REP. CECA: Habemus generalem. Petr Pavel è il nuovo presidente

Vince. E convince. Con il 58% e quasi un milione di voti di scarto, l’ex generale NATO ed ex capo di Stato Maggiore Petr Pavel sconfigge, al ballottaggio delle terze elezioni dirette, il suo avversario, l’ex premier Andrej Babiš, che non arriva al 42%. Con un’affluenza record del 70%, oltre 3,3 milioni di elettori hanno eletto, dopo Havel, Klaus e Zeman, il primo presidente non legato alla classe politica uscita dalla Rivoluzione di Velluto.

Le ragioni di una vittoria schiacciante

Ma come spiegare una vittoria così netta quando, al primo turno, i due candidati avevano entrambi raccolto il 35%? Forse è l’effetto boomerang della campagna aggressiva di Babiš, volta a instillare negli elettori la paura dell’avversario, additato come colui che porterà in guerra il paese, che potrebbe aver indispettito molti elettori indecisi, sentitisi circuiti dall’abuso cinico dei propri timori. O, forse, la goccia che ha fatto traboccare l’urna sono stati i bambini cechi che, impauriti, chiedevano ai genitori se ci sarà la guerra. Come a dire quando è troppo è troppo.

L’elettore medio ceco, infatti, è tradizionalmente allergico alla retorica estrema e troppo radicale e, in tempi di crisi e instabilità, preferisce figure calme, stabili e rassicuranti come, appunto, Petr Pavel o il premier Petr Fiala. Non a caso, allora, il successo dello slogan di Pavel, řád a klid, che potremmo tradurre come ordine e calma, con quell’ordine che, in bocca a un ex generale, ne ha fatte storcere più di una, ma che, nell’interpretazione data significa il ritorno al fair play politico e al rispetto dello Stato di diritto e della Costituzione. E la calma va letta in opposizione allo stile caotico, impulsivo e disordinato del suo avversario, che sembra aver stancato i cechi. Certamente a favore di Pavel ha pesato anche l’appoggio attivo dei tre candidati democratici (Nerudová, Fischer e Hilšer) con tournée e comizi congiunti a reti, sociali, unificate, ma l’elemento determinante sembra essere stato proprio lo stile tranquillo, equilibrato e posato dell’ex generale che, pur non omettendo di difendersi dai colpi bassi dell’avversario, non si è fatto trascinare nella lotta nel fango in cui lo voleva portare Babiš.

E Babiš?

Babiš ha riconosciuto la sconfitta e si è congratulato con il nuovo presidente. Ma, nemmeno in questo raro slancio di statualità, si è smentito: a Pavel ha chiesto di tranquillizzare i suoi sostenitori intimandoli a interrompere la presunta campagna d’odio contro di lui. Il sottotesto è chiaro: la sconfitta sarebbe dovuta a una supposta accanita persecuzione scatenatagli contro dalla coalizione al governo e da tutti i media). Il solito complotto, insomma. In realtà, a toccare le corde più nascoste e meno nobili delle emozioni umane è stato proprio lui con una serie di calunnie, disinformazioni, accuse infondate e il bieco mercimonio della paura della guerra.

Questa, per il tycoon ceco, è la terza sconfitta elettorale di fila, dopo le politiche perse nel 2021 e quelle al senato l’anno seguente. È sicuramente presto per darlo politicamente finito, ma, forse, qualcosa sta cambiando e potrebbe intravedersi l’inizio del declino. O quantomeno di una resa dei conti interna al suo partito ANO. Il verdetto definitivo, forse, arriverà nel 2025 alle prossime politiche alle quali, nella sua prima dichiarazione dopo la sconfitta ha già chiamato a raccolta i suoi.

