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RUSSIA: L’omicidio di Boris Nemtsov, l’esigenza della verità

Il politico russo Boris Nemtsov è stato un grande oppositore del presidente Vladimir Putin, fino a pagare con la sua stessa vita questa posizione. Dal suo omicidio, nel febbraio del 2015, la repressione in Russia si è fatta sempre più efferata…

Una figura variegata

Boris Nemtsov fu assassinato il 27 febbraio 2015 mentre camminava all’ombra del Cremlino, lungo il ponte Bol’šoj Moskvoreckij. Per il suo omicidio furono condannati cinque sicari di origine cecena, ma ilmandante, come dimostrano recenti inchieste, è da rintracciarsi nei vertici della FSB (le forze di sicurezza, eredi del famigerato KGB).

Il 27 febbraio è una data emblematica per il regime di Putin: è infatti la giornata in cui nel 2014 le forze speciali russe presero il controllo del parlamento della Repubblica Autonoma di Crimea.

Quando fu ucciso, Nemtsov era in procinto di partecipare a una marcia contro l’invasione in Crimea e nel Donbass, sul tema “Putin è la guerra” e si preparava a pubblicare un dossier, basato su testimonianze dirette, che confermava il coinvolgimento russo nella vicenda, inizialmente negato da Putin. Tale inchiesta avvertiva dei costi sociali, politici ed economici che i cittadini russi avrebbero sofferto negli anni a venire a causa di una guerra definita “fratricida”. Nemtsov ricordava anche come la Russia con tale operazione venisse meno a una serie di obblighi internazionali, tra cui il Memorandum di Budapest del 1994.

Nemtsov non fece in tempo ad assistere alla pubblicazione del report, il quale fu successivamente portato a termine da varie personalità della scena politica russa, tra cui i suoi collaboratori Ilya Yashin e Olga Shorina. La traduzione italiana del lavoro sarà pubblicata prossimamente da Memorial Italia e nel sito dell’associazione si possono già trovare dei brani tratti dal testo. La marcia contro la guerra si trasformò invece in una manifestazione in suo ricordo a cui parteciparono circa 50.000 persone.

Di idee liberali, critico dell’imperialismo russo (famosa è la sua raccolta di un milione di firme contro la prima guerra cecena) e della corruzione dilagante nel Paese, già vicepremier dal ’97 al ’99 nel governo Eltsin e consigliere economico di Viktor Juschenko successivamente alla Rivoluzione arancione, Nemtsov fu una delle personalità più brillanti e allo stesso tempo discusse del panorama politico russo tra la fine degli anni ’90 e i primi anni Duemila.

Molti ritenevano che un giorno sarebbe giunto a ricoprire la carica di presidente, ma il collasso finanziario del ’98 danneggiò gravemente la sua parabola politica. Fu inoltre vicino all’Ucraina sia durante le proteste del 2004 sia durante le manifestazioni di Euromajdan e previde profeticamente che Putin si sarebbe vendicato di quel paese per la sua scelta democratica ed europea.

Nemtsov si rivelò anche una figura con dei tratti contradditori: nei primi anni Novanta spinse per una privatizzazione selvaggia che aumentò moltissimo il costo della vita, sostenne fermamente il presidenzialismo  mentre si batteva per un sistema politico più aperto e democratico e rimase fedele a Eltsin durante la violenta repressione delle proteste del ’93 e durante la criticata campagna elettorale del ‘96. Per di più, sostenne la scelta di Eltsin di nominare Vladimir Putin come suo successore alla presidenza.

Nuova luce sull’omicidio?

L’omicidio di Nemtsov al tempo appariva difficilmente spiegabile: non si trattava di una figura politica di alto rilievo e fu sempre un oppositore dai toni più o meno moderati, ma si batteva contro il nazionalismo imperialista di Putin e dei suoi uomini, destinato secondo lui a condannare il paese alla povertà e all’isolamento.

