Vladimir Putin è tornato a parlare di multipolarismo, suscitando le simpatie di tanti anche in Europa. Ma cosa intende davvero il Cremlino quando parla di “multipolarismo”?
Qualche mese fa, precisamente tra il 7 settembre, Vladimir Putin è tornato a parlare di multipolarismo. Lo ha fatto in un lungo discorso tenuto a Vladivostok, in occasione del settimo Valdai Discussion Club, versione russa del World Economic Forum di Davos. Alcuni giornali italiani, specialmente quelli più simpatetici verso le “ragioni di Mosca”, hanno ripreso la notizia con malcelata soddisfazione. D’altronde, è parere condiviso da molti in Europa che un ordine globale multipolare possa aprire la strada alla stabilità e la pace. C’è un’ampia dottrina in merito, che descrive il multipolarismo come “governance internazionale”, un governo dei “molti” in opposizione sia all’unilateralismo americano, sia agli accordi bilaterali che discriminano i piccoli paesi. La Russia ha più volte invocato la necessità di un mondo multipolare, suscitando le simpatie di larga parte dell’opinione pubblica europea. Anche chi scrive ha creduto, in passato, che su questo punto la Russia dicesse qualcosa di importante. Ma – come molti – non avevo capito cosa si celasse dietro quelle invocazioni.
La sinfonia delle civilizzazioni
C’è una grande incomprensione su cosa “multipolare” significhi per il Cremlino. Il discorso di Putin al Valdai Discussion Club lo chiarisce una volta per tutte. Non si tratta di una governance globale fondata su regole comuni, ma di una “sinfonia della civilizzazioni”, ciascuna con un proprio centro aggregante da cui procede un’idea di società diversa e unica per ciascuno. In sostanza, il mondo multipolare sarà – nell’ottica russa – espressione di alcune civiltà prevalenti. Dai loro “centri” promanerà e si irradierà una forza aggregatrice sulle rispettive periferie. Una visione che, da un lato, ripropone la perniciosa idea delle “sfere di influenza” e, dall’altro, individua alcune culture come dominanti e ne giustifica lo sforzo di omologazione rispetto alle culture minoritarie, come nel caso ucraino.
Unipolarismi regionali?
Questo multipolarismo alla russa, benché ammantato di antropologie e relativismo, insiste sulle logiche di potenza tipiche del realismo politico: ci sono delle grandi potenze, e Mosca si considera una di quelle. Solo le grandi potenze possono decidere come va il mondo, e ognuna è padrona nella propria sfera di influenza. Non c’è nulla di “globale” in questo multipolarismo. Anzi, si tratta di “unipolarismi regionali in cui ogni “Stato-guida” può intervenire come vuole, anche militarmente, sulla periferia che rivendica propria. Non a caso Putin cita la persecuzione cinese degli uiguri, etnia turcofona e musulmana, come esempio positivo di questa logica di potenza regionale. D’altronde, egli afferma, “i diritti umani possono uccidere gli Stati” e vanno calpestati se necessario. Nella logica del Cremlino, lo Stato viene prima dell’individuo e dei suoi diritti. In Occidente, com’è noto, vale l’assunto opposto: i diritti individuali – proprietà privata, libertà di circolazione, di espressione, di religione, diritto alla scurezza personale, al giusto processo… – sono prevalenti rispetto al potere dello Stato. Sono questi i “diritti umani” che la teoria putiniana ritiene secondari.
Verso un mondo de-globalizzato?
Ed eccoci quindi all’ultimo punto. Il mondo multipolare alla russa sarà garantito dagli “equilibri di interessi” tra le varie civiltà, secondo il principio di non ingerenza reciproca. Un mondo de-globalizzato in cui poche potenze autoritarie gestiranno la politica e l’economia internazionale. E l’Europa? “Il modello occidentale è una minoranza” dice Putin, ma “le minoranze vanno tollerate”. L’Europa dovrà però sganciarsi dalle atlantiche alleanze e costruire un nuovo spazio, da Lisbona a Vladivostok, per soddisfare gli appetiti imperiali russi. Ma è probabile che accada il contrario. La guerra avrà ripercussioni enormi sull’ordine mondiale, su questo Putin ha ragione, ma il rischio è quello di una de-globalizzazione regionale, con Mosca e i suoi accoliti tagliati fuori e isolati, e un’Ucraina in parte o del tutto ancorata all’Unione Europea, che vuol dire acquisizione di strumenti economici, tecnologici e legali che la allontaneranno per sempre da Mosca.
Il multilateralismo al bivio
Quindi, se il multipolarismo può apparire una via di sviluppo necessaria alla pace globale, dobbiamo però chiarire cosa intendiamo. E dobbiamo evitare di cascare nelle trappole della propaganda russa per cui “multipolarismo” è parole chiave, mobilitante, che raccoglie consensi tra noi europei, ma che per il Cremlino non vuol dire quello che significa per noi.
Piuttosto, dovremmo ragionare sulla costruzione di un multilateralismo che si adatti agli equilibri emergenti affrontando la sfida che il nuovo secolo impone poiché, come scrive Alessandro Colombo su ISPI: “se vorranno continuare a essere tanto inclusivi quanto sono stati in passato, i contesti multilaterali dovranno tenere sempre più conto delle preferenze degli attori non occidentali, anche a costo di diluire il riferimento ai princìpi e alle norme del vecchio ordine liberale; se, al contrario, non vorranno rinunciare alla guida degli Stati euro-occidentali e dei loro princìpi, dovranno rinunciare in misura maggiore o minore a essere inclusivi”. La guerra mossa dalla Russia all’ordine globale esistente ci mette davanti a un bivio ulteriore: come includere la Russia? Dilemmi che oggi non hanno risposta, ma che non possono trovare soluzione nei sogni neo-imperiali del Cremlino.