Transnistria Donbass

MOLDAVIA: La Transnistria può diventare un nuovo Donbass?

Putin ha revocato un decreto del 2012 che, tra le altre cose, garantiva il rispetto dell’integrità territoriale della Moldavia. Crescono i timori per la Transnistria ma la situazione è diversa rispetto al Donbass…

Questo pezzo nasce dalla collaborazione tra East Journal e Osservatorio Balcani e Caucaso.

Lo scorso 21 febbraio il presidente della Federazione russa Vladimir Putin ha annullato un trattato del 7 maggio 2012, nel quale Mosca indicava le sue strategie e i suoi piani di politica estera. La cancellazione ha fatto rumore perché il suddetto documento, tra le altre cose, conteneva un passaggio molto chiaro riguardante i rapporti russo-moldavi. Queste le parole: “[la Federazione russa intende] continuare la sua partecipazione attiva nella ricerca di una soluzione al problema della Transnistria, basata sul rispetto della sovranità, dell’integrità territoriale e della neutralità della Moldavia”.

L’annullamento ha quindi fatto pensare ad un disconoscimento ufficiale russo della sovranità di Chișinău, paventando così il rischio di uno scenario simile a quello ucraino. La notizia giunge dopo giorni estremamente convulsi per la politica moldava. All’inizio del mese il presidente ucraino Volodomyr Zelensky aveva rivelato l’esistenza di un piano russo – scoperto dai servizi segreti di Kyiv – per sovvertire l’ordine costituito in Moldavia; piano confermato anche dalla presidente della Repubblica Maia Sandu. Pochi giorni dopo, il primo ministro Natalia Gavrilița si è dimessa, sostenendo di non avere il sostegno necessario a continuare l’azione di governo. Maia Sandu ha quindi nominato un nuovo premier, Dorin Recean, segretario del Consiglio supremo di sicurezza.

La crisi politica e il recente atto dimostrativo di Putin hanno gettato le luci dei riflettori sulla Moldavia, che inizia ad essere vista come un nuovo possibile fronte caldo del conflitto ucraino. Cercare di interpretare la Moldavia con categorie ucraine rischia, tuttavia, di essere fuorviante. La situazione moldava presenta delle peculiarità che vanno analizzate con precisione.

I piani russi per destabilizzare la Moldavia

Lo scorso 13 febbraio la presidente Maia Sandu ha confermato quanto già svelato da Zelensky, ossia l’esistenza di un piano deliberato di Mosca per sostituire i vertici del potere esecutivo moldavo. Sandu ha parlato di alcune azioni sventate nell’autunno scorso dai servizi di sicurezza, che avrebbero visto come protagonisti gruppi politici e militari locali tradizionalmente vicini al Cremlino; oltre ad alcuni veterani dell’esercito, Sandu ha menzionato il potente uomo d’affari Ilan Șor (fondatore di un partito che porta il suo nome, ormai messo fuori legge), nonché uomini vicini al potente oligarca ed ex uomo politico Vladimir Plahotniuc. Șor è stato condannato in primo grado per frode, ma è riuscito a fuggire dalla Moldavia e adesso si trova in Israele, paese di cui detiene la cittadinanza. Nonostante la fuga, il suo partito continua a godere di un sostegno non trascurabile, soprattutto nella Moldavia centrale, intorno al distretto di Orhei, città di cui Sor è stato sindaco.

Sandu ha affermato inoltre di aver ricevuto dai servizi segreti ucraini piani dettagliati per favorire l’ingresso di cittadini serbi e montenegrini in Moldavia, che avrebbero dovuto agire come elementi di disturbo e agitazione. Secondo Sandu, “attraverso azioni violente mascherate da proteste delle cosiddette opposizioni, si cercherebbe di forzare un cambio di regime”.

A sostegno delle paure presidenziali è arrivata domenica scorsa una manifestazione organizzata proprio dal partito Șor e altri gruppi filo-russi. L’evento, tuttavia, non ha creato reali problemi di ordine pubblico: poche migliaia di persone si sono radunate nel centro della capitale limitandosi a scandire cori contro la presidente Sandu e il nuovo primo ministro Dorin Recean. Il giorno precedente le forze dell’ordine hanno arrestato 8 persone, vicini ad ambienti della criminalità organizzata, che si ritiene abbiano finanziato illegalmente il partito di Ilan Șor.

Queste azioni di disturbo che, secondo Sandu, sarebbero foraggiate dal Cremlino, sono (ancora) prive di quel contorno narrativo vittimistico a sfondo etnico-linguistico che ha invece caratterizzato i mesi e gli anni precedenti all’invasione dell’Ucraina. Le rivendicazioni contro la presidente e il suo governo urlate a gran voce anche dai pochi manifestanti di domenica scorsa sono per lo più di natura economica; non a caso, uno degli slogan più urlati dai dimostranti invitava il premier Recean a pagare le esose bollette del gas. I manifestanti erano per lo più persone originarie del distretto di Orhei, il feudo elettorale di Sor. Non è chiaro se abbiano ricevuto denaro e promesse supplementari per raggiungere la capitale.

