Quella tra Papa Francesco e Vladimir Putin è una vecchia relazione di fiducia e stima che il pontefice fatica a lasciarsi alle spalle, sancendo la propria inadeguatezza a mediare tra Russia e Ucraina….
Angelo della pace
Era un mercoledì di giugno dell’anno 2015 quando Vladimir Putin arrivò in Vaticano con più di un’ora di ritardo. Ad attenderlo, Papa Francesco, per un incontro che fu il risultato di un lungo lavoro preparatorio tra le due diplomazie. La Russia stava ancora scontando l’isolamento diplomatico a seguito dell’annessione della Crimea, mentre nel Donbass era in corso un conflitto a bassa intensità. Scopo dell’incontro era “restaurare un clima di dialogo”. Lo scambio di doni fu eloquente. Il Papa consegnò a Putin un medaglione raffigurante “l’angelo della pace” e in cambio ricevette l’icona della Madonna di Vladimir, dal potente significato simbolico, poiché fu quella che Stalin fece volare su Mosca durante l’avanzata nazista. Quale fosse il nuovo «nazismo» da combattere è oggi finalmente chiaro, alla luce delle molteplici dichiarazioni del Cremlino tese a giustificare l’aggressione all’Ucraina come una “de-nazificazione” del paese.
Garante della pace
Quell’incontro fu per Putin il primo a livello internazionale dopo l’annessione della Crimea e servì a rompere l’isolamento di Mosca. Il Vaticano, dal canto suo, fece appello al Cremlino affinché “cessino le violenze in Siria” esprimendo preoccupazione per “la persecuzione dei cristiani siriaci” ad opera dei fondamentalisti islamici. “Così – scrive Matteo Matzuzzi sul Foglio – quando la Russia è intervenuta in Siria, il Vaticano deve aver apprezzato”. Un intervento che è costato crimini di guerra, bombe a grappolo, la distruzione di Aleppo. Già nel 2013, con una lettera, inviata a Vladimir Putin in occasione del vertice dei G-20 di San Pietroburgo, la Santa Sede aveva indicato al Cremlino la necessità di raggiungere una pace in Siria, rivolgendo a Putin un appello perché se ne facesse garante. Insomma, il Vaticano vedeva nella Russia putiniana una potenza capace di assicurare la pace e, al contempo, di difendere la cristianità. E questo malgrado l’annessione della Crimea fosse già avvenuta.
Quella volta all’Havana
L’avvicinamento tra Santa Sede e il Cremlino si deve al lungo percorso di riavvicinamento tra il Vaticano e la Chiesa ortodossa russa – individuata come interlocutrice privilegiata per l’intero mondo ortodosso che, com’è noto, si articola in quattordici chiese autocefale suddivise su base nazionale. La Chiesa ortodossa russa, maggiore per numero di fedeli, non gode tuttavia di alcun primato ma vanta solide relazioni con quella serba, bulgara e siriaca, ricalcando quelle che sono le tradizionali alleanze politiche del Cremlino. La Chiesa ortodossa russa rappresenta il braccio spirituale del Cremlino sancendo un’alleanza tra trono e altare che si è rafforzata notevolmente negli ultimi anni, grazie all’operato di Kirill, a capo della chiesa russa dal 2009. La chiesa è investita, nella nuova Russia putiniana, del compito di istruire i giovani ai valori tradizionali russi, di rafforzare lo spirito patriottico, di sostenere il ruolo della maternità e della famiglia tradizionale e Kirill accompagna spesso Putin nei suoi viaggi diplomatici affiancandolo con “missioni pastorali”.
Non stupisce quindi che nel 2016 il patriarca russo Kirill abbia incontrato Papa Francesco in un vero e proprio summit che ebbe luogo all’Havana. Qui i due firmarono una dichiarazione congiunta in cui si rimarcavano i valori tradizionali della Chiesa, vale a dire opposizione all’aborto e ai diritti riproduttivi, rifiuto della denaturalizzazione dell’ordine sessuale, rivendicando la “famiglia naturale” quale fondamento della società. Non mancarono inoltre preoccupati richiami alla secolarizzazione del mondo, allo sfaldamento della tenuta morale dell’Occidente, con l’auspicio di una “necessaria rinascita spirituale”. Il documento sanciva così l’intesa politica – se non dottrinale – tra le due chiese segnando un netto riavvicinamento, Non mancò una dichiarazione a sostegno dell’intervento russo in Siria e in Ucraina. Papa Francesco fu quindi pronto a barattare gli ucraini in cambio di un’alleanza con Kirill.
Un uomo molto saggio
Quando il patriarca Kirill definiva Vladimir Putin “l’ultimo difensore dell’Europa” contro “le derive nichilistiche dell’Occidente” nessuno, in Vaticano, ha pensato di smarcarsi. Anzi, ancora nel giugno 2022, con gli orrori compiuti dai russi ormai evidenti a chiunque avesse l’onestà di vederli, Papa Francesco dichiarava che Vladimir Putin è “un uomo saggio, che parla poco, davvero molto saggio”. Un criminale di guerra, ma saggio, L’uomo della provvidenza, proprio.
