epa05893958 Motorists queue on the first day more stringent provisions of the Schengen Borders Code are applied, at the Hungarian-Croatian border checkpoint of Letenye, 232 kms southwest of Budapest, Hungary, 07 April 2017. The change of regulations requires all EU member states to check every person entering or leaving the Schengen territory. EPA/GYORGY VARGA HUNGARY OUT

Romania e Bulgaria ancora fuori da Schengen. Cosa c’è dietro l’ultimo veto

Lo scorso 8 dicembre i ministri degli interni hanno dato il via libera all’adesione della Croazia allo spazio Schengen, che sarà operativa già il 1° gennaio. Romania e Bulgaria continuano invece a restare escluse dall’area di libera circolazione senza controlli alle frontiere, nonostante la Commissione europea da un decennio confermi che i due paesi rispettano tutti i parametri. Cosa si nasconde dietro all’ultimo veto di Austria e Paesi Bassi?

“Siamo dispiaciuti e onestamente non capiamo la posizione inflessibile assunta dall’Austria”, ha detto il primo ministro rumeno Nicolae Ciuca. Più combattivo il vicepremier Honor Keleman, che ha promesso di “continuare a lottare” per aderire a Schengen “senza cedere al miserabile ricatto dell’Austria”.

“L’Austria ha già segnalato che ci sono meccanismi, compromessi che è pronta ad accettare. Quindi, i colloqui continueranno”, ha affermato il ministro dell’interno bulgaro Ivan Demerdzhiev, cautamente ottimista, pur aggiungendo che “la Bulgaria non è responsabile per i problemi interni dell’Austria”.

I pretesti di Vienna e dell’Aja

La Commissione europea, incaricata di valutare le candidature, ha dichiarato che i due paesi sono pronti a entrare a far parte dell’area Schengen almeno dal 2011, rinnovando l’avviso il mese scorso. Il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che denuncia come “discriminatoria” la decennale esclusione dei due paesi.

Negli ultimi anni, paesi che in precedenza erano contrari all’allargamento di Schengen, come Finlandia, Danimarca, Svezia e Belgio, hanno ammorbidito le loro posizioni, aumentando le probabilità di un esito positivo. Il persistente veto austriaco (così come quello olandese verso la Bulgaria) è stato accolto con leggera sorpresa dagli altri stati membri. “Non riesco a comprendere la posizione austriaca”, ha affermato la ministra tedesca Nancy Faeser.

L’Austria giustifica il suo veto con lo spauracchio dell’invasione migratoria. Sono oltre centomila, secondo il ministro dell’interno Gerhard Karner, i migranti arrivati in Austria quest’anno. “È sbagliato che un sistema che non funziona venga esteso ancora”, ha affermato. Ma, sebbene il governo austriaco non lo dica, quasi tutti i migranti arrivano a Vienna tramite Serbia e Ungheria, paesi con cui l’Austria mantiene stretti rapporti politici, mentre la Croazia blocca al confine bosniaco a suon di respingimenti illegali chi provi a ri-attraversare la frontiera UE. La quota di migranti che attraversa Bulgaria e Romania è ben minore di quella che si impantana tra le frontiere dei Balcani occidentali.

Nei Paesi Bassi, il parlamento lo scorso ottobre ha richiesto un’ulteriore analisi del funzionamento dello stato di diritto della corruzione e della criminalità organizzata in Bulgaria. Ma per la Commissione ciò non è più possibile: il meccanismo di cooperazione e verifica (CVM) è stato infatti nel 2019 per la Bulgaria, e questo novembre per la Romania, a 15 anni dall’adesione UE dei due paesi. Anche il pretesto dello stato di diritto sembra abusato, visto che la situazione in Romania e Bulgaria non è certo comparabile a quella, ben più grave, di paesi Schengen quali Polonia e Ungheria.

Le conseguenze dell’eterna “sala d’attesa” infinita per Schengen

L’area Schengen permette la libera circolazione senza controlli alle frontiere interne, ed accoglie oggi 26 paesi, tra cui 22 stati membri UE e tre stati EEA (Norvegia, Svizzera, Liechtenstein). Aderire a Schengen è un dovere legale di ogni stato membro: solo l’Irlanda ha un opt-out formale, mentre Cipro non ha fatto domanda.

Come sottolineava già nel 2020 la ricercatrice Henriet Baas dell’Istituto universitario europeo, la permanenza di Romania e Bulgaria nell’eterna sala d’attesa di Schengen non è senza conseguenze per l’intera Europa. Tali paesi (e la Croazia fino ad oggi) si sono trovati ad aver gli stessi obblighi dei paesi membri Schengen per quanto riguarda l’applicazione dell’acquis alle frontiere esterne UE, pur senza condividerne gli stessi diritti – in un evidente caso di doppio standard. Allo stesso tempo, le frontiere interne all’UE tra paesi Schengen e no restano regolate solo indirettamente dal diritto europeo, dando adito a incertezze legali riguardo all’applicazione dei diritti fondamentali e di strumenti quali la direttiva rimpatri.

Quindici anni di regime transitorio di pre-adesione, concludeva Baas, sono ben più di quanto la flessibilità dell’area Schengen possa sopportare. Una situazione temporanea che si trasforma di fatto in semi-permanente rischia di creare due diverse categorie di stati membri UE. E paradossalmente, più Romania e Bulgaria rispettano e impongono le norme Schengen senza farne parte – anche per quanto riguarda sistemi venturi come ETIASmeno pressione c’è sugli altri stati membri per accettarne finalmente l’ammissione.

Usque tandem?

Dietro le reticenze di Austria e Paesi Bassi si celano, troppo spesso, interessi politici di bassa lega. Nel caso austriaco, si tratta anche della volontà del partito conservatore OVP, al governo assieme ai Verdi, di mantenere un consenso a destra, ben sapendo che l’alleato di coalizione non avrà modo di obiettare. Ugualmente nel caso dei Paesi Bassi, bloccare l’adesione di Romania e Bulgaria – paesi la cui reputazione tra i cittadini UE resta bassa – non rappresenta alcun costo politico per l’ennesimo governo a guida nominalmente liberale di Mark Rutte.

Nel frattempo, chi ci rimette sono i cittadini romeni e bulgari, tra i più mobili in Europa, che ancora devono sorbirsi lunghe code alle fontiere interne UE. Anche perché i governi di Bucarest e Sofia, spesso deboli e in preda a ricorrenti crisi politiche, a differenza dell’Ungheria di Orban non hanno mai davvero minacciato ritorsioni politiche su altri dossier che siano cari a Vienna e all’Aja. Ma non è detto che ciò non avvenga in futuro, come il governo bulgaro ha già fatto intendere. Il primo obiettivo potrebbe essere il candidato olandese alla guida di Frontex.

Foto: EPA/GYORGY VARGA

Chi è Andrea Zambelli

Andrea Zambelli è uno pseudonimo collettivo usato da vari membri della redazione di East Journal.

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