Per comprendere meglio le tradizioni politiche che attraversano la Turchia odierna, facciamo un passo indietro e vediamo come la cultura, la musica e la politica si sono intrecciate alla nascita e nei primi decenni della Repubblica di Turchia.
Se la cultura e la musica tradizionale hanno sempre profondamente a che fare con l’identità di una nazione, e quindi fondamentalmente con la sua politica, ciò vale più che mai per un paese come la Turchia, che ha dovuto ridefinire se stesso molto rapidamente, all’indomani della fondazione della Repubblica — giusto un secolo fa.
Il confronto con la varietà delle proprie tradizioni culturali in generale, e musicali in particolare, è proseguito nella storia del giovane stato turco.
In tale percorso secolare si sono quindi ridefinite le relazioni con il passato ottomano e quelle con l’Europa e l’Occidente, sono stati rivisti gli equilibri tra la laicità dello stato e la religione islamica, ma anche ridisegnati i rapporti tra le minoranze presenti nella società turca.
Proviamo a capire per sommi capi come questi aspetti siano stati declinati dall’azione e dal pensiero di Kemal Atatürk, fino a definire il posizionamento politico e culturale del cosiddetto kemalismo, movimento ideologico tornato alla ribalta in vista delle imminenti elezioni.
Kemal Atatürk: laicismo e sguardo ad Occidente
Rimandando l’approfondimento della figura fondamentale della Turchia moderna ad articoli, siti e testi disponibili in italiano come questo (a cura del nostro collaboratore Carlo Pallard) o questo (a firma del Prof. Fabio L. Grassi), sottolineiamo qui il ruolo di deciso riformatore che dovette e seppe rivestire Mustafa Kemal Atatürk, come “Padre dei Turchi” e primo Presidente: riprendendo una riorganizzazione attuata già dagli ultimi sultani, nel corso dell’ultimo secolo dell’Impero, Kemal procedette a radicali riforme in campo politico, giuridico, amministrativo, sociale e culturale.
Pressoché la totalità di queste era volta a trasformare rapidamente ed efficacemente la neonata repubblica di Turchia in uno stato-nazione moderno, capace di confrontarsi alla pari con gli altri paesi europei, che ne costituivano il modello.
Le parole-chiave che orientarono gli interventi di Atatürk furono quindi modernizzazione, laicismo, occidentalizzazione.
Sul fronte culturale, al pari o più ancora che su quello politico-amministrativo, il cambiamento fu radicale, comportando degli adattamenti profondi – in certi casi traumatici – per tutta la popolazione.
Si pensi per esempio al cambio dell’alfabeto, con l’abbandono di quello arabo utilizzato per il turco ottomano e l’adozione di quello latino, opportunamente adattato.
L’ambito religioso rimase tutelato in quanto scelta privata, ma sottratto alla sfera pubblica: ciò valse anche per la confessione largamente maggioritaria, cioè l’Islam, improvvisamente privato della natura di religione ufficiale dello Stato, definito e divenuto di fatto laico. Questa svolta secolare, tra i vari provvedimenti adattati, segnerà più che mai profondamente la società turca.
La nuova identità turca nella musica popolare
Il fronte musicale, come spesso succede, rivela ulteriori aspetti meno evidenti del processo di riforma, facendo luce anche su alcune criticità, destinate a rimanere irrisolte e a ripresentarsi in seguito.
Saranno proprio alcune tra queste problematicità latenti del modello kemalista, ereditate dal Partito Popolare Repubblicano (CHP) ad esso ispirato, ad essere raccolte e cavalcate dall’AKP, il partito di Erdoğan.
Il provvedimento di Atatürk forse più notevole in campo musicale fu l’avvio di una ricerca e di una raccolta sistematica della musica popolare di tutta l’Anatolia. Questa iniziativa cominciò appena all’indomani della fondazione della Repubblica, protraendosi dal 1924 al 1953, e portando alla collezione di circa diecimila brani.
Questo archivio, noto come TRT Repertuar Arşivi (l’archivio della Rete radiotelevisiva nazionale), costituisce ancora oggi un importante patrimonio documentario, ma presenta anche dei limiti di tipo “ideologico”. Partendo dal presupposto che la “turchità”, l’identità dei nuovi cittadini della Repubblica di Turchia, fosse o dovesse essere una e una sola, non fu fatta alcuna distinzione di funzioni e contesti dei repertori, che fossero urbani o rurali, colti o popolari, d’autore o anonimi: i criteri di classificazione furono fondamentalmente la zona di provenienza e la “forma” del brano stesso, che venne trascritto in notazione moderna occidentale.
Non addentrandoci ora in dettagli tecnici, si può affermare che prevalse chiaramente uno scopo identitario e unificante, a scapito della valorizzazione delle varie componenti della società e della cultura del paese.
Prime vittime di questa generalizzazione e omologazione furono le minoranze etniche, già qui ignorate e di fatto negate: anche questo rivela e anticipa un aspetto gravido di conseguenze future.
La musica colta e il modello occidentale
La musica colta, erede dell’antica e prestigiosa tradizione ottomana, si orientò ancora più decisamente verso il modello occidentale, proseguendo una tendenza già emersa negli ultimi decenni dell’Impero ottomano, con il progressivo abbandono delle forme e dei modi tradizionali, oltre che con l’impiego sempre più massiccio dell’orchestra e degli strumenti occidentali, a scapito di quelli orientali.
Insieme alla marginalizzazione della cultura religiosa, questo orientamento così filoccidentale contribuì ad isolare progressivamente alcuni strati più tradizionalisti della società.
Mostrando un’ulteriore possibile contraddizione, tale ansia di occidentalizzazione andò inoltre occasionalmente in contrasto proprio con la valorizzazione della cultura musicale locale, come racconta con umorismo surreale questo cortometraggio di Senan Çetin del 2002, ambientato in un villaggio dell’Anatolia orientale nel 1934.
Foto: Anadolu