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La questione della minoranza romena in Ucraina e le sue strumentalizzazioni

La legge sulle minoranze promulgata dal governo ucraino ha scatenato un acceso dibattito interno in Romania mostrando preoccupazioni e ansie di un paese in prima linea, ma anche strumentalizzazioni e nazionalismo – mentre sullo sfondo la guerra continua …

La legge sulle minoranze varata dal governo ucraino ha destato preoccupazioni a Bucarest ed è stata al centro di una lunga telefonata intercorsa, nel gennaio scorso, tra i due presidenti Iohannis e Zelensky. Ai rilievi del presidente rumeno Klaus Iohannis, di cui abbiamo parlato qui, sono seguite una serie di dichiarazioni molto più aggressive riportate alla stampa interna da diversi esponenti di governo, che hanno definito la legge come “ingiusta e offensiva”. La questione dei diritti della minoranza romena in Ucraina si intreccia con quella della guerra e del sostegno economico e militare che Bucarest sta fornendo a Kiev.

“Una legge deplorevole”

Il presidente della camera dei deputati Marcel Ciolacu è arrivato a paventare la possibilità che la Romania ritiri il suo sostegno all’adesione alla UE della Ucraina, se continuassero a non venire assicurate “le più solide garanzie per il rispetto dei diritti della minoranza romena” in Ucraina. Lo stesso ministro degli esteri, Bogdan Aurescu, ha definito la legge ucraina un atto “deplorevole”.

Il partito di estrema destra Alleanza per l’Unione dei Rumeni (AUR) si è dichiarato “scandalizzato”. Il suo leader George Simion ha infatti proclamato: “La Romania non può più aiutare l’Ucraina se i rumeni di Cernauti sono continuamente insultati”. Il riferimento è alla città di Černivci, capoluogo dell’oblast ucraino della Bucovina, la regione di frontiera fra Ucraina e Romania in cui risiede la maggioranza dei rumeni di Ucraina. L’estrema destra ha tuttavia convenienza nello strumentalizzare ed enfatizzare la questione al fine di ottenere consensi nell’elettorato nazionalista.

Una legge contro i russi, non contro i romeni

Ma c’è anche chi la vede diversamente: fra questi, il professore di Scienze politiche all’Università di Bucarest, Cristian Pîrvulescu, secondo cui la legge va collocata nel contesto bellico e sarà modificata “nel momento in cui la situazione politica lo permetterà”. “Il momento è totalmente inopportuno per dei cambiamenti radicali”, afferma Pirvulescu, “Nel momento in cui si discuterà dell’integrazione dell’Ucraina nell’UE potremo sollevare tutte le richieste democratiche, ma solo dopo la fine della guerra. Discutere di questi problemi come se fossimo in condizioni normali è un errore fondamentale.” Secondo Pîrvulescu, l’obiettivo della legge non sarebbe cancellare le minoranze di per sé, neanche quella russa, ma contrastare la propaganda di Mosca. In un passaggio del testo legislativo si introduce infatti il concetto di “regime totalitario nazista russo”, che non può essere sostenuto “da nessuna minoranza”. La legge vieta esplicitamente “la divulgazione della propaganda russa”. “Si sta lottando per l’identità ucraina, che significa la lingua e la cultura ucraina, significa [anche] il riconoscimento delle minoranze, ma non significa la federalizzazione dell’Ucraina” spiega Pirvulescu. Il senso è chiaro: al momento la protezione dei diritti delle minoranze non può andare a discapito dell’unità nazionale, della tenuta del paese e dell’integrità territoriale dell’Ucraina.

Unità nazionale e minoranze

La tanto criticata legge garantisce comunque i diritti fondamentali e non restringe i diritti già esistenti di cui godono le minoranze, pur senza accordarne di nuovi. Allo stesso tempo, l’Ucraina ha avviato dall’anno scorso il percorso ufficiale per entrare in UE, un processo legato all’adempimento e alla progressiva armonizzazione del paese candidato alla legislazione europea.

