Tutt’altro che un semplice viaggio pastorale quello del Papa in Ungheria, ma una missione politica tesa ad avviare rapporti diplomatici con il Cremlino passando per l’unico paese europeo che continua a tenere la porta aperta a Mosca. Benché non fosse inserito nel programma ufficiale rilasciato dalla Santa Sede, era forte il sospetto che Bergoglio si recasse a Budapest per incontrare il metropolita Hilarion.
Hilarion è stato il capo dell’Ufficio relazioni esterne del Patriarcato di Mosca e, in quella veste, organizzò lo storico incontro dell’Havana tra papa Francesco e Kirill, nel febbraio 2016. In quell’incontro venne firmata una dichiarazione congiunta in cui si rimarcavano i valori tradizionali della cristianità, vale a dire opposizione all’aborto e ai diritti riproduttivi, rivendicando la “famiglia naturale” quale fondamento della società. L’incontro fu una tappa fondamentale nel decennale percorso di avvicinamento tra il Vaticano e la Chiesa ortodossa russa – individuata come interlocutrice privilegiata per l’intero mondo ortodosso che, com’è noto, si articola in quattordici chiese autocefale suddivise su base nazionale su cui la Chiesa ortodossa russa, maggiore per numero di fedeli, non esercita tuttavia di alcun primato formale.
La dichiarazione congiunta dell’Havana esprimeva inoltre sostegno per l’intervento russo in Siria e in Ucraina nel 2014. Così Kirill, fingendo di accettare il dialogo ecumenico, rafforzava il proprio ruolo di puntello del regime putiniano promuovendo le istanze dell’imperialismo russo. Bergoglio, firmando con Kirill, siglava con Putin un patto per la difesa dei valori cristiani in Europa. Questo è un aspetto centrale, che non va dimenticato: il Vaticano sosteneva la legittimità dell’azione russa sull’Ucraina. Non deve quindi stupire l’atteggiamento ondivago e contraddittorio della Santa Sede nei confronti dell’aggressione russa, tale da spingere il pontefice a definire Putin “un uomo molto saggio”. Lo stesso Bergoglio ha successivamente dichiarato che di fronte alla guerra non si deve distinguere tra buoni e cattivi, perché, a suo dire, il conflitto è provocato dall’espansione a est della NATO, che “abbaia” alle porte della Russia negando, in tal modo, la soggettività degli ucraini in questo conflitto. La relazione tra Santa Sede e Cremlino è di vecchia data e passa anche dal patriarcato russo. Passa, e continua a passarci, malgrado qualche scossone – come quando Bergoglio definì Kirill “il chierichetto di Putin”.
Hilarion è attualmente metropolita di Budapest, dove vive protetto dalle sanzioni. Il governo ucraino ha infatti inserito Hilarion tra i soggetti colpiti da misure economiche e restrittive in relazione al loro appoggio all’azione del Cremlino. Non solo, anche l’Unione Europea aveva proposto sanzioni contro Kirill e i suoi accolti trovando l’opposizione di Orban. La vicinanza tra Budapest e Mosca è stata recentemente confermata da una serie di accordi energetici. L’Ungheria è quindi una “zona franca” dove la diplomazia vaticana può lavorare cercando un dialogo con la Chiesa ortodossa russa e, quindi, con il Cremlino.
Ma che dialogo può offrire la Santa Sede? La malcelata ammirazione per Putin, la prossimità ideologica con i peggiori regimi illiberali – tra cui proprio l’Ungheria – e il sostanziale disinteresse per la sopravvivenza dello Stato ucraino (che è cosa diversa da una generica compassione verso i civili ammazzati) non sembrano garantire una pace giusta ma – come nel caso cinese – una pace tesa ad accogliere le ipotetiche “ragioni di Mosca”. I rapporti intercorsi con il presidente russo Vladimir Putin – l’uomo saggio – e con il patriarca moscovita Kirill gettano un’ombra sulla neutralità della Santa Sede che rischia, una volta di più, di trovarsi dalla parte sbagliata della Storia. Infine, qualora al Cremlino interessi la confusa e contraddittoria azione diplomatica del Vaticano, quali sarebbero gli interlocutori? Washington e Kiev accetteranno di sedersi al tavolo del Papa? Nel migliore dei casi la manovra del Vaticano finirà per fornire legittimazione al Cremlino – come sempre è stato negli ultimi anni – gettando sugli ucraini la colpa morale di non volere una pace “alla russa”.