Appare chiaro come il desiderio del Papa di riunificare i cristiani valga più di ogni richiesta di giustizia del popolo ucraino. Bergoglio è riuscito a prodursi solo in qualche balbettío di generica condanna alla guerra e compassione verso le vittime, dimenticando sempre il nome dell’aggressore. D’altronde, ebbe a dire Bergoglio, non si deve distinguere tra buoni e cattivi, perché, a suo dire, il conflitto è provocato dall’espansione a est della NATO, che “abbaia” alle porte della Russia. In questa affermazione c’è la negazione degli ucraini come attore di questo conflitto: la guerra sarebbe solo tra NATO e Russia, i buoni non ci sono, gli ucraini nemmeno.
Un palcoscenico per Vlad
Una visione che restituisce, se non malafede, totale ignoranza del mondo. La guida spirituale dell’Occidente – almeno, di una parte cospicua di esso – finisce per mostrarsi un nano politico, dalla brevissima visione del futuro e dallo sguardo miope sul presente, buono per abbindolare vecchine con sorrisi compassionevoli, ma così sprovveduto (o complice) da aver offerto all’autocrate di Mosca la possibilità di dipingersi come baluardo della moralità. E non da oggi. Nel 2019, all’indomani della sua visita – la terza – in Vaticano, Vladimir Putin dichiarava al Financial Times il proprio apprezzamento per la Chiesa cattolica “attaccata dall’ideologia liberale”, dicendosi pronto a fornire aiuti pubblici alla Chiesa cattolica in Russia. A latere dell’incontro, l’ambasciatore russo presso la Santa Sede fu lesto ad affermare che il Papa sosteneva gli Accordi di Minsk – il capestro con cui si congelò il conflitto dandola vinta a Mosca. La passerella servì anche a rivedere vecchi e nuovi sodali politici italiani, da Salvini a Berlusconi, Anche allora, Papa Francesco offrì all’autocrate del Cremlino una ribalta da cui irretire l’opinione pubblica internazionale – e quella italiana in particolare, che lo adora da sempre.
Amici di Orban
Papa Francesco ha poi definito il conflitto in Ucraina come “una guerra fratricida” sollevando le ire dei greco-cattolici locali che si sono sentiti traditi e abbandonati, e l’unica volta che ha accusato Mosca di essere responsabile della guerra, è riuscito a dare la colpa alle minoranze etniche: “i più crudeli sono quelli che sono della Russia ma non sono della tradizione russa, come i ceceni, i buriati e così via”. Le minoranze etniche, in realtà, sono vittime della tradizione imperialista russa, prima zarista e poi sovietica, e sono stati usati come carne da cannone dall’autocrate di Mosca.
Sfondone dopo sfondone, Papa Francesco arriverà presto in Ungheria dove, a fine aprile, passerà tre giorni in compagnia di Orban, altro despota – deve averli in simpatia – con cui condivide molte cose: dalla difesa della famiglia tradizionale, alla propensione verso Mosca. Il governo ungherese è infatti l’unico, in Europa, ad essersi opposto alle sanzioni alla Russia e alla fornitura di aiuti militari a Kiev dopo aver a lungo elogiato la Russia come modello di governo illiberale. D’altronde è comprensibile che un monarca a capo di uno stato teocratico possa non nutrire molte simpatie verso la democrazia e i diritti individuali.
No alla guerra, sì alle armi
Nel settembre 2022, sul volo di ritorno dal suo viaggio in Kazakhstan, Papa Francesco dichiarò ai giornalisti che che l’invio di armi all’Ucraina è un atto morale se la motivazione è morale. Ovvero, inviare armi per provocare una guerra è “immorale”, ha detto il pontefice, ma se si tratta di difendersi allora è lecito: “La motivazione è quella che in gran parte qualifica la moralità di questo atto – ha detto Bergoglio – Difendersi è non solo lecito, ma anche una espressione di amore alla Patria. Chi non si difende, chi non difende qualcosa, non la ama, invece chi difende, ama”. Una dichiarazione che segnò l’ennesima giravolta, l’ennesimo sforzo contorsionistico, di un pontefice che da mesi appare ondivago, quando non ambiguo, rispetto al conflitto che oppone Russia e Ucraina.
Il mediatore impossibile
Papa Francesco si propone oggi come mediatore tra Russia e Ucraina ma le molte contraddizioni, giravolte, ambiguità, lo rendono il meno adatto al compito. Un compito troppo alto per un leader politico che incespica a ogni passo, che ha espresso fin troppo chiaramente la propria benevolenza verso il Cremlino, e che ha sottoscritto accordi con il patriarca Kirill. Solamente l’abituale conformismo e ossequioso bigottismo italico può ancora giustificare il riguardo verso l’agire politico di Bergoglio. Ma dopo aver visto in Putin un possibile garante della pace, un “angelo della pace”, ritenendolo un uomo “molto saggio”, la cui azione non sarebbe che il risultato dell’espansionismo NATO – ecco, dopo tutto questo come si può pensare che Papa Francesco sia in grado di negoziare alcunché? Nessuno (a Kiev, a Washington, a Berlino e nemmeno a Mosca) vede nel pontefice qualcuno capace di mediare. L’infallibilità del Papa è un dogma cui più nessuno ormai crede e, di fronte alle sistematiche cantonate di Bergoglio, sarebbe ridicolo crederci.
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