Per Pîrvulescu, considerare la legge “come un gesto diretto contro la minoranza romena […] è una fondamentale mancanza di comprensione” del contesto politico attuale in Ucraina, arrivando a sostenere che “non tenere in considerazione le circostanze è ignoranza o cattiva intenzione, se non persino un atteggiamento pro-russo”. Il politologo precisa che l’appartenenza all’UE vuol dire anche il rispetto dell’identità e delle autonomie culturali minoritarie: “Ovviamente permettere alle minoranze di esprimersi nella loro cultura, nella loro lingua è un atto democratico. L’Ucraina ha degli obblighi che si è assunta da questo punto di vista, le sentenze della Corte Europea la obbligano in una certa direzione. Ma è una situazione che si applica nelle condizioni in cui le priorità non sono più legate alla guerra”.

Il contesto della guerra

La complessa questione linguistica in Ucraina è diventata ora più che mai delicata. Il tema dei diritti delle minoranze è stato infatti reso più difficile e divisivo a causa della guerra. Soprattutto nelle regioni orientali, l’uso della lingua russa è stato negli anni considerato sempre più strumento di ingerenza russa, e la minoranza russofona è stata vista come un mezzo che Mosca utilizza per minare l’autorità statale ucraina, corrodere la coesione nazionale e fomentare il separatismo. È dunque questo il contesto in cui si inseriscono le leggi sulle minoranze. Infatti, l’imposizione dell’uso della lingua ucraina, secondo la legge del 2019, ha allo stesso tempo il duplice scopo di rafforzare e consolidare l’identità nazionale, ed è quindi essenziale per la sicurezza del paese, e segnala anche la volontà politica di un distacco dalla Russia e un avvicinamento all’Europa, assumendo, quindi, il significato altamente simbolico di volersi sottrarre alla storica presenza e influenza russa esercitata sull’Ucraina.

La difesa nazionale si scontra al contempo, però, con il principio per cui lo stato dovrebbe tutelare e garantire i diritti delle minoranze. Un argomento su cui il presidente russo Vladimir Putin ha basato tutta la sua retorica di giustificazione dell’intervento russo in Ucraina e, prima ancora, in Crimea e Donbass, come ricorda anche il sociologo Mircea Kivu: “È chiaro che la legge prende di mira principalmente i russofoni e, da questo punto di vista, parlando come strategia dello stato ucraino, mi sembra un errore, perché porta acqua al mulino delle teorie dei russi che dicono che la minoranza russa è oppressa”.

I timori di Bucarest possono essere legittimi ma occorre evitare manipolazioni ed essere realisti: in un momento in cui l’Ucraina lotta per la sopravvivenza come stato, è comprensibile che alcune riforme vengano procrastinate. Occorre poi ricordare come, negli anni Novanta, le stesse accuse furono rivolte contro Bucarest dal governo ungherese che cercò di utilizzare la questione della minoranza magiara in Transilvania per influenzare la vita politica romena. L’Ucraina è un paese in guerra. Nell’aprile 2022 Zelensky aveva trasmesso un messaggio al parlamento romeno in cui affermava di volere “iniziare un dialogo con la Romania per la protezione della minoranza rumena in Ucraina”, precisando “quando la situazione lo permetterà”. Le priorità di Kyiv ora sono altre.

Foto: 60m.ro, 12/02/2021

Chi è Rebecca Grossi

Appassionata di politica e di tutto ciò che sta al di là della ex Cortina di ferro, ha frequentato Studi Internazionali a Trento e Studi sull'Est Europa presso l'Università di Bologna. Dopo soggiorni più o meno lunghi di studio e lavoro in Austria, Grecia, Germania, Romania e Slovenia, abita ora a Lipsia, nell'ex DDR, dove è impegnata in un dottorato di ricerca sul ruolo del Mar Nero nella strategia geopolitica della Romania. Per East Journal si occupa principalmente di Romania.

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