacchi e polacchi, così come i primi pogrom verso le comunità ebraiche, tacciate di collaborazionismo con i proprietari terrieri polacchi. Chmelnyckij sperava, attraverso la rivolta, di ribilanciare gli equilibri della Confederazione polacco-lituana ponendo l’Etmanato ucraino su base paritaria rispetto ai suoi due dominatori storici.
Queste speranze vennero presto disattese; ne scaturì il Trattato di Perejeslav del 1654, col quale i cosacchi chiedevano protezione (dai polacchi) allo zar Alessio I. Ponendosi l’obiettivo di emancipare i contadini ucraini e i nobili cosacchi, Chmelnyckij pose la firma sul documento che verrà celebrato dalla storiografia zarista e sovietica come simbolo di unità storica fra Ucraina e Russia. Trecento anni dopo, in celebrazione dell’anniversario di Perejeslav, Nikita Kruscev darà in dono alla RSS Ucraina la repubblica autonoma di Crimea, all’origine dell’attuale conflitto.
Come persero la propria libertà?
In che modo i cosacchi persero la propria libertà? In seguito al trattato, ebbe inizio la guerra russo-polacca (conosciuta come Guerra d’Ucraina) vinta dai primi. Nel 1667, con il Trattato di Andrusovo, russi e polacchi divisero l’area del Dnipro, garantendo teorica autonomia alle comunità cosacche dell’Etmanato.
Questi eventi apriranno il periodo conosciuto dalla storiografia polacca come potop, il diluvio; la devastazione delle guerre con russi e svedesi porterà alla scomparsa della Polonia stessa a fine ‘700. In Ucraina non andò meglio: gli stessi anni vengono oggi ricordati come ruijna, la “rovina” generata dalla guerra civile fra i diversi atamani cosacchi nell’Etmanato diviso fra polacchi e russi.
L’espansionismo zarista assorbirà velocemente ogni grado di autonomia e differenziazione politica e sociale dei cosacchi ucraini, con l’istituzione delle gubernije imperiali: gli abitanti dell’area saranno ora chiamati piccolo-russi. Sarà proprio un uomo che preferiva definirsi piccolo-russo piuttosto che ucraino o russo, Mykola/Nikolaj Gogol’, a dedicare alle leggende cosacche il suo racconto Taras Bulba. La nobiltà cosacca dell’Etmanato e della Sloboda ucraina (area di Kharkiv e Poltava) sarà lentamente cooptata e poi deportata nelle regioni della Russia meridionale del Kuban e Terek.
Ciò avverrà dopo un ultimo colpo di coda dei cosacchi ucraini guidati dall’atamano Ivan Mazepa, il quale tentò di allearsi con la Svezia in ottica antirussa, venendo però sconfitto a Poltava nel 1709. Come sottolinea lo storico austriaco Andreas Kappeler, da quel momento il termine mazepista verrà utilizzato per delineare nell’impero i traditori ucraini: cioè chiunque desideri un maggiore grado di autonomia rispetto alla Russia. Una parola ripescata dal propagandista russo Solovyov durante le proteste di Euromaidan nel 2013.
Durante il XVIII secolo, la zarina Caterina II ripopolerà le ex aree dei cosacchi con coloni russi ed europei, iniziando quel macro-progetto di ingegneria sociale che avrebbe completamente rimescolato le identità in Ucraina meridionale e orientale. Nel 1775, su ordine di Caterina, la Sič di Zaporižžja verrà definitivamente distrutta dalle truppe zariste, e i cosacchi si sposteranno sempre più verso est.
Come corpo speciale dell’esercito imperiale, parteciperanno alla colonizzazione della Siberia, al genocidio dei circassi e saranno fedeli truppe dello zar anche durante la guerra civile. Già responsabili di massacri verso operai e oppositori durante la rivoluzione del 1905, nel 1917 si uniranno alle truppe dei Bianchi. Per ritorsione, i bolscevichi introdurranno misure di decosachizzazione allo scopo di perseguitarli, e durante la Seconda guerra mondiale i cosacchi delle steppe del Volga si alleeranno con i nazisti; oltre ventimila cosacchi a cavallo occuparono la Carnia in Friuli, dove Hitler aveva loro promesso l’istituzione di uno stato cosacco, Kosakenland, a guerra finita.
In Ucraina, durante l’Ottocento i cosacchi scompariranno in quanto ceto sociale e ne rimarrà il ricordo attraverso alcuni discendenti, che attraverso arte e letteratura contribuiranno al revival nazionale ucraino durante l’epoca romantica. Rimarranno una nostalgia, spesso idealizzata, di un’Ucraina una volta libera, prospera e autodeterminata confrontata ad un presente senza fine di occupazione e oppressione della coscienza nazionale. I cosacchi oscilleranno incessantemente fra un’immagine idealizzata di purezza e valorosità, e una realtà ben più concreta di crimini efferati.