Il film slovacco Notes from Eremocene è tra le opere più sperimentali presentate alla Berlinale di quest’anno, opera di impronta fantascientifica ma avant-garde nella sua forma.

CINEMA: Comunicare con il futuro in Notes from Eremocene. Intervista a Viera Čákanyová dalla Berlinale

Il film slovacco Notes from Eremocene è tra i più sperimentali presentati alla Berlinale di quest’anno. Un’opera di impronta fantascientifica ma avant-garde nella sua forma

Se si possono identificare due fili conduttori per quanto riguarda la presenza est-europea al festival del cinema di Berlino 2023, una certamente riguarda il cinema documentario dedicato alla invasione russa dell’Ucraina, mentre l’altra è la presenza di opere sperimentali ed avant-garde – sotto certi aspetti una tradizione per la Berlinale. Poznámky z Eremocénu (Notes from Eremocene) rientra in questa seconda categoria, e giunge come ideale conclusione della riflessione della regista slovacca, Viera Čákanyová, maturata nelle sue due opere precedenti.

Come si riesce a convincere un produttore a collaborare ad un film di questo tipo?

In questo caso sono stata io stessa la produttrice: è un film a bassissimo costo, prodotto dalla nostra azienda in Slovacchia. Il co-produttore era un mio collega della stessa casa di produzione, per cui non ho dovuto dargli troppe spiegazioni, ma si, è difficile finanziare progetti del genere.

Com’è avvenuta la decisione di fare questo film?

È stato un viaggio complicato. Avevo fatto un film precedente che si chiama Frem, che è stato presentato alla Berlinale due anni fa, era dal punto di vista di un’intelligenza artificiale. Doveva essere un film più corposo, con più capitoli, ma alla fine era diventato un film concettuale-sperimentale dal punto di vista di una Intelligenza Artificiale, però c’erano molti altri argomenti che volevo sviluppare. Notes from Eremocene è una sorta di prologo di Frem, trasmutato in lungometragggio. È qualcosa che precede il mondo che si vede in Frem.

L’intelligenza artificiale ha un ruolo importante nel film, com’è nata questa presenza?

Ho provato ad avere quante più conversazioni con chatbot. É stato anche il tema di un film che avevo fatto prima di Frem, per cui considero i tre film una sorta di trilogia informale, forse esagerando. C’era una conversazione con una IA anche nel secondo film, che ho rielaborato in quest’ultimo. È sorprendente cosa sia in grado di fare una IA oggigiorno, anche un po’ inquietante. All’epoca in cui sviluppavo il film l’IA poteva parlare solo in inglese. I dialoghi in inglese nel film sono generati da questo network neurale immaginario che impara a parlare usando la mia voce.

Per cui la narrazione del film è da parte di una intelligenza artificiale?

In alcune parti, che sono in lingua slovacca, è la mia voce naturale. La voce in inglese è la mia identità virtuale del futuro, nella finzione, e quindi avviene una conversazione tra me ed il mio io virtuale. In più c’è la figura dell’IA che funge da supervisore.

Effettivamente uno dei tanti temi è quello della scomparsa del linguaggio

Sono slovacca e la mia è una lingua minore, parlata solo da 5 milioni di persone. Ho immaginato la possibilità che, essendo l’inglese la lingua dominante a livello globale, forse un giorno lo slovacco sparirà. Volevo conservarlo, tutto il film è una sorta di archivio personale, o capsula del tempo per il futuro. Quando parli lingue diverse, è come avere identità diverse, puoi capire molte sottigliezze e dettagli che non puoi esprimere in altre lingue. Parlando in inglese in questo momento riguardo ad argomenti molto sofisticati ho difficoltà che non avrei in slovacco, per esempio. Con la morte di una lingua, si estingue anche un’identità.

Un quarto personaggio del film è Satoshi Nakamoto, il famoso inventore del bitcoin di cui nessuno conosce la vera identità. Perchè questa presenza?

Sono sempre stata curiosa riguardo a questo personaggio, la cui invenzione ha trasformato il mondo. Non solo ha cambiato le cose riguardo alla criptovaluta ma c’è tutta una ideologia e filosofia dietro. Ho inventato la storia che vediamo nel film, è solo la mia imaginazione. È una sorta di fondatore del culto dei Botomori che ho inventato per il restroscena del futuro che ho immaginato. Ma appunto, è solo la mia immaginazione! Forse il vero Satoshi non approverebbe come l’ho creato!

Com’è il processo del montaggio per un film di questo genere?

È difficile spiegarlo! Avevo in mente una narrativa, ma non una sceneggiatura dettagliata. Io ho solo concepito la conversazione tra me e l’IA, c’era prima la struttura del dialogo e poi avevo alcune scene e motivi che volevo visualizzare. Quando si è in sala di montaggio si gioca con il materiale e si cerca di trovare qualche sorta di struttura e per questo si impiega molto tempo. Il montaggio è durato molti mesi.

Il film si focalizza molto sulla descrizione di un possibile futuro. Lei come vede il futuro personalmente, come qualcosa da temere?

Viviamo in un’epoca che dà una sensazione di distopia, per via del cambiamento climatico, la guerra in Ucraina, percepiamo una sorta di fine del mondo. Accadono molte cose oscure, forse il futuro non è molto brillante ma non mi piace essere pessimista. Quando si pensa a ciò che da individui siamo in grado di fare possiamo goderci le piccole cose della vita. Le nostre possibilità sono stupende, la possibilità di vivere la vita con i nostri sensi, ed è anche questo il messaggio del film: ognuno di noi morirà, la condizione umana è finita, ma possiamo comunque goderci la nostra esistenza.

Chi è Viktor Toth

Cinefilo focalizzato in particolare sul cinema dell'est, di cui scrive per East Journal, prima testata a cui collabora, aspirante regista. Recentemente laureato in Lingue e Letterature Straniere all'Università di Trieste, ha inoltre curato le riprese ed il montaggio per alcuni servizi dal confine ungherese-ucraino per il Telefriuli ed il TG Regionale RAI del Friuli-Venezia Giulia.

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