Da sempre la Berlinale si fa portavoce, nelle categorie collaterali, del cinema sperimentale più “di nicchia”
Se il cinema documentario legato alla guerra in Ucraina costituisce una delle direttive della presenza di cinema est europeo a Berlino, a questo si accompagna il cinema sperimentale, più radicato storicamente. Alcuni dei film est europei premiati con l’Orso d’Oro, il premio più importante del festival, di certo possono essere descritti come film sperimentali. Si pensi a Opere giovanili di Želimir Žilnik o al recente film di Radu Jude. Quest’anno la selezione non ha incluso film dell’est di alcun genere nella competizione principale, relegandole nelle categorie collaterali, tendenzialmente destinate alle opere più sperimentali.
Mammalia
Difficile descrivere Mammalia, senza relegarla ad un’interpretazione personale. Lo scopo del regista Sebastian Mihailescu è proprio di trasmettere un’opera camaleontica, che cambia forma in base al gusto dello spettatore. Basilarmente, riguarda il rapporto tra un uomo ed il suo partner che entra in una specie di culto New Age. In qualche modo parodia degli horror che si incentrano su argomenti simili, come il recente Midsommar, ma che, pur avendo un’atmosfera da horror, non ne condivide gli scopi o le intenzioni.
Caratterizzato da un alternarsi di scene prive di dialogo e di monologhi di una pletora di personaggi (attori non-professionisti che narrano esperienze personali, come rivelato dal regista), la dualità si riscontra anche nel complesso della narrazione filmica, nella prima metà ambientata in un bosco di una zona urbana, nella seconda nei pressi di un lago nei monti Carpazi. La ricerca di un legame profondo con la natura è certamente uno degli argomenti centrali dell’opera ma non l’unico: si assiste spesso ad una ricorrenza di simboli fallici, un’idea di demascolinizzazione o di inversione di genere.
Come già detto, Mihailescu non fornisce spiegazioni di alcun genere, che lascia interamente allo spettatore, e di conseguenza sarebbe controproducente cercare di esporre un’interpretazione all’opera che non può che essere personale. Per il film, Mihailescu ha assemblato una troupe notevole: il protagonista, Bad luck banging, or loony porn, il vincitore dell’Orso d’Oro del 2021).
, ha collaborato con Cristi Puiu in Malmkrog; anche il direttore della fotografia Barbu Bălășoiu ha collaborato con Puiu, firmando la fotografia di Sieranevada; il montatore, Cătălin Cristuțiu, invece, ha collaborato con Radu Jude ai suoi film più recenti (inclusoNotes from Eremocene
Il concept del film può ricordare ad alcuni spettatori Last and First Men di Johann Johannson, ma la regista Viera Čákanyová, che East Journal ha intervistato, ha già confutato un legame. Nel film si assiste in un futuro distante ad un dialogo tra un’intelligenza artificiale modellata dalla voce della regista e la regista stessa, ormai scomparsa da tempo, ed attraverso questo dialogo si cerca di descrivere il nostro mondo contemporaneo, ovvero l’Eremocene. Il termine, coniato dal biologo Edward O. Wilson, si propone di descrivere la società d’oggi come l’era della solitudine.
Il film si propone come prologo ad un film precedente della Čákanyová, Frem, nel quale già si delineava il mondo del futuro a cui si assiste in Notes from Eremocene, ed alla presenza di IA. La narrazione avviene in forma non tradizionale, attraverso sequenze in pellicola che si contrappongono a simulazioni 3D, come se lo schermo equivalesse o riproducesse l’interfaccia dell’IA. Ciò che distingue il film da altre opere che potrebbero sembrarvi simili è l’uso di Intelligenze Artificiali vere e proprie per le voci narranti: il personaggio dell’IA è effettivamente interpretato da una IA. Notes from Eremocene è il film più avant-garde di quelli qui presentati, e forse anche dell’intera lineup della Berlinale dell’anno: una visione consigliabile agli amanti dello sperimentalismo o comunque interessati alla tematica fantascientifica.
Calls from Moscow
La sua inclusione tra le opere sperimentali potrebbe apparire impropria o impertinente, in quanto questo film rientra nel genere documentario. Eppure Calls from Moscow del cubano Luis Alejandro Yero si allontana da qualsiasi canone narrativo, sia esso documentaristico o di finzione, ispirandosi alle esperienze di molti rimasti intrappolati in paesi stranieri durante l’era del Covid.
Articolato in 24 ore durante una giornata poco precedente al 24 febbraio, il film descrive l’esperienza di un manipolo di emigrati cubani, molti dei quali appartenenti alla comunità LGBT, interamente attraverso telefonate che compiono da un appartamento di Mosca. Una sensazione di tempo sospeso pervade l’opera, in aderenza a molto del cinema del paese in cui è ambientato, e pur evitando il tema della guerra incombente, ne permette di percepire l’imminenza. Molte delle conversazioni si incentrano su un confronto tra Cuba e Russia, trovando molte analogie nonostante le differenze climatiche e sociali.