La guerra rimane la preoccupazione principale per la Moldavia. Chişinău tenta di emanciparsi dalle ingerenze russe…
Rischio destabilizzazione – politica ed economica – e approvvigionamento energetico, oligarchi in fuga e il percorso di integrazione europea. Come successo per lo scorso anno, gran parte della vita istituzionale moldava ruota intorno alla presenza (scomoda) della Russia e all’invasione della confinante Ucraina.
Problemi al confine
La sicurezza nazionale rimane la prima preoccupazione per il governo di Chişinău. La stessa neutralità militare del paese (sancita costituzionalmente dal 1994) comincia ad essere messa in discussione nel dibattito pubblico e politico. Concorrono vari fattori: la vicinanza fisica ai luoghi del conflitto, il fatto che i missili lanciati dal Mar Nero per colpire la parte occidentale dell’Ucraina passino sopra territori moldavi.
Infine, la grande incognita della Transnistria: i vicini di Tiraspol, de facto indipendenti dal 1990, contano parecchi soldati russi sul proprio territorio, oltre che un enorme deposito di armi e munizioni. Già ad aprile la regione separatista era tornata a far parlare di sé, causa alcune esplosioni nella capitale autoproclamata, presso il Ministero per la Sicurezza Nazionale e in altre parti del paese.
Preoccupano poi le dichiarazioni, più o meno intenzionali, del presidente bielorussoo Lukašenko e di funzionari del Cremlino, che avevano fatto riferimento ad un’espansione del conflitto anche al di fuori dell’Ucraina.
Una prima risposta moldava era arrivata in estate, quando Bruxelles aveva accettato la candidatura di Chişinău all’Unione – passaggio più simbolico che strategico in senso di difesa nazionale, come evidenziano le ultime dichiarazioni della Presidente Maia Sandu, che giudica “molto ambiziosa” la speranza di entrare nell’Unione entro il 2030. Recentemente, il ministro della difesa Anatolie Nosatii si è spinto più in là, chiedendo ai partner occidentali sistemi di monitoraggio e difesa aerea. Con questa richiesta, arrivata dopo l’incontro di Rammstein, il paese prende le distanze dalle precedenti politiche in fatto di armamenti, che limitavano gli acquisti dall’Occidente ad armi non letali.
Nelle recenti decisioni prese dal governo moldavo ha sicuramente influito la caduta di parti di un missile – terzo episodio simile dall’inizio del conflitto – nel distretto di Briceni, nel nord-ovest del paese, al confine con l’Ucraina. Il 15 gennaio gli artificieri hanno fatto brillare circa 80 chilogrammi di esplosivo rimasti nei detriti dell’ordigno. “La guerra in Ucraina ha mostrato come lo status neutrale della Moldavia e le discussioni riguardo alla sua demilitarizzazione non siano più attuali” ha dichiarato il ministro della difesa.
Fronte interno
Nonostante la guerra, la Moldavia sembra voler risanare le dinamiche di politica interna, nel tentativo di allinearsi agli standard europei. Sono svariate le decisioni prese nelle ultime settimane in fatto di trasparenza elettorale e lotta alla corruzione (due dei cavalli di battaglia del governo del primo ministro Natalia Gavrilița).
Già a dicembre 2022, lo stato moldavo aveva sospeso le licenze di sei emittenti televisive, ree di mandare in onda informazioni “incorrette” riguardanti il paese e la guerra russa in Ucraina. La sospensione durerà fino al termine dello stato d’emergenza, promulgato all’indomani dell’invasione russa e più volte prorogato. Le sei emittenti sono tutte legate all’oligarca Ilan Șor.
Șor, ora residente in Israele e protagonista di svariate vicissitudini in patria, era stato sanzionato ad ottobre dal Dipartimento del Tesoro statunitense “per azioni relative alla corruzione sistemica e all’interferenza con le elezioni moldave, supportato dal Cremlino”.
A metà gennaio una nuova legge della Commissione Elettorale Centrale moldava è entrata in vigore: la legge, tra le altre cose, impedisce il finanziamento di campagne elettorali da parte di individui o entità al di fuori del paese. Una stretta, insomma, sull’influenza che gli oligarchi fuggiti all’estero esercitano sulla politica moldava: non solo Șor – aizzatore “a distanza” delle proteste antigovernative dell’autunno scorso e coordinatore del partito che porta il suo nome – ma anche altre personalità come Vladimir Plahotniuc e membri del Partito Democratico della Moldavia (PDM).
Dopo che il patrimonio dell’oligarca è stato congelato anche in Israele, i fondi spettanti al suo partito (1,74 milioni di lei) sono stati bloccati: tra le motivazioni, comportamenti non consoni durante le ultime elezioni parlamentari e locali, donazioni da individui sospetti e mancanza di trasparenza nelle spese e negli investimenti per le campagne elettorali.