Confermato il programma per bonificare la Croazia dalle mine risalenti alle guerre jugoslave entro il marzo 2026
Il parlamento croato ha recentemente confermato il proprio sostegno al “National mine action programme”, la strategia – che circola da qualche anno – per bonificare entro marzo 2026 il terreno dello stato balcanico dalle mine inesplose risalenti alla guerra degli anni ‘90.
Secondo le stime, sono circa 170 i chilometri quadrati di territorio croato sospettati di essere ancora cosparsi di mine. Come ha dichiarato qualche giorno fa in parlamento Žarko Katić, il segretario di stato presso il Ministero degli Affari interni, sebbene il lavoro da fare sia imponente, l’obiettivo è ripulire completamente il paese entro e non oltre marzo 2026.
Sempre secondo Katić, la più alta concentrazione di mine inesplose nel paese si trova nelle aree montuose e boschive di sette distretti, dove circa il 4,7 % della popolazione è ancora esposta al pericolo: il piano prevede la bonifica totale dei distretti di Osijek-Baranja e Šibenik-Knin entro il prossimo anno, e nel biennio 2024-2025 quelli di Spalato-Dalmazia (area di Dinar e Svilaja), Sisak-Moslavina, Karlovac e Lika-Senj.
Costi e protagonisti
Nel periodo tra il 1998 e il 2022 un miliardo di euro è stato speso per lo sminamento, e si prevede la necessità di investirne altri 240 entro il 2026, vale a dire 80 milioni di euro all’anno, come ha spiegato Katić.
Per giustificare costi simili, il programma vanta vari elementi al suo interno: la posa e la manutenzione degli appositi segnali di pericolo e di avvertimento da posizionare nelle aree in cui si sospetta la presenza di mine inesplose, l’informazione e l’educazione della popolazione in merito ai rischi nelle aree vulnerabili, l’assistenza e la riabilitazione delle vittime, l’incoraggiamento nella diffusione dell’esperienza croata nell’azione anti-mine.
Perché la campagna di prevenzione è ancora un’arma molto efficace: nel ricordare la concretezza del pericolo di restare coinvolti nell’esplosione di un ordigno, Katić si è rivolto anche a cacciatori, alpinisti ed escursionisti, esortandoli a non avventurarsi in zone pericolose e a rispettare con la massima attenzione e cautela possibili i cartelli di pericolo mine. Anche i migranti che percorrono la rotta balcanica sono stati coinvolti in incidenti dovuti alla presenza di mine nel terreno. Dal 1996 a oggi oltre 200 persone – tra cui 38 sminatori – hanno perso la vita a causa delle mine inesplose.
In Croazia sono attive 42 aziende autorizzate per i lavori di sminamento, con 397 sminatori, un centinaio di cani addestrati e circa 40 strumenti per la rilevazione delle mine. Dal 2006, il 4 aprile di ogni anno la Croazia celebra la “Giornata internazionale per la consapevolezza e l’assistenza nelle azioni di sminamento“, come stabilito durante la sesta sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite l’anno precedente.
I commenti della politica
La coesione dei parlamentari croati nel sostenere il piano per lo sminamento ha incontrato alcune perplessità a sinistra. Katarina Peović, rappresentante in parlamento del partito di sinistra “Fronte dei lavoratori”, ha accusato il piano di essere poco chiaro in merito al futuro degli sminatori una volta terminato il loro lavoro in Croazia. Peović ha riferito in parlamento che è importante elaborare al più presto un piano che comprenda anche il futuro di questi lavoratori, al fine di non “disperderne la conoscenza maturata”. Dello stesso parere anche Jelena Miloš, esponente della coalizione “Verdi – Sinistra”. In tal senso è intervenuto anche il socialdemocratico Davorko Vidović, che ha sottolineato l’importanza della condivisione dell’esperienza in un’operazione così delicata come lo sminamento, che interessa, purtroppo, ancora molti altri paesi nel mondo, tra cui l’Ucraina. Ed è proprio sull’ex paese sovietico che si è espresso ancora Katić, il quale ha dichiarato una futura cooperazione con l’Ucraina, da attuarsi una volta terminate le operazioni di sminamento del suolo croato.
A destra, invece, Marijan Pavliček dei “Sovranisti croati” ha ricordato che la Croazia è l’unico paese dell’UE ad avere ancora territori contaminati dalle mine, rammaricandosi al contempo del fatto che la diplomazia croata non sia riuscita a “ottnere un solo centesimo” dalla Serbia per lo sminamento della Croazia.
Il caso bosniaco
Oltre alla Croazia, la questione delle mine terrestri riguarda anche la vicina Bosnia-Erzegovina. Gli ultimi rapporti del Centro d’azione sulle mine della Bosnia-Erzegovina (BHMAC) indicano la presenza di oltre 180.000 mine inesplose e riportano oltre 600 morti direttamente collegate dal 1996 ad oggi. Le zone più a rischio corrispondono alle città lungo il confine con la Croazia e numerose aree attorno al confine naturale del fiume Sava.
Sebbene in Bosnia si siano compiuti grandi progressi a livello nazionale attraverso operazioni di sminamento – con più di 78.000 mine individuate e neutralizzate dal 1996 ad oggi – le due entità costituenti del paese (la Federazione croato-musulmana e la Republika Srpska) rimangono ancora oggi gravemente colpite dal problema. La deadline per lo sminamento totale continua ad essere prorogata a causa del mancato rispetto dell’imponente lavoro da svolgere: così si è passati dal 2009, al 2019, al 2021, e ora, in ultima istanza, al 2027.
Le responsabilità
Il trattato di Ottawa per il bando delle mine antiuomo è entrato in vigore nel 1999, sottoscritto dall’80% dei paesi del mondo, Croazia compresa. Ciò nonostante, le mine terrestri continuano ad essere posizionate in decine di paesi, e rimuoverle costa venti volte più che innescarle.
Il piano adottato da Zagabria è ambizioso, perché punta a porre fine una volta per tutte ad un problema spesso poco noto, ma che ancora miete vittime. Sta ora al governo far sì che la strategia adottata sia tradotta in azioni concrete, che rendano la Croazia un paese privo di mine entro il 2026.
Photo: Zadarski.hr