In Serbia, nella serata di mercoledì 27 ottobre, il parlamento ha votato la fiducia al terzo governo guidato da Ana Brnabić, ora pienamente in carica. L’incarico di formare un nuovo esecutivo era stato conferito al primo ministro dal presidente Aleksandar Vučić, lo scorso 27 agosto. I nomi dei ministri, però, sono stati proposti solo a seguito della sessione della presidenza del Partito Progressista Serbo (SNS).
La previsione, più volte ripetuta sia da Brnabić che da Vucić, di presentare la lista dei Ministri proposti entro il 25 settembre è stata largamente disattesa, come era previsto. Con l’intervento di Brnabić di martedì scorso, essa è stata resa nota dinanzi alla sessione speciale del parlamento, che il giorno successivo si è espresso a favore della fiducia al governo con 157 voti favorevoli e 68 contrari. I ministeri saranno 25, più tre ministri senza portafoglio, per un totale di 28.
I nomi proposti, tra novità e continuità
Rispetto al governo uscente, la squadra di governo non presenta grandi novità e sarà un governo di partito, ancora guidato dalla coalizione tra SNS e Partito Socialista (SPS). Alcuni veterani, tuttavia, non compaiono nella lista dei nomi presentati dal primo ministro al parlamento.
La prima esclusione eccellente riguarda Zorana Mihajlović, ministro delle Miniere e dell’Energia, parte della squadra di governo da ormai 10 anni e generalmente considerata dall’opinione pubblica come voce filo-occidentale del governo, poiché spesso critica verso l’influenza russa in Serbia. Essa ha affermato di non voler essere una pedina di Vučić, che grazie alla sua assenza dalla lista ora avrà un “mal di testa” in meno. La mancata riconferma è vista da molti opinionisti come una concessione del presidente serbo all’ala conservatrice del partito, presso cui non gode di grande consenso. Al posto di Mihajlović, alla guida del ministero dell’Energia ci sarà Dubravka Đedović Negre, nel cui curriculum figurano 16 anni di lavoro nella Banca Europea per gli investimenti e quattro da capo Ufficio dei Balcani Occidentali.
Un passo verso l’UE sembrerebbe essere rappresentato dal nome di Tanja Miščević , designata al ministero per l’Integrazione nell’UE, già capo negoziatore della Serbia nell’Unione dal 2013 al 2019. Sorprendente anche l’assenza dalla lista del ministro dell’Interno uscente, Aleksandar Vulin, e il taglio di Nenad Popović, ministro incaricato per le innovazioni e lo sviluppo tecnologico. Entrambi erano considerati filo-russi e la loro sostituzione sembra un segnale di compiacimento a Bruxelles. Il ministero degli affari Interni sarà affidato a Bratislav Gašić, attualmente direttore dell’Agenzia di informazioni sulla sicurezza (BIA). Per Vulin, tuttavia, si parla proprio di una possibile nomina a capo dei servizi segreti serbi, una mossa controversa e discussa che inasprirebbe i rapporti con gli altri paesi europei e della regione stessa.
Novità anche negli uffici del ministero degli Affari Esteri, con una scelta che stavolta sembra ammiccare alle relazioni con la Russia. Il dicastero verrà infatti guidato dal leader del partito socialista Ivica Dačić, che ha già ricoperto questo ruolo dal 2014 al 2020 e il cui orientamento politico viene definito come filo-russo. Egli prende il posto di Nikola Selaković, il quale figura in ogni caso tra i nomi proposti come ministro del Lavoro e degli Affari sociali. Tale mossa risponde alla logica di mettere pace tra le varie rivendicazioni dei partner della coalizione.
Due volti nuovi anche per la Difesa e per il Ministero dell’Edilizia, dei trasporti e delle infrastrutture, affidati rispettivamente al sindaco uscente di Novi Sad e vicepresidente di SNS, Miloš Vučević, e al vice sindaco di Belgrado, Goran Vesić. L’ormai ex ministro della Difesa, Nebojsa Stefanović, non avrà alcun incarico.
Interessante anche la proposta di Tomislav Žigmanov, come ministro dei Diritti umani, delle minoranze e il dialogo sociale. Croato di origine, la sua nomina è stata accolta con qualche riserva dalle parti di Subotica, dove il Consiglio Nazionale di Bunjevac chiedeva la sua non elezione, per via del suo definirsi “croato Bunjevac” e per il suo mancato riconoscimento di una comunità nazionale autonoma di Bunjevac. Sono circa 20,000 in Serbia gli appartenenti a tale gruppo etnico, insediatosi in alcune aree della Croazia, Ungheria e nel nord della provincia autonoma di Vojvodina, in particolare nella regione di Bačka. Essi condividono molte caratteristiche con i croati, tra cui la religione cattolica, ma i Bunjevac serbi non si considerano tali. Il ministero del Turismo e della gioventù va a Husein Memić, bosgnacco originario di Novi Pazar, candidato nella lista dei membri del Consiglio della minoranza nazionale bosgnacca.
Le prime critiche e le prospettive future
Nel suo discorso all’Assemblea, Ana Brnabić ha ribadito quali saranno le linee guida che il governo seguirà durante la sua permanenza in carica. La premier ha ribadito che l’interesse della Serbia sarà al primo posto, in particolar modo la sua stabilità statale e sociale, assicurando un lavoro all’insegna della continuità, e di una politica indipendente, che garantisca l’integrità territoriale del paese. Ha poi sottolineato che non si piegherà ad ogni richiesta fatta da Bruxelles per l’ingresso nei 27, nonostante l’adesione all’UE sia e rimanga un obiettivo da raggiungere.
Le prime critiche arrivano sia dagli esponenti dei partiti di opposizione che da parte dell’opinione pubblica, e non poteva essere altrimenti dato che, per formare la nuova squadra governativa, sono passati oltre sei mesi da quel 3 aprile in cui i cittadini serbi erano stati chiamati alle urne, non senza delle ombre sulla regolarità del voto in alcuni seggi. Vuk Jeremić, leader del Partito Popolare che siede all’opposizione, definisce un numero così ampio di ministri in questi tempi di crisi come uno “schiaffo” in faccia al popolo.
Il dibattito nell’opinione pubblica ha riguardato e riguarda, invece, il possibile orientamento filo-occidentale o filo-russo che potrebbe scaturire da questa nuova assegnazione dei ministeri. Il primo ministro, per dissolvere i dubbi, ha deciso di descrivere il nuovo governo come filo-serbo, citando nel suo discorso sia il percorso di adesione all’UE, sottolineando come un eventuale ingresso non dipenda solamente dalla Serbia, sia l’importanza delle relazioni con altri paesi, riferendosi chiaramente a Russia e Cina. Tali dichiarazioni lasciano intravedere per il futuro una sorta di continuità con il passato, ovvero una politica estera ambigua, in bilico tra due posizioni contrastanti e una Serbia interessata a non schierarsi tra Est e Ovest.
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