La Corte Costituzionale turca ha deciso a maggioranza per il congelamento dei fondi pubblici ai curdi del Partito Democratico dei Popoli (HDP). Un duro colpo, aggravato dai timori circa il futuro del partito, su cui pende il rischio di chiusura sulla base di presunti legami coi “terroristi del PKK”, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan.
Il contesto
L’HDP, che con l’11,8% dei voti alle elezioni del 2018 ha eletto 67 deputati e vinto in 58 municipalità, di cui tre città metropolitane (Diyarbakır, Mardin e Van), 5 Provincie e 50 Distretti, costituisce il terzo gruppo parlamentare, nonché il secondo dell’opposizione.
Il congelamento dei fondi pubblici si inserisce nel contesto della procedura di chiusura del partito lanciata dall’Ufficio del Procuratore Generale della Turchia, Bekir Şahin. Tale causa, assieme alla richiesta di interdire per cinque anni da ogni attività politica oltre 687 personalità dell’HDP, era stata presentata alla Corte Costituzionale il 17 marzo 2021, ma subito rigettata per vizi di procedura. Il Procuratore Generale ha ripresentato il caso il 6 giugno, chiedendo ancora una volta lo scioglimento del partito, l’interdizione politica per 451 membri HDP e il congelamento dei conti bancari del partito. Il 21 giugno 2021 la plenaria della Corte ha annunciato la ricevibilità dell’atto di accusa, respingendo tuttavia la richiesta di congelamento immediato dei conti bancari.
La misura
Il 5 gennaio, con otto giudici a favore e sette contrari, la Corte ha accolto la nuova richiesta di sospensione dei fondi pubblici erogati o da erogare al Partito, articolata dal Procuratore sulla base dei presunti continui legami tra HDP e il PKK e dalla insufficiente condanna del primo verso gli attentati di Mersin e Istanbul del settembre e novembre 2022, attribuiti al PKK.
All’HDP è stato concesso un mese per presentare la mozione di difesa, sulla base della quale la Corte deciderà se continuare o meno il blocco dei fondi. Al partito spetterebbero 539 milioni di lire turche (quasi 30 milioni di dollari) nel 2023, di cui 179 milioni sarebbero dovuti arrivare il 10 gennaio scorso. Con le cruciali elezioni sempre più vicine – previste per il 18 giugno, ma da tempo si parla di voto anticipato, e lo scorso 18 gennaio Erdoğan ha indicato il 14 maggio come probabile data – tale congelamento rischia di avere un enorme impatto sulle capacità dell’HDP di condurre la propria campagna elettorale, al di là della spada di Damocle rappresentata dal procedimento di scioglimento del partito dei curdi. Senza considerare poi l’elevato numero di personalità politiche del partito già detenute in carcere o sotto processo, tra cui i due leader del partito Selahattin Demirtaş e Figen Yüksekdag.
La risposta
Il Partito Democratico dei Popoli ha denunciato ciò che ritiene un processo politico, e lo stesso voto della Corte come un cedimento di questa alle pressioni politiche. Difatti, riferiscono i portavoce del Partito, la Corte avrebbe accolto la richiesta del Procuratore (rigettata due volte in passato) in assenza di nuove evidenze, senza averla notificata al Partito e dunque non raccogliendo le obiezioni della controparte.
Molti hanno poi sottolineato come l’indagine contro l’HDP avanzata dal Procuratore Şahin – nominato dal Presidente Recep Tayyip Erdoğan a giugno 2020 – sia stata avviata pochi mesi dopo l’espressa richiesta di Devlet Bahçeli, leader del partito ultranazionalista MHP al governo con l’AKP.
I timori espressi dall’HDP – che vede nella decisione del 5 gennaio scorso “un’espressione, diretta o indiretta, del parere della Corte (riguardo la chiusura del Partito ndr) prima del verdetto” – sono fondati tanto sulle esperienze passate quanto sullo stato delle relazioni tra potere esecutivo e giudiziario nel Paese.
I dubbi sul sistema giudiziario
Dal 1961, anno in cui è stata fondata la Corte, unico organo preposto a decretare lo scioglimento di un partito, sono 25 i partiti turchi sciolti. Tra questi, ben sette espressione dei curdi – in certa misura predecessori dell’attuale HDP – sulla base di accuse di separatismo. I timori dei leader e degli elettori dell’HDP sono accompagnati da una convinzione: sciogliere il partito non fermerà i curdi dal portare avanti le proprie battaglie politiche in Turchia, sia attraverso la formazione di un nuovo partito (“If they cut down a tree, we plant a new one and vote for it”), tramite candidati indipendenti, o con il sostegno ad altri partiti d’opposizione in base alla loro posizione rispetto alla questione curda.
La storia della Corte Costituzionale dimostra una mano ferma in riferimento al tema del separatismo interno, che negli ultimi 40 anni si sovrappone con la questione dei curdi. Vi si aggiunge la progressiva politicizzazione del potere giudiziario tramite la “AKP-izzazione” dello Stato. Con il nuovo assetto costituzionale post-2018, dei 15 membri della Corte Costituzionale ben dodici saranno di nomina presidenziale, mentre tre eletti dal Parlamento (a maggioranza semplice): una situazione che la Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa aveva definito “una degenerazione del sistema verso un regime personale e autoritario”.
Verso una decisione della corte sulla chiusura del partito
Dei 15 giudici attualmente in carica ben otto devono la propria nomina a Erdoğan, mentre due sono stati eletti dal Parlamento nel 2010 e cinque sono stati nominati dall’ex Presidente Abdullah Gül. Una composizione che non rispecchia tuttavia completamente il voto del 5 gennaio: tra i sette che hanno votato contro la decisione figurano infatti Şevki Hakyemez, Akyel, Seferinoğlu e Menteş, nominati da Erdoğan tra il 2016 e il 2019. Tre di questi si sono tuttavia opposti alla decisione su base procedurale –non era stata ascoltata la difesa della controparte – più che sostanziale; il che può lasciare spazio a una scelta differente sulla decisione per la chiusura o meno dell’HDP.
Questa dovrà essere presa a maggioranza dei 2/3, ovvero con 10 voti a favore. Ancora prima del numero dei voti necessari, tuttavia, sarà la decisiva elezione per la Presidenza della Corte a influire sugli sviluppi futuri: il 13 febbraio scade infatti il mandato di Zühtü Arslan, attuale Presidente, il quale ha già riferito di non volersi ricandidare vista la scadenza del suo mandato nella Corte nel 2024. Il Presidente della Corte ne determina l’agenda dei lavori e dunque sarà sua prerogativa decidere se posticipare il processo, magari a dopo le elezioni.
In foto: bandiera e sede di una sezione del Partito Democratico dei Popoli (HDP), Anadolu Agency (AA) – Archivio