Da alcuni giorni, le autorità russe di occupazione stanno evacuando da Kherson verso la riva sinistra del fiume Dnipro da cui, probabilmente, intendono dare continuità all’amministrazione dei territori occupati e recentemente annessi alla Federazione russa a seguito di un referendum illegale. Il “governatore” ad interim di Kherson, Volodymyr Saldo, afferma che “nessuno sta per arrendersi” tuttavia ha dato ordine alla popolazione di evacuare la città. Il 19 ottobre è stato diffuso un proclama che avvertiva di un possibile bombardamento ucraino e invitava ad andarsene. Secondo le autorità russe “almeno due battaglioni di fanteria della 128a brigata d’assalto motorizzata e un battaglione di carri armati della 17a brigata” avrebbero “lanciato un’offensiva nella direzione Nova Kachovka-Beryslav“, come affermato da Kirill Stremousov, vice capo dell’amministrazione regionale d’occupazione.
Mentre lo stato maggiore ucraino tace sull’offensiva, il generale russo Surovikin afferma che presto bisognerà “prendere decisioni difficili” a Kherson. Decisioni che non riguardano l’uso di testate nucleari, come tanti vorrebbero far credere al fine di alimentare la paura nell’opinione pubblica occidentale, ma l’abbandono della città, impossibile da difendere per i russi poiché si trova a nord del Dnipro, con il fiume alle spalle. E proprio da nord spingono gli ucraini che hanno già colpito ripetutamente i ponti che collegano Kherson al resto dei territori occupati. I rifornimenti per le truppe russe sono quindi scarsi, e vengono fatti arrivare tramite le linee ferroviarie che portano in Crimea (manca invece una ferrovia che conduca verso est) oppure tramite chiatte sul Dnipro.
Insomma, sembra di assistere a un collasso russo anche nell’oblast’ di Kherson. La città tuttavia, come ricorda Orio Giorgio Stirpe, è difesa da cinque brigate tra le migliori dell’esercito russo, indebolite però dalla mancanza di rifornimenti e dal consumo di carburante e munizioni che non sono stati nuovamente approvvigionati. L’area intorno a Kherson è stata infatti il fulcro di un’attività di diversione che, nei primi giorni di settembre, ha consentito alle forze ucraine di lanciare una controffensiva nelle regioni orientali del paese, tra Charkiv e Izyum, da cui le riserve nemiche erano state spostate proprio verso sud, per fronteggiare un attacco che non c’è mai stato. A quel punto, l’esercito russo ha riportato le truppe verso il Donbass per fermare l’avanzata ucraina, lasciando il fronte meridionale presidiato da soldati stanchi e affaticati da settimane di manovre.
L’avanzata ucraina in direzione di Nova Kachovka-Beryslav non è casuale, poiché è dove si trova uno dei tre ponti che collega le due rive del Dnipro. Inoltre, un numero imprecisato di soldati russi rischia di venire circondato dalla manovra ucraina. Non è chiaro se quella ucraina sia una vera e propria offensiva oppure una semplice pressione per saggiare le forze del nemico. L’ordine di Putin è però chiaro: non perdere la città di Kherson, l’unico capoluogo di regione conquistato dall’inizio dell’aggressione. La città assume quindi un valore simbolico senza avere un reale valore strategico. Ripiegare a sud del Dnipro non comprometterebbe la manovra russa e consentirebbe di stabilire una posizione di difesa pressoché insuperabile. Ma le necessità militari vengono meno di fronte agli ordini del Cremlino che, in questo modo, interferisce con “la ragione militare” diventando una delle cause della sconfitta. Non resta che sperare che Vladimir Putin continui a improvvisarsi generale.
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foto di Aleksei Kolovalov / Tass