Il 9 gennaio la Republika Srpska è tornata a festeggiare il giorno della sua fondazione. Non sono mancate le polemiche e le critiche.
Anche quest’anno la Republika Srpska (RS), l’entita a maggioranza serba della Bosnia Erzegovina, ha festeggiato l’anniversario della propria nascita. La cerimonia si è svolta lunedì 9 gennaio e, a differenza che in passato, quest’anno l’evento principale si è svolto non nel capoluogo Banja Luka ma a Sarajevo Est, sobborgo della capitale bosniaca giusto al di là della linea di confine amministrativo tra le due entità.
L’evento
La parata ha visto sfilare oltre 2.500 persone tra paramilitari (membri delle unità speciali del ministero dell’interno), vigili del fuoco, protezione civile, club sportivi e anche un gruppo di motociclisti russi denominati Night Wolves, già presenti negli anni scorsi.
Presenti alla manifestazione e al successivo concerto qualche migliaio di persone e tutti i principali leader politici serbo-bosniaci, a partire da Milorad Dodik, recentemente rieletto presidente della RS. Dodik ha sottolineato che la Republika Srpska appartiene ai serbi che si sono organizzati e l’hanno fondata come loro repubblica il 9 gennaio 1992, e ha presentato la sua visione di una futura unificazione di tutti i serbi, “proprio come i tedeschi si sono riunificati in una sola Germania, perché la Serbia e la Republika Srpska non possono essere unite se si tratta di un solo popolo che così vuole?”
Dodik ha anche conferito a Vladimir Putin l’Ordine della Republika Srpska, per il suo “amore patriottico” per l’entità serbo-bosniaca, dicendosi pronto a visitare Mosca per consegnargli il premio di persona. L’ambasciata ucraina a Sarajevo ha reagito ricordando come i precedenti premiati, da Karadžić a Mladić, siano in seguito stati condannati per crimini di guerra e genocidio. Il figlio di Mladić, Darko, era anche lui presente di persona all’evento.
Dall’estero sono giunte delegazioni provenienti da Montenegro, Cina e Russia, oltre che dalla vicina Serbia. Se negli scorsi anni il presidente serbo Aleksandar Vučić era stato presente alla cerimonie (così come la premier Brnabić) quest’anno invece assieme alle proprie congratulazioni ha mandato il figlio Danilo, e il ministro degli esteri Ivica Dačić. Ha fatto più scalpore la presenza di due ministri del governo montenegrino, questione velocemente derubricata dal premier Abazović ma che conferma l’allineamento filorusso di vari membri della maggioranza a Podgorica.
Una storia controversa
La Republika Srpska è nata a seguito ad una dichiarazione unilaterale di indipendenza adottata il 9 gennaio 1992 dall'”assemblea del popolo serbo di Bosnia Erzegovina”, guidata da quel Radovan Karadžić che sarà poi nel 2019 condannato all’ergastolo per crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Poche settimane dopo, il conflitto jugoslavo sarebbe arrivato anche in Bosnia, causando in quattro anni oltre 100,000 vittime e 2,6 milioni di sfollati. Un conflitto in cui i leader politici della Republika Srpska, con il sostegno di Slobodan Milošević da Belgrado, si fecero promotori di un’operazione di pulizia etnica a danno di bosgnacchi e croati da tutto il territorio della futura entità.
Con i trattati di pace firmati a Dayton nel 1995, la Bosnia Erzegovina viene ricostituita come stato composta da due entità, tra cui la Republika Srpska, che ne ricopre il 49% del territorio e gode di ampia autonomia legislativa. Nel 2015, l’annuale “giornata della Republika Srpska” del 9 gennaio (giorno di santo Stefano secondo il calendario serbo ortodosso) fu giudicata incostituzionale, poiché discriminante verso gli altri gruppi etnici. L’anno successivo, Dodik decise di ricorrere al referendum – benché anch’esso dichiarato incostituzionale – ottenendo un sostegno plebiscitario e scontato al mantenimento del giorno festivo. Da allora, gli appelli per la sua cancellazione sono rimasti vani. Ancora nei giorni scorsi l’Alto rappresentante per la Bosnia Erzegovina Christian Schmidt è tornato a chiedere il rispetto dello stato di diritto con una lettera a Dodik.
Le proteste
Molti considerano la celebrazione del “giornata della Republika Srpska” come una provocazione e una glorificazione del conflitto e dei relativi crimini di guerra. I veterani sarajevesi nei giorni scorsi hanno minacciato di erigere barricate all’ingresso di Sarajevo est. Le proteste in strada sono poi state annullate, ma si è tenuto invece al Teatro Nazionale un evento intitolato “9 gennaio – Il percorso verso il genocidio”, cui hanno presenziato due membri della Presidenza statale, il bosgnacco Denis Bećirovic (SDP) e il croato Željko Komšić (DF).
Anche la decisione di tenere la parata a Sarajevo Est ha suscitato polemiche: secondo la sindaca di Sarajevo Benjamina Karić, “la marcatura incostituzionale del 9 gennaio si sta spostando a Sarajevo est, praticamente alle porte della città che era sotto il terrore dell’aggressore e sotto l’assedio più lungo della storia moderna”.
In conclusione, anche quest’anno, i politici serbo-bosniaci per alimentare il consenso verso i propri partiti nazionalisti sono tornati a sfidare la sentenza della Corte costituzionale e continuano a celebrare un’ “indipendenza” fittizia che è costata al paese quattro anni di guerra. La Bosnia Erzegovina, come ogni 9 gennaio da qualche anno a questa parte, si riscopre un paese estremamente diviso e frenato da infinite polemiche.
Foto: Wikicommons
Un commento
Pingback: 9 GENNAIO: LA GIORNATA DELLA REPUBBLICA SRPSKA CREA ANCORA DISSIDI -