E’ morta a 73 anni, esule ad Amsterdam, Dubravka Ugrešić, una delle maggiori scrittrici contemporanee. In un certo senso la Ugrešić è stata una dissidente a tutto tondo. Una dissidente non nel senso classico prodotto dai socialismi reali dell’est europeo. E nemmeno una dissidente in salsa jugoslava, quella che richiama – ad esempio – la tragicità di Goli Otok o l’esperienza paradigmatica di Milovan Đilas. Diciamo piuttosto che è stata una post dissidente, ovverossia una dissidente del dopo.
Il dopo è rappresentato dalla bava velenosa del nazionalismo che accompagna i Balcani ex jugoslavi negli anni novanta, specie in Croazia ed in Serbia. La Ugrešić, ostracizzata e messa all’indice anche dai colleghi intellettuali di Zagabria, viene definita “prostituta, strega, traditrice”, epiteti del classico repertorio dei vocabolari nazionalistici. Se ne va dalla Croazia nel 1993, l’anno dell’eccidio (croato) della sacca di Medak.
Vivrà per trent’anni tra Olanda e Stati Uniti, raccogliendo riconoscimenti letterari internazionali ma anche “seguendo” il personaggio del suo Ministero del dolore, un romanzo del 2004 nel quale la protagonista, Tanja Lucić, esule da Zagabria vive da rifugiata ad Amsterdam dove si barcamena insegnando serbo-croato. E soprattutto esperisce la frammentazione del linguaggio e dell’identità, salvandosi – per quanto possibile – con la costruzione di una specie di museo personale fatto di immagini in cui riconoscersi, di nostalgie a cui aggrapparsi, di modi di dire e di ricordi, tanti ricordi. Di tutto questo fanno fede soprattutto le fotografie: “La vita non è altro che un album di fotografie. Quel che nell’album manca, non è nemmeno mai accaduto”.
La Ugrešić scrive che “Gli abitanti dell’ex Jugoslavia si sono improvvisamente trovati nella situazione di avere due vite e una sola biografia. I più anziani, di vite sono riusciti a collezionarne addirittura tre”. Non è facile allora avere una memoria. Quella collettiva e ufficiale è stata completamente riscritta dai nuovi regimi nazionalisti post comunisti, che hanno ovviamente bandito la “jugomemoria” e hanno confiscato le precedenti memorie condivise. Rimangono le memorie personali, che diventano, per molti ex jugoslavi, l’unica forma di memoria collettiva possibile. Non è molto, e non è nemmeno facile, come insegnano le peripezie frantumate del personaggio Tanja Lucić. Però i ricordi sono – soprattutto per chi è sradicato ed espulso da un paese che non c’è più, anzi che si vorrebbe che non ci fosse mai stato – l’unico modo per non perdere il passato (quello vero, non quello menzognero reinventato dai nazionalismi) e per vivere con dignità il tempo presente. E’ questo il senso (e l’insegnamento) della trentennale dissidenza post jugoslava della Ugrešić.
Foto: Music & Literature