Dopo che la manifestazione si è risolta con un quasi nulla di fatto, l’attenzione mediatica è tornata sulla Transnistria, quella striscia di terra che giuridicamente apparterebbe alla Moldavia ma è de facto retta da un governo autoproclamatosi indipendente.

La domanda che tutti si fanno è: può la Transnistria diventare il Donbass moldavo?

La situazione della Transnistria è, tuttavia, diversa da quella del Donbass. Quest’ultimo è stato parte integrante dello stato ucraino fino al 2014, diventando di seguito principale oggetto di scontro (insieme alla Crimea) tra Kyiv e Mosca.

Di contro, la Moldavia non ha mai cercato di riprendere la Transnistria con la forza, mostrandosi spesso aperta al dialogo con Mosca per cercare una soluzione quanto più possibile condivisa, come dimostra anche il già citato documento del 2012 recentemente cancellato da Putin. La peculiare situazione che si vive oggi a Tiraspol e nel resto della sedicente repubblica indipendente è molto diversa da quella del Donbass del 2014.

Di conseguenza, più che come pretesto per una successiva invasione della Moldavia, la Transnistria va vista come pedina nel più ampio scacchiere del conflitto in corso. Nella mattinata di ieri (23 febbraio) a Chișinău girava insistentemente la voce (sobillata con ogni probabilità da Mosca) di una probabile invasione ucraina della Transnistria; una voce talmente insistente da spingere l’esecutivo moldavo a smentire categoricamente.

Che la Russia possa quindi usare Tiraspol come un diversivo non è un’ipotesi peregrina. Secondo alcuni analisti americani, Mosca potrebbe aprire un fronte nella repubblica indipendente proprio per distrarre gli ucraini, costringendoli a dislocare truppe a sud per distoglierli dalle battaglie orientali. Si tratta comunque di uno scenario non realizzabile nell’immediato.

 Il nuovo governo

Molto si è speculato sulle dimissioni del primo ministro Natalia Gavrilita, arrivate pochi giorni dopo la rivelazione di Zelensky sui piani russi di destabilizzazione della Moldavia. Gavrilita è, a tutt’oggi, la vice-presidente di PAS (Partito Azione e Solidarietà), la formazione politica della presidente Maia Sandu, alla quale Gavrilita è molto vicina e della quale condivide le posizioni filo-occidentali. Secondo alcuni autorevoli media locali, dietro la sua scelta vi sarebbe una faida tutta interna a PAS, che alla fine l’ha vista soccombere. Gavrilița era stata nominata premier nell’agosto 2021, con un’agenda di governo che aveva come fari la lotta alla corruzione e la crescita economica del paese (la stessa Gavrilița aveva già servito come ministro delle finanze).

L’aggressione russa dell’Ucraina ha del tutto sovvertito le priorità dell’esecutivo di Chișinău, che si è ritrovato a dover gestire un’ondata enorme di rifugiati, e continue minacce di destabilizzazione da parte di Mosca. Secondo i dati del ministero dell’Interno moldavo, dall’inizio del conflitto sono passati per la Moldavia circa seicentomila ucraini, e attualmente ne restano nel paese circa centomila.

Verosimilmente, Gavrilița, già al centro di una serie di controversie legate a casi di evasione fiscale, non era ritenuta più adatta a gestire il mutato clima politico-internazionale. Che dietro le dimissioni vi possa essere una “mera” trattativa interna a PAS su futuri incarichi è dimostrato anche da una recente apparizione dell’ex premier che, rispondendo alle domande dei giornalisti, ha dichiarato di avere varie opzioni aperte per il suo futuro, tra cui la candidatura a sindaco di Chișinău. Il nuovo capo dell’esecutivo, Dorin Recean, viene dagli ambienti dei servizi d’intelligence, di cui conosce tutti i meccanismi di funzionamento. Si tratta quindi di una figura più adatta anche a cementare il fronte della maggioranza, in un momento così caldo e teso.

Il ruolo della Romania

Nella giornata di ieri, 23 febbraio, Maia Sandu si è recata a Bucarest dove ha incontrato il suo omologo romeno Klaus Iohannis. Questi ha ribadito il sostegno totale della Romania alla Moldavia e, soprattutto, ha ribadito il supporto nel settore dell’energia, fondamentale a rendere Chișinău meno vulnerabile alla pressione di Mosca. Da un anno la Romania fornisce gas ed elettricità al suo vicino nord-orientale, da tempo ormai sottoposto ai ricatti di Gazprom.

La Romania continua ad essere il principale sponsor della Moldavia nel suo percorso di adesione all’Europa.

Foto: dal profilo Facebook di Maia Sandu

Chi è Francesco Magno

Ha conseguito un dottorato di ricerca in storia dell'Europa orientale presso l'università di Trento. E' attualmente assegnista di ricerca presso la medesima università. E' stato research fellow presso il New Europe College di Bucharest e professore di storia dell'Europa orientale presso l'università di Messina. Si occupa principalmente di storia del sud-est europeo, con un focus specifico su Romania, Moldavia e Bulgaria.

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