Tempo di riconciliazione nazionale

Molta attenzione, nelle sue prime parole, Pavel le ha dedicate alla necessità di procedere a una sorta di riconciliazione nazionale dopo le profonde spaccature lasciate dalle politiche divisive e conflittuali di Zeman e Babiš. Dopo i ringraziamenti di rito ai suoi elettori, Pavel si è rivolto a quelli del suo contendente per dire che a perdere è stato Babiš e il suo stile e non loro, e che adesso è arrivato il momento di tornare a vivere insieme ritrovando ciò che li accomuna dopo anni passati a scavar trincee in cerca di ciò che li divide. I primi viaggi nel paese intende farli proprio nelle regioni che hanno votato per Babiš per capirne il malcontento. I veri vincitori delle elezioni, secondo Pavel, sono stati i valori: “verità, dignità, rispetto e umiltà”.

Un sorpresa chiamata Zuzana

La presidente slovacca Zuzana Čaputová, presente a Praga, si è congratulata di persona con il neoeletto presidente raggiungendolo, a sorpresa, poco dopo il risultato finale. “Questa è una vittoria della speranza – le sue parole –, che dimostra che onestà e sincerità non sono un segno di debolezza ma di forza.” Se è scontato che, come da tradizione, il primo viaggio estero di Pavel punterà proprio verso Bratislava, appare probabile che a breve potrebbe seguire una visita congiunta dei due presidenti, ceco e slovacca, in Ucraina, già invitati da Volodymyr Zelenskyj. Un’altra visita preannunciata è in Polonia, dove Pavel vorrebbe rassicurare i vicini settentrionali dopo l’infelice, e pericolosa, uscita di Babiš che, in un dibattito televisivo, interrogato se manderebbe i soldati in caso di aggressione militare contro l’alleato polacco, ha candidamente risposto di no, scatenando non pochi malumori nordatlantici.

Prospettive e prime sfide

Pavel, che entrerà in carica il 9 marzo giurando sulla Costituzione, affronterà subito alcune prove del fuoco. Intanto la ratifica del trattato di collaborazione militare con gli USA, al quale il ministero della Difesa sta lavorando da 6 mesi. Un trattato simile è costato alla presidente slovacca Čaputová un calo del 20% nelle preferenze e l’acuirsi delle faglie interne. Facile aspettarsi che, anche in Cechia, sarà un’arma facile e gradita per la 5° colonna filorussa che paventerà la perdita di sovranità. Altri momenti delicati saranno le imminenti numerose nomine, in particolare quella del presidente e di altri giudici della Corte Costituzionale.

Più in generale, uno degli ostacoli contro cui potrebbe scontrarsi è il rischio che i partiti liberaldemocratici, attualmente al governo, vedano in lui un presidente malleabile a proprio uso e consumo, anche in ragione della sua inesperienza in materia di politica interna. Dalla sua, però, Pavel ha un mandato popolare molto forte: un potenziale scudo protettivo contro i partiti che dovessero cedere alla tentazione di tirarlo per l’uniforme, ooops, la giacchetta.

Sono molti i cechi che hanno festeggiato esclamando “finalmente un presidente di cui non ci dovremo vergognare”. A prima vista non sembra granché per la massima carica del paese, ma dopo ben 20 anni macchiati dall’opportunistico populismo asservito al Cremlino delle presidenze di Václav Klaus e Miloš Zeman (che, però, nulla hanno potuto contro l’orientamento geopolitico del paese), con questo plebiscito la Cechia ritrova una guida fieramente europeista e atlantista dimostrando di essere, nonostante gli scossoni e i traballamenti degli ultimi anni, saldamente ancorata al blocco occidentale.

Nella foto da sinistra: la presidente slovacca Zuzana Čaputová, il neoeletto presidente ceco Petr Pavel e la first lady Eva Pavlová

Chi è Andreas Pieralli

Pubblicista e traduttore freelance bilingue italo-ceco. Laureato in Scienze Politiche a Firenze, vive e lavora a Praga. Si interessa e scrive di politica, storia e società dell’Europa centrale. Coordina e dirige il progetto per un Giardino dei Giusti a Praga.

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