BIELORUSSIA: Le sanzioni contro Lukashenko (seconda parte)

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Tuttavia ciò che alla fine ha fatto uscire di sè Lukashenko è rimasto un mistero perché l’embargo sugli acquisti di petrolio bielorusso non è stato introdotto e nessuno ha toccato la “business list”. Il 28 febbraio il Consiglio dell’Ue ha solo allargato un’altra “lista nera”, molto meno importante per Lukashenko: all’elenco di 200 funzionari bielorussi ai quali era vietato l’ingresso nei paesi dell’UE, sono stati aggiunti altri 21 nomi. La sanzione, fra l’altro, riguarda anche il capo della “milizia” di Minsk, Aleksandr Barsukov, il presidente del tribunale cittadino di Minsk, Vladimir Putilo e 19 giudici distrettuali.

La risposta della Bielorussia è “asimmetrica”. Minsk ha richiamato i suoi rappresentanti da Bruxelles e dalla Polonia ed ha rispedito in patria due alti diplomatici europei. L’Unione europea non è rimasta inattiva: tutti i 27 membri dell’Unione hanno deciso di richiamare dalla repubblica i loro ambasciatori per consultazioni.

Il ministero degli esteri bielorusso ha definito queste misure “un vicolo cieco” ed ha accusato gli europei di provocare un’escalation del conflitto. L’occasione per questa reazione in effetti sembra solo formale. Infatti l’Ue, nell’ambito della campagna per i diritti dell’uomo, ha introdotto sanzioni a carico della Bielorussia e le ha poi temporaneamente sospese, alcune volte nel corso degli ultimi 15 anni. Le autorità di Minsk hanno sempre regolarmente detto di considerare le limitazioni alla concessione dei visti una pressione politica, ma non avevano mai reagito ad esse in modo così brusco.

Evidentemente Lukashenko è irritato per il fatto che l’Ue cerca di premere sul business bielorusso “di corte”, cioè legato agli interessi dello stesso presidente e del suo “entourage”. In particolare il 28 febbraio l’alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza Catherine Ashton, parlando ad una conferenza stampa a Bruxelles, ha battuto sullo stesso tasto, sottolineando che in marzo il Consiglio dell’Ue tornerà di nuovo ad esaminare la questione delle sanzioni contro i “beneficiari del regime di Lukashenko”. Probabilmente questo conflitto diplomatico non avrà serie conseguenze per le autorità bielorusse.

Bruxelles e Minsk da tempo conducono continue polemiche sulla violazione dei diritti umani in Bielorussia e ciononostante guadagnano non male con il reciproco commercio (l’anno scorso l’esportazione bielorussa nei paesi dell’Unione è aumentato di più del doppio, arrivando a 15,7 miliardi di dollari). Il politologo tedesco Alexander Rahr ipotizza che i rapporti fra la Bielorussia e l’UE rimarranno al precedente “livello controllato”, perché in caso contrario la stessa Europa spingerebbe Minsk “nelle braccia di Mosca”.

Molti esperti hanno richiamato l’attenzione sul fatto che l’ultima polemica europeo-bielorussa” è stata scatenata proprio alcuni giorni prima delle elezioni presidenziali in Russia. Un altro politologo, Aleksandr Klaskovskij, a questo proposito ha ipotizzato che Lukashenko abbia interpretato male il senso della campagna presidenziale di Vladimir Putin, il quale ha abbondantemente adoperato la retorica antioccidentale. L’”alleato bielorusso” avrebbe deciso di andare oltre e “bruciare i ponti”, ritiene Klaskovskij. I leader russi per ora commentano con prudenza il conflitto fra l’UE e Minsk. Alla vigilia della riunione dei ministri a Bruxelles, il 24 febbraio, Aleksandr Lukashenko ed il presidente russo Dmitrij Medvedev pubblicarono una dichiarazione comune che condannava la pressione economica dell’Occidente sulla Bielorussia. Il 29 febbraio il premier russo Vladimir Putin definì „prive di senso” le sanzioni dell’Ue nei confronti di Minsk.

Paradossalmente le sanzioni di Bruxelles possono colpire persone concrete, ma non quelle “giuste”. A Minsk si dice che le autorità stanno esaminando la possibilità di limitare l’uscita dal paese per quegli oppositori che in passato hanno auspicato l’introduzione di sanzioni contro la repubblica. In questo elenco sarebbero incluse già oltre cento persone, compreso l’ex presidente del Soviet Supremo della Bielorussia Stanislav Shushkevich (uno dei “padri” della CSI), il capo del Congresso dei Sindacati democratici Aleksandr Jaroshuk e la presidente dell’Associazione bielorussa dei giornalisti Zhanna Litvina. La diatriba, comunque, andrà avanti.

Chi è Giovanni Bensi

Nato a Piacenza nel 1938, giornalista, ha studiato lingua e letteratura russa all'Università "Ca' Foscari" di Venezia e all'Università "Lomonosov" di Mosca. Dal 1964 è redattore del quotidiano "L'Italia" e collaboratore di diverse pubblicazioni. Dal 1972 è redattore e poi commentatore capo della redazione in lingua russa della radio americana "Radio Free Europe/Radio Liberty" prima a Monaco di Baviera e poi a Praga. Dal 1991 è corrispondente per la Russia e la CSI del quotidiano "Avvenire" di Milano. Collabora con il quotidiano russo "Nezavisimaja gazeta”. Autore di: "Le religioni dell’Azerbaigian”, "Allah contro Gorbaciov”, "L’Afghanistan in lotta”, "La Cecenia e la polveriera del Caucaso”. E' un esperto di questioni religiose, soprattutto dell'Islam nei territori dell'ex URSS.

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