“Dobbiamo dare una lezione agli Stati Uniti”. Con queste parole, a poco più di un mese dalle elezioni, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha deciso di infiammare il dibattito politico. Le parole del presidente hanno fatto seguito alla visita dell’ambasciatore statunitense Jeff Flake al leader dell’opposizione e prossimo sfidante di Erdoğan alle presidenziali Kemal Kılıçdaroğlu. “Joe Biden parla da laggiù, e cosa fa il suo ambasciatore qui? Va da Kemal. È una vergogna. Sei l’ambasciatore. Il tuo interlocutore qui è il presidente”, ha tuonato Erdoğan. Questo incidente diplomatico è andato così a complicare le già delicatissime relazioni tra Turchia e Stati Uniti in un momento di estrema importanza per la popolazione turca. A due mesi dal terremoto che ha devastato il sud-est del Paese, la Turchia si ritrova nel bel mezzo di una campagna elettorale che anticipa quello che sembra essere una sorta di referendum nei confronti dell’attuale presidente. Ma come sono state le relazioni della Turchia con gli USA negli ultimi anni?
Venti anni difficili
A partire dal 2003, diversi avvenimenti nel corso delle varie amministrazioni statunitensi hanno portato ad un lento ed inesorabile deterioramento delle relazioni tra i due paesi. In principio, sotto la presidenza di George W. Bush, vi fu il rifiuto di Ankara di concedere agli Stati Uniti la possibilità di invadere l’Iraq muovendosi dal confine turco. All’epoca, l’opinione pubblica turca riteneva ingiusto l’attacco statunitense all’Iraq di Saddam Hussein, creando così una prima crepa nelle relazioni tra i due paesi. Sotto l’amministrazione Obama vi furono le primavere arabe, che videro la Turchia svolgere un ruolo da protagonista. Inizialmente Ankara e Washington si trovarono sulla stessa lunghezza d’onda nell’appoggio all’Esercito Siriano Libero contro il presidente Assad. Ma quando gli Stati Uniti nella lotta all’ISIS decisero di appoggiare le milizie dello YPG, classificata come organizzazione terroristica dalla Turchia, le relazioni diplomatiche tra i due paesi subirono un ulteriore deterioramento. La situazione migliorò sotto la presidenza di Donald Trump. Con il Tycoon alla Casa Bianca, gli Stati Uniti optarono per il ritiro dal Nord-Est della Siria, mossa particolarmente apprezzata da Erdoğan che diede il via all’operazione militare “Sorgente di Pace” contro le forze curde. Inoltre, dopo l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021, il presidente turco, riferendosi al ban di Trump dai social media, parlò di una minaccia alla democrazia e alle libertà rappresentata dal fascismo digitale. Tra i momenti di maggiore tensione sotto l’amministrazione Trump vi è stata la visita di Ismail Haniyeh, storico leader di Hamas, a Erdogan, in risposta agli Accordi di Abramo. Ma la situazione è tornata a farsi ancora più tesa con Biden, soprattutto quando il presidente americano si è riferito al massacro degli armeni del 1915 con la parola genocidio, da sempre negato da Ankara.
La politica estera dopo le elezioni
Un altro argomento sul quale si interrogano in molti è la futura posizione di Ankara in politica estera dopo le elezioni. A tenere banco ultimamente, soprattutto per quanto riguarda le relazioni con gli Stati Uniti, è stata la questione sull’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato. Se Helsinki è entrata nell’Alleanza Atlantica lo scorso 4 aprile, diversa è la situazione per Stoccolma. Tra le condizioni turche per approvare l’ingresso svedese nella NATO vi è anche la richiesta di estradizione di 120 curdi. La questione resta delicata e il periodo successivo alle elezioni potrebbe portare delle risposte. Diversi analisti, a prescindere dal risultato elettorale, prevedono che i principali interlocutori occidentali della Turchia dopo le elezioni saranno Londra e Bruxelles, con un peso minore da parte di Washington. Inoltre ci si interroga se in caso di sconfitta di Erdoğan si tornerà ad un approccio meno personalistico alla geopolitica, con il ministero degli esteri di nuovo protagonista. Negli ultimi dieci anni la politica estera è diventata quasi una questione personale per l’attuale presidente, e in caso di una sua conferma ci si chiede se si proseguirà sulla stessa lunghezza d’onda. Vi sono diverse questioni ancora in ballo, tra cui anche il riavvicinamento con l’Egitto e la Siria. A livello internazionale il ruolo della Turchia resta di fondamentale importanza agli occhi degli osservatori, sia per la questione NATO sia per chi vedrebbe in Erdoğan un possibile mediatore tra Russia e Ucraina.
Nel 1999 un devastante terremoto portò via migliaia di vite e seppellì la vecchia politica turca sotto le macerie. Da quelle macerie emerse proprio l’attuale presidente della Turchia. La storia si ripeterà o gli attuali volti della politica turca ne usciranno vincitori?
foto: Arab News