Oggi, forse, il mistero attorno alla sua uccisione sembra dileguarsi, dal momento che con l’aggressione all’Ucraina Putin ha rivelato a pieno la natura imperiale del suo potere. Un disegno imperiale, inoltre, che trasforma i suoi giovani e i suoi uomini in carne da macello. Lo dimostra il fatto che l’esercito russo trovi al momento la sua forza principale nel numero di soldati che riesce a reclutare e sconta per i suoi tentativi di avanzare in territorio ucraino numerosissime perdite.

Ciò è perfettamente in linea con quella “filosofia” di stampo putiniano, secondo cui la vita ha scarso valore e solo una morte “per la patria” può dare reale e duraturo valore ad essa, una narrazione che ben si adatta al momento storico che il popolo russo sta attraversando e che trova le sue salde radici nella glorificazione della “grande guerra patriottica”. Il ricordo e la celebrazione della vittoria sul nazismo è stato uno dei miti fondativi dell’Unione Sovietica e tutt’oggi gioca un ruolo centrale e pervasivo nella propaganda espressa dal Cremlino.

Putin ha bisogno di questa guerra, è parte della sua visione del mondo (espressa dall’ideale del Russkiy Mir) ed è funzionale alla sua volontà di mantenere il potere. Come scriveva Nemtsov, “Putin non può mantenere il potere altrimenti. Il vampiro ha bisogno della guerra. Ha bisogno del sangue umano. Isolamento internazionale, impoverimento del popolo e repressioni attendono la Russia”.

A riprova di questo, nel lavoro di Nemtsov, dal titolo, nella traduzione inglese, Putin. War, si afferma come l’operazione in Crimea non sia nata solo da riflessioni geo-strategiche, bensì per assicurare al presidente russo una crescita dei consensi (e così fu, come avvenne d’altronde in seguito alla seconda guerra cecena), in un momento in cui la sua popolarità era ai minimi storici. La debolezza dello stato ucraino successivamente alla Rivoluzione di Maidan offriva il contesto perfetto per l’intervento.

Nessuno spazio per la critica

Con l’invasione su larga scala iniziata nel febbraio del 2022 il governo russo ha iniziato a punire tutti coloro che diffondono in formazioni false o dannose sull’esercito, un pretesto per mettere a tacere chi si oppone alla guerra, inoltre sia media indipendenti sia organizzazioni non governative sono stati repressi.

Una delle vittime di questa repressione è stato proprio Ilya Yashin, che sta scontando una condanna a otto anni e sei mesi di prigionia. Secondo Kevin Rothrock, della fonte di notizie indipendente Meduza, Yashin è stato imprigionato semplicemente per il suo rifiuto di fuggire all’estero. Yashin aveva deciso di rimanere in Russia, nonostante sapesse bene come il suo destino fosse segnato, per mantenere un rapporto diretto con il suo popolo; per di più, nella sua scelta, come lui stesso dichiara, sembra essere decisiva la volontà di raccogliere il testimone delle azioni e delle parole di Nemtsov.

Verso la fine del febbraio di quest’anno una donna è stata arrestata per avere deposto un semplice biglietto sul luogo in cui Nemtsov fu ucciso nell’anniversario della sua morte, sede tutt’oggi di numerosi omaggi. Nella Russia di Putin anche la memoria è proprietà del regime, ma la figura di Boris Nemtsov rimane ben ferma nell’immaginario collettivo di una Russia che cerca, come può, di resistere.

Chi è Lorenzo Fraccaro

Classe 1998, ha una laurea in scienze politiche presso l’università di Padova. Successivamente ha conseguito il suo titolo magistrale in relazioni internazionali all’Università Ca’ Foscari di Venezia con una tesi sui totalitarismi del Novecento. Grande appassionato di storia e politica internazionale, negli anni ha approfondito eventi e dinamiche riguardanti l’Europa Orientale. Per East Journal è il responsabile dell’area che si occupa di Russia, Ucraina, Bielorussia, Caucaso e Asia Centrale.

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