Il presidente romeno Klaus Iohannis e quello ucraino Volodymyr Zelensky hanno avuto un lungo colloquio telefonico a gennaio 2023. Fra i temi, la nuova legge ucraina sulle minoranze, una questione problematica per Bucarest da molto tempo…
Introduzione
Il presidente rumeno Klaus Iohannis ha telefonato a inizio gennaio 2023 al presidente ucraino Volodymyr Zelensky, per esprimere la sua vicinanza e solidarietà al paese a seguito dei continui attacchi aerei da parte della Russia su obiettivi civili e infrastrutture fondamentali – attacchi che il diritto internazionale considera illegittimi e declina come crimini di guerra.
Durante la telefonata, Iohannis ha ribadito la disponibilità di Bucarest a fornire aiuto e assistenza a Kyiv fino a che sarà necessario. La Romania è stata al fianco dell’Ucraina fin dai primissimi giorni dallo scoppio della guerra, fornendo un aiuto “consistente e multiforme” – dalla risoluta adozione di tutte le sanzioni contro Mosca, all’accoglienza dei rifugiati ucraini in fuga dal conflitto, fino all’aiuto fornito per il trasporto di merci e grano dall’Ucraina attraverso il proprio territorio, via terra e via mare tramite il porto di Costanza sul Mar Nero (pare anche autorizzando la fornitura di armi e munizioni a Kyiv, ma su questo Bucarest mantiene un comprensibile riserbo).
Oltre ai convenevoli, c’era però un altro motivo per il colloquio telefonico: i due leader hanno parlato della recente legge sulle minoranze adottata da Kyiv il mese precedente, in dicembre 2022, una legge che ha provocato non pochi malumori a Bucarest.
La legge sulle minoranze
Diversi sono infatti gli aspetti preoccupanti della legge sollevati da Iohannis: innanzitutto, l’accesso all’istruzione in lingua da parte della minoranza rumena di Ucraina, e il fatto che Kyiv non abbia rinunciato alle cosiddette “quote linguistiche”, secondo cui dalla classe V in poi (corrispondente alla fine della nostra scuola primaria) vengono introdotte delle quote sempre maggiori di insegnamento in lingua ucraina, fino ad avere l’intero programma scolastico nella sola lingua di stato, cioè l’ucraino. Il presidente romeno ha poi sottolineato la mancanza di chiarezza circa la possibilità concreta di usare il romeno nei rapporti con l’autorità giudiziaria e l’amministrazione pubblica, determinando una generale assenza di garanzie affinché i cittadini possano essere assistiti nei servizi pubblici nelle lingue minoritarie. Un altro motivo di preoccupazione è l’ambiguità legata ai finanziamenti per le associazioni delle minoranze e i media in lingua rumena. Fra le lamentele di Iohannis, anche la mancanza di un dialogo preventivo con i rappresentanti delle minoranze – anche se Kyiv aveva precedentemente assicurato la volontà di coinvolgerli nella messa a punto della legge.
Come riportato dallo stesso comunicato ufficiale pubblicato dall’amministrazione presidenziale, “la nuova legge sulle minoranze nazionali ha creato preoccupazione e insoddisfazione a livello delle autorità romene”. Iohannis ha dunque chiesto a Kyiv di “identificare velocemente soluzioni per rispondere e rimediare” alle preoccupazioni avanzate da Bucarest. Richiesta cui Zelensky ha risposto confermando “la sua totale apertura a identificare soluzioni, così che la comunità rumena in Ucraina possa godere degli stessi diritti della comunità ucraina in Romania”. I due presidenti si sono infine accordati per organizzare al più presto un incontro bilaterale fra i rispettivi ministri degli esteri in cui riprendere il confronto sulla questione.
Le rassicurazioni del presidente ucraino avevano il duplice intento di non compromettere il sostegno di lunga data della Romania all’integrazione in Unione Europea di Kyiv e non inimicarsi l’appoggio di un paese che da più di un anno sostiene lo sforzo bellico dell’Ucraina.
Una contrapposizione di lunga data
La questione non è nuova: per la Romania da tempo le politiche di Kyiv sulle minoranze sono problematiche, a partire dalla decisione del governo ucraino di chiudere le scuole pubbliche in lingua romena per mancanza di un numero sufficiente di studenti. Il contrasto di fondo ha a che fare con la modalità di classificazione con cui l’Ucraina, secondo la Romania, impone una divisione artificiosa fra romeni e moldavi. Per Bucarest infatti la lingua e identità nazionale moldava sono considerate quasi un’invenzione sovietica, messa in atto per diluire l’identità romena nei territori rivendicati da Mosca a seguito dell’accordo sul patto Molotov-Ribbentropp nel 1939 fra Germania e Unione Sovietica. Dal punto di vista demografico, infatti, l’Ucraina distingue romeni e moldavi come due gruppi minoritari separati, una decisione che di fatto divide in due la comunità parlante romeno. Le pressioni di Bucarest di unirli in un unico gruppo linguistico non hanno per ora condotto da nessuna parte.
In Ucraina vive da tempo una consistente minoranza di lingua romena, divisa fra circa 150 000 etnici rumeni e più di 250 000 moldavi, che insieme compongono il terzo gruppo etnico-linguistico del paese, dopo ucraini e russi. Come riportato infatti dalla suddivisione etnica in Ucraina stilata a seguito dell’ultimo censimento del 2001 (!), quasi il 78% della popolazione si dichiarerebbe ucraino, circa il 17% russo, i moldavi rappresenterebbero lo 0,5 della popolazione e i romeni lo 0,3.
