C’è un episodio della storia polacca che ha segnato per sempre la memoria del paese: la crisi di ottobre. Ricordare è come sfiorare una cicatrice. Un evento assai delicato che colpì una popolazione che aveva subito la guerra come poche altre e quasi dieci anni di stalinismo. L’autunno del 1956 viene ricordato come il momento in cui Nikita Sergeevič Chruščëv, accompagnato dai suoi uomini più fidati, volò a Varsavia per minacciare il Politburo polacco di invadere il paese.
Contesto storico
Il 1956 è l’anno della grande svolta nella storia dei paesi del blocco socialista. A febbraio Chruščëv, durante il ventesimo congresso del Pcus, legge il rapporto segreto che dà inizio alla destalinizzazione. Da questo momento, l’Europa Centro Orientale precipita in una crisi politica che colpisce i piani alti del potere e scuote la popolazione.
Quasi ovunque gli uffici politici si dividono in fazioni: da una parte chi vuole conservare metodi e dogmi dello stalinismo, dall’altra chi vuole ammorbidire la morsa sui cittadini attraverso alcune concessioni politiche ed economiche. Queste divisioni danno inizio ad una lotta per il potere. Da parte loro, gli operai cominciano a protestare, e ricevono come risposta la repressione militare. La destalinizzazione sembra essere sfuggita di mano e si rende necessaria, per il mantenimento del potere, una dolorosa normalizzazione. Ovvero il soffocamento di tutte quelle che venivano considerate le aspirazioni più riformiste.
La crisi politica
In Polonia il Politburo è spaccato in correnti. Queste si rimbalzano le responsabilità sul periodo stalinista, non trovano accordo sulle soluzioni politiche da adottare per calmare la popolazione dopo il massacro di Poznań, avvenuto a giugno. Sono divisi da una scelta politica improrogabile: quanto margine di libertà possiamo permetterci rispetto a Mosca?
Bolesław Bierut, lo “Stalin polacco”, è morto da poco. La destalinizzazione è cominciata ma i sovietici ricoprono ancora ruoli chiave nelle istituzioni della Polonia popolare. In particolare, il maresciallo sovietico Rokossovskij, ha il pieno comando delle forze armate. L’ordine sociale e gli equilibri politico-militari polacchi sono saldi nelle mani del Cremlino.
Mentre nel paese si diffondono sentimenti antisovietici e proteste tra contadini, operai e studenti, il Politburo cerca di rendersi più indipendente dal Pcus. L’idea è quella di allontanare gli uomini di Chruščëv dalle istituzioni polacche. Il maresciallo Rokossovskij deve tornare nell’Urss: l’VIII Plenum del Comitato Centrale designerà altri membri per l’ufficio politico.
Chruščëv vola a Varsavia
La reazione di Chruščëv è immediata. La preoccupazione più grande del segretario del Pcus è un distacco da parte polacca dal blocco socialista. Si teme uno scenario jugoslavo per la Polonia, un paese che però – contrariamente alla Federazione di Tito -, è di importanza strategica e geografica fondamentale. La paura che Varsavia, rendendosi indipendente, possa interrompere i collegamenti logistici tra Urss e Germania Est è tale da spingere Chruščëv a volare di persona verso la capitale polacca.
Il 18 ottobre, il giorno prima dell’apertura dell’VIII Plenum del Comitato Centrale, l’ambasciata sovietica a Varsavia annuncia l’arrivo, previsto per il giorno seguente, di una delegazione da Mosca. La richiesta di posticipare l’incontro cade nel vuoto. Al contrario, i sovietici pretendono un’accoglienza ufficiale in aeroporto, proprio nelle ore in cui si apre il Plenum.
Una dimostrazione di forza, arrogante, che preannuncia i toni della riunione. Quando la delegazione moscovita atterra a Varsavia, Chruščëv saluta tra i presenti soltanto i rappresentanti sovietici, tra cui Rokossovskij. Poi, puntando il dito contro Edward Ochab, segretario del Partito operaio unificato polacco, urla davanti a tutti che le decisioni sul nuovo Politburo non passeranno.
Per non provocare altre scenate in pubblico, l’incontro si sposta verso il Palazzo Belvedere. I toni, tuttavia, non si placano. Al contrario, lo scontro sfocia in aperta minaccia. Chruščëv dice chiaramente: «Abbiamo deciso di intervenire brutalmente nei vostri affari e non vi permetteremo di realizzare i vostri piani».
I rappresentanti polacchi cercano di assicurare Chruščëv che la posizione geopolitica della Polonia non è in discussione. In tutta risposta, arriva una notizia che gela il sangue dei padroni di casa: l’esercito sta marciando verso Varsavia e le navi militari si stanno avvicinando alle coste del Baltico. Un’intimidazione, questa, possibile perché le truppe polacche sono nelle mani del sovietico Rokossovskij. L’invasione sembra impellente.
Dopo Varsavia
Il mattino seguente, tuttavia, le autorità russe fanno ritorno a Mosca in un clima più rilassato. Nell’Urss, secondo una ricostruzione dei fatti totalmente slegata dalla realtà, la Pravda riporta: «Le conversazioni sono state contrassegnate da uno spirito di partito franco e amichevole». Alla fine, nonostante le minacce del Cremlino, il Politburo polacco conferma la sua scelta sulla nomina dei nuovi membri, conferendo all’ufficio politico una posizione di relativa autonomia.
Il Presidium del Pcus sceglie allora di fidarsi. Accetta la nomina di Władysław Gomułka come nuovo segretario del Poup. Chruščëv gli scrive: «Il Comitato Centrale del Pcus crede che, se nell’opinione del Comitato Centrale del Poup non c’è più necessità che gli ufficiali sovietici e gli ufficiali generali restino nell’esercito polacco, allora noi concordiamo in anticipo sul loro ritiro». L’invasione della Polonia è stata scongiurata. Gomułka diventa segretario del partito e dà inizio al grande esperimento – fallito – di un socialismo più umano.
Nel frattempo gli effetti della crisi di ottobre si diffondono, come un’eco inarrestabile, in Ungheria, già influenzata dagli eventi di Poznań. La Polonia diventa in quei giorni un laboratorio. Rappresenta uno spiraglio di possibilità verso le “vie nazionali al socialismo”, verso la costruzione di società relativamente più democratiche e indipendenti. Budapest, però, non sarà fortunata come Varsavia.
Questa nuova linea di principio deve infatti vedersela con i rapporti di forza interni alle élite comuniste e mantiene dei limiti rigorosi nel margine di autonomia che i paesi del blocco possono permettersi rispetto a Mosca. Gomułka lo capisce, Nagy si spinge oltre. Soltanto pochi giorni dopo l’incontro di Varsavia, il 23 ottobre, su richiesta delle stesse autorità magiare, l’Armata Rossa entra in Ungheria.