ROAR (prima Russian Oppositional Arts Review, oggi Resistance and Oppositional Arts Review) è una rivista d’opposizione online fondata da Linor Goralik e raccoglie al suo interno diverse forme di espressione artistica, che vanno dalla poesia ai saggi, dalla drammaturgia alla prosa, dall’arte alla musica.
ROAR è necessaria, ma speriamo che venga chiusa
ROAR, rivista online che viene pubblicata con cadenza bimestrale dal 24 aprile 2022, ha come scopo quello di far conoscere ai lettori le voci della cultura russofona che si oppongono alla cultura ufficiale succube della propaganda putiniana. Non ha una linea editoriale fissa, ogni numero, infatti, viene impostato su un tema ritenuto particolarmente significativo in un dato momento; il primo, naturalmente, è stato incentrato sulla guerra che la Russia ha scatenato contro l’Ucraina. L’orientamento generale resta quello di opposizione all’attuale regime, e la data del 24 febbraio 2022 rappresenta con ogni probabilità la goccia che ha fatto traboccare il vaso e ha portato alla nascita di una resistenza russa che vuole gridare, non solo dire o scrivere (la scelta del termine onomatopeico ROAR non è certo casuale).
Ogni numero della rivista viene pubblicato almeno in due lingue, russo (in versione completa) e inglese (una selezione di testi). Dal sesto numero la versione russa diventa ucraina/russa.
Fin dal primo editoriale risulta significativo l’auspicio della redazione di ROAR: si attende con ansia il momento in cui la rivista verrà chiusa per sempre, ovvero quando questa modalità di espressione non sarà più classificata come pericolosa, occidentalizzante, antiputiniana, necessaria, e, dunque, quando il regime crollerà.
Nel frattempo, il lavoro prosegue da quasi un anno, chi vi collabora lo fa in modo volontario e, se lo desidera, anonimo.
La rivista cambia nome
Il 1° marzo 2023 è uscito il sesto numero di ROAR e, nell’editoriale firmato da Goralik, è stata spiegata la scelta che ha portato la rivista a cambiare nome, e non solo.
In questo numero la sezione dedicata alla poesia si apre con l’opera del poeta ucraino Vlad Petrenko intitolata “Congo”. Proprio accanto al testo in lingua ucraina troviamo la traduzione in russo eseguita dall’autore stesso: da questo momento in poi sarebbe scorretto leggere l’acronimo ROAR come Russian Oppositional Arts Review, o chiamare la versione “russa” sul sito russo. Dunque, questa scelta ha portato ad alcuni cambiamenti: la prima parola che forma l’acronimo infatti non è più Russian ma Resistance. Probabilmente non è solo una scelta logica dettata dall’uso di due lingue distinte all’interno della stessa versione, quanto piuttosto la volontà di creare uno spazio totalmente inclusivo che renda bene anche l’atteggiamento che stanno adottando le persone per gestire questo momento: (opporre) resistenza. Quindi, i termini che formano l’acronimo sono Resistance and Oppositional Arts Review; mentre, i link alla versione inglese e alle future versioni francese, italiana e giapponese (ad oggi sono queste le lingue in cui si possono leggere alcuni testi della rivista) porteranno alla versione ucraina/russa. Inoltre, Goralik si augura di poter inserire nei prossimi numeri altri autori ucraini, che decideranno liberamente se tradurre o meno i propri testi in lingua russa.
Pensarla in modo diverso
Sfortunatamente la Russia (e non solo) ha sempre visto negarsi le libertà fondamentali. In URSS, a partire dagli anni ’60, le persone che si opponevano al regime sovietico venivano chiamate inakomysljaščie, “diversamente pensanti”. Questa definizione è apparsa spesso più appropriata di quella di “dissidenti”. La parola dissenso, infatti, implica una connotazione negativa e va a indicare una presa di posizione contraria rispetto allo stato di cose esistenti. In questa logica il dissenso ha rappresentato un atteggiamento avverso alla politica sovietica, che era edificata però su un consenso costruito. Sono passati sessant’anni, l’URSS è crollata, eppure il consenso è rimasto costruito.
In passato, la necessità di opporsi al regime ed esprimersi liberamente ha portato alla nascita di una cultura non ufficiale, sotterranea, clandestina: il samizdat (auto-edizione), e parallelamente il tamizdat (la pubblicazione all’estero), due fenomeni che hanno permesso la divulgazione di tutti quei testi che non rientravano nei canoni ufficiali della cultura sovietica. Con l’avvento dell’era digitale il medium è cambiato, ma la sostanza è rimasta la medesima: rivendicare il diritto di esprimere la propria opinione, senza nessun tipo di censura, informare, opporre resistenza, “scrivere la verità per far vivere la parola”, come diceva uno scrittore russo negli anni ‘60.
Prima i testi non “graditi” circolavano di mano in mano, venivano ricopiati di notte, le persone vivevano con la paura costante di essere scoperte. Oggi la paura non se n’è andata, ma la possibilità di far sentire la propria voce, anche a migliaia di km di distanza, fa “rivivere” questi fenomeni culturali tipicamente sovietici.
ROAR in italiano
A marzo 2022 nasce il collettivo autonomo Russia Resistente con lo scopo di dar voce all’opposizione russofona, e dalla scorsa estate inizia a occuparsi della traduzione di ROAR in lingua italiana. Anche questa attività si svolge su base volontaria e con la possibilità di ricorrere all’utilizzo di uno pseudonimo.
Goralik dice che la guerra che la Russia sta conducendo contro l’Ucraina è diventata una sorta di diapason, un tema comune, un modo di cantare all’unisono, in stanze diverse, che se venissero unite in un’unica grande stanza formerebbero un coro incredibile. Risulta dunque fondamentale il lavoro svolto da Russia Resistente, che ci permette di leggere in lingua italiana gli autori che la pensano diversamente e ci fanno diventare spettatori di questo enorme spettacolo (avvilente se si pensa alle repressioni cui sono costretti e le privazioni che soffrono, ma che resta inclusivo e fondamentale). Autori che ci ricordano, in modo più o meno diretto, che la Russia non è Putin, non è la sua politica, non è la sua attività repressiva. La Russia è ben altro, e sta resistendo.