BOSNIA: In carica il nuovo governo di Borjana Kristo. Cambierà qualcosa?

Mercoledì 25 gennaio, la Camera dei rappresentanti della Bosnia Erzegovina ha votato la fiducia al nuovo governo statale, guidato per la prima volta da una donna, Borjana Krišto, 61 anni, numero due del partito croato HDZ BiH. Krišto era già stata in passata presidente della Federazione, una delle due entità che compongono il paese.

I dossier aperti per il nuovo governo Krišto

Hanno votato a favore 23 deputati su 42: nella coalizione di governo rimangono i nazionalisti croati del HDZ BiH di Dragan Čović e i nazionalisti serbi del SNSD di Milorad Dodik. Finisce invece all’opposizione il partito bosgnacco SDA di Bakir Izetbegović, figlio del “padre della patria” Alija, che ha anche perso il posto nella Presidenza tripartita alle elezioni di inizio ottobre. Al suo posto, entra in coalizione la variegata “alleanza degli otto” (Osmorka), formata dai socialdemocratici SDP, i social-liberali di Naša Stranka, e i conservatori di Narod i Pravda (NiP), già fuoriusciti da SDA, più altri partiti locali. Il leader di NiP, l’ex nazionale di basket Dino Konaković, sarà il nuovo ministro degli esteri, mentre il governatore del Cantone Sarajevo e leader di Naša Stranka, Edin Forto, sarà ministro alle comunicazioni e trasporti. L’ex premier Zoran Tegeltija terrà invece i cordoni della borsa al Ministero delle finanze.

Il nuovo governo Krišto si trova parecchi dossier sul tavolo. A dicembre, il Consiglio europeo ha riconosciuto alla Bosnia Erzegovina lo status di paese candidato all’integrazione europea. Ma le riforme su economia e giustizia continuano a latitare. Delle 14 priorità-chiave stabilite dall’opinione della Commissione europea nel 2019, quasi tutto resta ancora in sospeso. E non è solo per colpa della pandemia.

Il governo uscente, guidato dall’uomo di fiducia di Dodik, Zoran Tegeltija, ha fatto il minimo indispensabile, e spesso anche meno. Entrato in funzione oltre un anno dopo le elezioni, complice uno stallo sulle questioni NATO, il governo non ha saputo gestire le questioni migratorie, con una grave crisi umanitaria a Natale 2020. Passata la pandemia, Dodik ha poi mandato in completo shut-down le istituzioni del paese per quasi un anno, dall’estate 2021 alla primavera del 2022, mentre la Republika Srpska (RS), l’entità autonoma a maggioranza serba, adottava una serie di leggi incostituzionali con obiettivo finale la secessione. In questo, Dodik è stato sostenuto dall’HDZ di Čović, che ha cercato di impedire l’organizzazione delle elezioni di ottobre, come ricatto per ottenere una riforma elettorale a proprio favore. In tutto ciò è rimasta impigliata anche la mediazione euro-americana per la risoluzione dell’annosa questione Sejdić-Finci, che non ha portato a risultati.

A tranciare la questione è dovuto intervenire il nuovo Alto Rappresentante internazionale, il tedesco Christian Schmidt, che con i poteri esecutivi che gli risultano dagli accordi di pace (e che non erano stati più usati per un buon decennio), alla chiusura delle urne ha imposto una riforma elettorale per la Federazione largamente vista come a favore del partito croato HDZ, a cui è stata di fatto garantita la partecipazione al governo dell’entità, e a quello statale.

La partita ancora aperta per il governo della Federazione

E’ la prima volta in un decennio che il partito SDA – che comunque resta il primo gruppo in parlamento, con 9 deputati – si trova fuori dal governo statale. Dopo aver perso il cantone Sarajevo nel 2018, il partito di Izetbegović non ha saputo riformarsi ed escludere i più corrotti, cosa che ha portato ad ancora più scissioni. Ora Izetbegović cercherà di restare al potere almeno nell’entità a maggioranza croata e bosgnacca, la Federazione di Bosnia Erzegovina.

Mentre al governo della RS resta saldamente in sella il partito SNSD di Dodik, nella Federazione il nuovo governo dovrebbe essere guidato dal leader SDP, Nermin Nikšić, in coalizione con HDZ BiH. Tuttavia la formazione del governo potrebbe prendere ancora parecchio tempo.

La riforma elettorale imposta da Schmidt, infatti, ha toppato un buco ma ne ha aperto un altro. Schmidt ha modificato la formula di assegnazione dei seggi nella Camera dei popoli della Federazione, di cui ha anche aumentato il numero di delegati. Oltre a rafforzare l’HDZ, tale mossa è risultata in una maggioranza SDA tra i delegati bosgnacchi. Il partito di Izetbegović ha quindi la possibilità di nominare il nuovo (vice)presidente dell’entità, che potrebbe poi mettere il veto al primo ministro designato, Nikšić. Nel frattempo, resta in carica  Fadil Novalić, premier SDA nominato nel 2014 e in funzione ad interim dal 2018, nonostante le accuse di corruzione, poiché l’HDZ croato ha boicottato la formazione di un nuovo governo negli ultimi 4 anni.

La riforma di Schmidt è stata ampiamente criticata, anche da un folto gruppo di eurodeputati. Schmidt è apparso al Parlamento europeo solo il 24 gennaio, ma solo a porte chiuse: una mancanza di trasparenza e accountability? Secondo l’eurodeputata verde olandese Tineke Strik, lo scambio con Schmidt è stato “deludente“, poiché l’alto rappresentante “non sembra aver capito le ragioni delle critiche”.

Una politica estera ondivaga

Sarà anche importante vedere come si porrà il nuovo governo bosniaco sulle questioni internazionali. La ministra degli esteri uscente, Bisera Turković (SDA), ha garantito l’allineamento del paese alla politica estera UE dall’invasione russa dell’Ucraina, nonostante la volontà di Dodik di tenere invece una posizione nominalmente neutrale. Proprio Dodik lo scorso 9 gennaio, nel celebrare l’incostituzionale “giornata della Republika Srpska“, ha decorato il presidente russo Vladimir Putin con la più alta onorificenza dell’entità, preparandosi a consegnargliela di persona a Mosca, in quello che sarebbe il terzo incontro tra i due dall’inizio della guerra.

Mentre l’ex premier RS e nuova presidente della Presidenza tripartita del paese, Zeljka Cvijanović, come prima visita internazionale si è recata nell’Ungheria di Orban, il cui governo è venuto più volte in soccorso a Dodik per far fronte alla sospensione dei fondi internazionali all’entità serbo-bosniaca. Segno che la politica estera del paese balcanico continuerà ad essere ondivaga e legata ai mutevoli equilibri tra la componente serba, legata strettamente a Mosca, e quella bosgnacca, legata all’occidente.

Foto: Kahriman, CC BY-SA

Chi è Andrea Zambelli

Andrea Zambelli è uno pseudonimo collettivo usato da vari membri della redazione di East Journal.

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