Bombe Kiev

UCRAINA: Le bombe su Kiev servono a distrarci

Le bombe cadono su Kiev e sulle altre città ucraine da settimane, da quando l’aggressore russo – respinto e in evidente difficoltà – ha avviato una strategia tesa a colpire le infrastrutture e le aree residenziali al fine di fiaccare il morale della popolazione, lasciandola al buio, senz’acqua, tra macerie e decine di morti. Da un mese a questa parte, i russi hanno preso di mira persone e impianti energetici a Leopoli, Dnipro, Vinnytsia, Zaporizhzhia, Sumy, Kharkiv, Zhytormyr e, ovviamente, Kiev. Azioni rese possibili grazie ai droni iraniani che il regime degli ajatollah – in un sussulto suicida –  ha deciso di fornire al Cremlino, il quale si trovava ad aver finito i missili a media gittata e non poteva altrimenti compiere attacchi mirati.

Tuttavia, questi attacchi non hanno alcun valore militare e non servono a modificare la situazione sul campo. Sono solo una vuota esibizione di potenza dietro cui, ormai, non resta molto. Una ferocia inutile, che non potrà che rinsaldare gli ucraini nella volontà di sconfiggere il nemico, alimentando un odio destinato a essere secolare, e di cui il Cremlino è l’unico responsabile. E allora perché bombardare città e infrastrutture? Le nuove reclute russe al fronte subiscono perdite pesanti ogni giorno, e la loro voglia di combattere è scarsa. L’opinione pubblica russa comincia a mostrare insofferenza verso un conflitto che, ora, li tocca personalmente, nella loro sicurezza e nel portafoglio. Il Cremlino ha bisogno di mostrare che fa qualcosa, che è ancora capace di qualche iniziativa.

Soprattutto, con quei bombardamenti e quegli attacchi, il Cremlino si rivolge a noi, in Europa. L’unica possibilità di vittoria russa risiede infatti nel ritiro del sostegno occidentale all’Ucraina. Ma perché i governi europei decidano di interrompere il flusso di armi e denaro verso Kiev, occorre portare avanti iniziative da guerra ibrida, campo in cui i russi mantengono una certa efficacia. Bombardare obiettivi inutili alimenta, da un lato, le paure occidentali dell’escalation, mentre, dall’altro, concentra l’agenda mediatica europea sulle iniziative offensive del Cremlino piuttosto che sulle sue numerose disfatte. Lo scopo di questa doppia azione è orientare l’opinione pubblica affinché faccia pressione su parlamenti e governi, spingendoli a sospendere l’invio di armi. A questo servono le bombe su Kiev. A spaventarci e dividerci, invocando una pace qualsiasi, ma sperabilmente rapida, e quindi favorevole a Mosca.

Concentrati sulle bombe che cadono a Kiev e sulle altre città, i media non vedono gli ammutinamenti delle reclute russe mandate al fronte, il ritiro da Kherson, le fallite offensive su Bakhmut. Si parla invece di escalation nucleare, di rappresaglia russa, di guerra del gas. I russi, di fatto, ci fanno parlare di quello che vogliono e ci convincono di essere ancora forti e temibili. L’errore è quello di farsi dettare l’agenda dal Cremlino.

Il 17 ottobre a Belgorod alcune reclute musulmane hanno preso le armi sparando contro i propri ufficiali e uccidendo almeno una dozzina di persone, un segno evidente di come la mobilitazione ordinata da Putin faccia acqua da tutte le parti, spingendo molti uomini alla fuga all’estero e causando il malcontento delle minoranze etniche, usate come carne da cannone dal Cremlino. A Kherson le truppe russe e le autorità di occupazione stanno abbandonando la riva nord per riparare dietro il fiume Dnipro, lasciando la città sempre più sguarnita: una ritirata ordinata ma comunque sintomatica delle difficoltà russe. A Bakhmut, nel Donbass, l’esercito russo, forte dei nuovi coscritti giunti al fronte, ha lanciato una serie di offensive tutte fallite, con centinaia di morti tra i russi. Conquistare Bakhmut non significherebbe conseguire un reale successo militare a meno che non si sfondi verso Kramatorsk, cosa che non sembra possibile data la lentezza che ha fin qui contraddistinto i russi.

Insomma, i russi sono in difficoltà su tutti i fronti, ma questo semplice e chiaro messaggio non sembra arrivare all’opinione pubblica. Il sostegno militare ed economico nei confronti di Kiev sta consentendo agli ucraini di avere la meglio sul nemico. Un eventuale successo ucraino potrebbe ridisegnare gli equilibri in Europa orientale e nello spazio post-sovietico, aprendo a una nuova era nelle relazioni internazionali. Tutto questo è però nascosto dalla cortina fumogena del Cremlino e da chi, per interesse, ingenuità o calcolo, continua a essere l’utile idiota di Vladimir Putin e del suo regime.

Immagine da Agenzia Nova, nessun copyright indicato

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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