Le tensioni fra Bucarest e Kyiv sui diritti linguistici della minoranza serpeggiano dall’anno scorso: in aprile 2022, pochi mesi dopo lo scoppio della guerra, Zelensky aveva ribadito in un discorso al Parlamento romeno l’intenzione ucraina di cercare un nuovo accordo con Bucarest per risolvere i problemi fra i due paesi. “Appena la situazione lo permetterà, vorrei discutere un nuovo accordo onnicomprensivo che garantisca l’assoluta protezione e lo sviluppo integrale” della minoranza romena di Ucraina. Nello stesso mese, in occasione di una visita a Kyiv, il primo ministro rumeno Nicolae Ciucă aveva ricordato che “le famiglie ucraine che sono arrivate in Romania sono al sicuro” e che la Romania “si sta prendendo cura di tutti gli ucraini che sono arrivati” [circa 650 000 persone, al momento del discorso ndr.]. “Come noi ci prendiamo cura dei vostri cittadini, così sono convinto che anche voi vi prenderete cura dei cittadini romeni in Ucraina”.
Cosa contiene questa “legge della discordia”
La regolamentazione dei diritti delle minoranze in Ucraina secondo gli standard e le norme europee è una delle condizioni per il processo di integrazione in UE. Ed è proprio alla richiesta europea di ampliare le protezioni istituzionali per le minoranze che vivono sul suolo ucraino e adeguare la legislazione nazionale all’aquis communautaire (l’insieme delle regole, valori, pratiche e standard comuni all’interno della UE) che risponde la legge adottata a dicembre 2022.
Ma cosa c’è scritto nel testo legislativo? La legge contiene una definizione del concetto di minoranza nazionale e prevede “i diritti, le libertà e gli obblighi” dei membri dei gruppi etnici minoritari. Lo stesso uso dell’espressione “minoranza” era già stato all’origine di accese discussioni al momento della stesura del testo legislativo, pare per il supposto tentativo da parte di Kyiv di adottare l’espressione “comunità nazionale”, cosa che avrebbe escluso dalla tutela costituzionale e internazionale di cui godono le minoranze.
Elenca nello specifico i diritti riconosciuti agli appartenenti di questi gruppi, fra cui: il diritto a “l’auto-identità, la libertà di associazione e di assemblea pacifica, la libertà di opinione, credo, pensiero, parola, coscienza e religione e il diritto a partecipare alla vita politica, economica e sociale”. Infine contiene anche le norme per l’espressione, l’utilizzo delle lingue native e il processo educativo. La legge per esempio garantisce il diritto di usare liberamente la propria lingua minoritaria in privato e nella vita pubblica.
Perché è problematica?
Pur rappresentando da parte di Kyiv un passo in avanti verso l’adeguamento del paese al corpus giuridico e normativo europeo e un segnale di volontà politica a risolvere la questione, per la Romania la legge di dicembre rimane poco efficace nel garantire le protezioni istituzionali per le minoranze, non modificando, per esempio, le restrizioni precedentemente imposte sull’istruzione nella lingua della minoranza.
In seguito all’annessione illegale da parte russa della Crimea, Kyiv aveva progressivamente ristretto il ventaglio di diritti linguistici riconosciuti alle minoranze. Nel 2019, la legge sulla protezione della lingua ucraina come lingua di stato aveva ulteriormente ridotto i diritti linguistici nella sfera pubblica – una misura da taluni considerata una violazione dei diritti delle minoranze.
Bucarest critica Kyiv per non avere tenuto conto delle richieste di modifica già da tempo avanzate dai rappresentanti della comunità romena in Ucraina e di avere promulgato la legge non solo “in assenza di un’adeguata consultazione dei rappresentanti della comunità romena in Ucraina”, ma anche “di una nuova consultazione con la Commissione di Venezia”, il cui parere e supervisione avrebbero garantito un testo di legge più conforme agli standard europei e avrebbe verificato che le sue precedenti raccomandazioni avessero trovato effettivo riscontro nel testo – raccomandazioni che i paesi membri (fra cui l’Ucraina) sono tenuti a rispettare.
La Commissione di Venezia, l’organo consultivo del Consiglio d’Europa (da non confondere con l’istituzione UE del Consiglio Europeo) per la promozione della democrazia, dei diritti umani e dello stato di diritto, si era infatti già espresso con il parere n. 960/2019 in merito alla legge del 2019 sulla protezione del funzionamento della lingua ucraina come lingua di stato, secondo cui essa non garantiva un giusto equilibrio fra la necessità di rafforzare la lingua ucraina e l’imperativo di tutelare i diritti linguistici delle minoranze e se ne raccomandava la modifica.
Tuttavia la nuova legge non riconosce nessun diritto supplementare rispetto a quelli già definiti nelle leggi precedenti, con cui al contrario alcuni diritti sono stati limitati, come si è visto.
La stessa Commissione di Venezia ha nuovamente espresso la sua preoccupazione per la legge di dicembre: “Sebbene per gli stati sia un obiettivo legittimo promuovere il potenziamento della lingua statale e la sua padronanza da parte di tutti, le forti critiche nazionali e internazionali mosse soprattutto a causa delle disposizioni che riducono l’ambito dell’istruzione nelle lingue minoritarie sembrano giustificate”.
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