armi nucleari

E se la Russia usasse armi nucleari?

Nell’annunciare la mobilitazione di circa trecentomila soldati, Vladimir Putin ha promesso di utilizzare “tutti i sistemi d’arma disponibili” per difendere “l’integrità territoriale” della Russia. Una promessa difficile da mantenere dopo l’annessione dei territori ucraini occupati, che Putin ha proclamato “per sempre russi” ma che già sono stati attaccati dall’esercito di Kiev, che ha recentemente liberato la città di Lyman, nell’oblast’ di Donetsk. Considerando che il Cremlino ha ripetutamente descritto la sua vittoria in Ucraina come “essenziale per l’esistenza della Russia”, crescono le preoccupazioni su come risponderà il regime se le sue truppe continueranno a perdere terreno nella guerra. Ordinerà un attacco nucleare?

Le valigette nucleari

Anzitutto, occorre sottolineare che Vladimir Putin non detiene il potere assoluto, che esistono protocolli e norme legali che ne limitano l’arbitrio, e tra queste c’è il divieto di utilizzare armi nucleari a proprio piacimento. Il ricorso alle armi nucleari è consentito solo se armi convenzionali vengono utilizzate sul territorio russo e l’esistenza dello stesso Stato russo è minacciata. A quel punto – spiega Maxim Starchak, docente presso la Queen’s University e analista di difesa – occorre che il Capo di stato maggiore dell’esercito e il ministro della Difesa concedano l’avvio della procedura d’attacco attraverso le proprie valigette nucleari.  Tuttavia la decisione di Putin di mobilitare i riservisti è un’indicazione di come il Cremlino intenda risolvere con mezzi ordinari la questione ucraina. Inoltre, ricorda ancora Starchak, la Russia dispone di altre risorse ancora non utilizzate, dall’aviazione all’uso di armi ad alta precisione che potrebbe lanciare su Kiev in qualsiasi momento.

Un lancio nel deserto

La dottrina militare nucleare russa prevede, prima di un attacco nucleare diretto, un lancio dimostrativo nel deserto o nelle regioni artiche, al fine di esercitare una pressione psicologica sufficiente a condurre il nemico a più miti consigli. Secondo Olga Oliker, direttrice dell’International Crisis Group a Bruxelles, intervistata da Meduza, la volontà di evitare un conflitto nucleare da parte del Cremlino sarebbe tuttavia provata anche dall’attenzione con cui le autorità russe hanno fin qui evitato di estendere il conflitto al di fuori dell’Ucraina.

Ci sarebbe, insomma, da parte di Mosca la volontà di controllare l’escalation decidendo quali passi compiere e quando farli, mantenendo l’iniziativa militare. Un lancio dimostrativo, una minaccia concreta, spingerebbe l’Occidente a un intervento preventivo e diretto sul suolo russo, con conseguenze impensabili ma certamente devastanti anzitutto per la Russia. “Non c’è alcuna convenienza militare nell’uso delle armi nucleari – afferma Olga Oliker – in quanto l’unico utilizzo possibile è quello legato alla deterrenza” ed è per questo che la Russia può essere sicura che nessuno attaccherà mai il suo territorio. Non usare l’arma nucleare è proprio ciò che garantisce la sicurezza, alla Russia e non solo.

Le armi nucleari tattiche

Un’arma nucleare tattica è un ordigno pensato per essere utilizzato sul campo di battaglia, dispone di un potenziale limitato, ma è comunque capace di annientare ogni forma di resistenza militare sia attraverso la distruzione diretta del nemico, sia attraverso le radiazioni che renderebbero inutilizzabile il territorio.

Questo tipo di utilizzo si distingue da quello detto strategico, ovvero di deterrenza, ed è apparso per la prima volta nella dottrina russa durante la Guerra Fredda, in relazione all’ipotesi di invasione occidentale della Germania Est che, allora, sarebbe stata trasformata in un deserto radioattivo fermando così l’attacco. Una di quelle follie in stile Dottor Stranamore che credevamo relegate al secolo scorso. Tuttavia, lanciare un simile ordigno in Donbass o in altre regioni contese significa esporre il proprio esercito alle radiazioni mentre sganciarlo su Kiev potrebbe non intaccare la capacità militare ucraina. In entrambi i casi, sembra una soluzione non conveniente in quanto crea più problemi sul campo di battaglia di quanti non ne risolva.

La questione dei territori annessi

A seguito dell’annessione, i territori ucraini occupati diventano madrepatria russa, intangibile e sacra, e ogni violazione costerà l’atomica, almeno stando alle minacce di Putin. La verità è che l’annessione è solo un tentativo di fermare la controffensiva ucraina agitando lo spettro nucleare. Ma la messa in scena non si rivolge a Kiev, bensì alle opinioni pubbliche occidentali che, spaventate dalle possibili conseguenze, potrebbero incalzare i propri governi affinché escano da un conflitto che, in fondo, agli europei interessa poco.

La guerra andrà avanti con maggiore intensità, ma con armi convenzionali, e certo una Russia messa all’angolo userà tutte le sue risorse – e sono molte, prima dell’atomica. D’altro canto l’Occidente, se vuole vincere, non deve stravincere. Quando questa guerra sarà finita, bisognerà coinvolgere la Russia in un nuovo sistema di sicurezza europeo e globale, restituendo le minacce nucleari agli incubi di un’epoca passata.

Immagine da Flickr, Nuclear weapons test in Nevada in 1957

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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