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RUSSIA: La mobilitazione, i referendum farsa e il gasdotto

La mobilitazione dell’esercito rischia di essere ininfluente mentre ai referendum per l’annessione dei territori occupati nessuno ha votato. La Russia fa la voce grossa, ma è in difficoltà

La catastrofica ritirata dell’esercito russo nella regione di Kharkiv ha rappresentato per gli occupanti un trauma profondo: in seguito a quella rovinosa sconfitta il Cremlino ha accelerato le proprie decisioni nel tentativo di arginare una situazione molto difficile del proprio esercito. La rabbia e la disperazione non sono però mai buone consigliere, e le convulse decisioni prese negli ultimi giorni appaiono potenzialmente catastrofiche per la Russia, oltre ad alzare il livello della sfida all’Ucraina e all’Occidente.

In un breve lasso di tempo è stata annunciata in Russia una mobilitazione parziale, che nella realtà si sta rivelando ben poco parziale, bensì una caotica cattura di uomini in tutte le regioni del paese, per poterli mandare al fronte nel giro di pochi giorni, senza alcun addestramento, pura carne da cannone per rimpolpare file ormai insufficienti. Questo ha determinato una fuga precipitosa all’estero, con ogni mezzo possibile, di almeno 250 mila uomini, e sta seminando nel paese, prima colpevolmente indifferente, panico e proteste: una situazione che si somma al progressivo degrado dell’economia e pone severe domande sul futuro del paese.

L’autocrate però, con cieca ostinazione, sembra voler rischiare il tutto per tutto pur di consolidare le posizioni in Ucraina, e ha decretato lo svolgimento sommario di referendum farsa, tenuti in punta di fucile, nelle “repubbliche” del Donbass e nelle zone di Cherson e Zaporizzja, solo parzialmente occupate. Poco importa che lì i voti siano stati poche migliaia, estorti sotto minaccia armata, è sufficiente al Cremlino uno straccio di consultazione per poter dichiarare in pompa magna, sulla Piazza Rossa il 30 settembre, l’annessione delle province occupate.

La minaccia teorica, pronunciata nell’ultimo iroso discorso televisivo, è quella di voler difendere quelle zone, ucraine a tutti gli effetti per il mondo civile, come se si trattasse della madrepatria, quindi con ogni armamento a disposizione. Suscitare la paura e fomentare la divisione tra i paesi europei è la precisa intenzione del Cremlino, deciso a ricattare con il gas e il nucleare i rammolliti europei, augurandosi che i rincari dell’energia e la paura del nucleare possano convincere i qualunquisti, presenti in ogni paese, alla protesta contro i governi, spingendoli a revocare il sostegno all’Ucraina.

In questo quadro si è aggiunto un misterioso sabotaggio dei gasdotti North Stream 1 e 2, da tempo bloccati, che rifornivano la Germania di gas russo. Il sospetto è che si tratti di un’azione da parte della stessa Russia per alzare allo spasimo la tensione sul mercato dell’energia e la paura nell’opinione pubblica: in realtà, si tratta di un calcolo suicida, perché senza la vendita del gas, che fruttava miliardi di dollari, la Russia si avvia verso un’economia da terzo mondo. Inoltre, spingere l’Europa a diversificare i propri approvvigionamenti energetici, significa perdere rapidamente il proprio potere di ricatto e distruggere forse per sempre il proprio principale mercato. Come si vede, il paese aggressore sta precipitando in una spirale di autodistruzione di rara potenza, con un istinto suicida che fa temere azioni ancora più inconsulte.

L’obiettivo è di raccogliere trecentomila uomini da gettare nella mischia in Ucraina senza poterli addestrare e attrezzare minimamente. Sembra che già centomila disgraziati siano stati catturati e arruolati. Gli esperti militari giudicano quasi ininfluente per il corso reale della guerra questa mobilitazione, posto che in condizioni normali almeno sei mesi sarebbero necessari per un addestramento, e che questi uomini possono rimpolpare le retrovie, ma non potranno quasi avere alcuna efficacia in battaglia.

La recente visita del presidente bielorusso Lukashenko a Sochi ha fatto temere un prossimo aiuto della Bielorussia alle forze occupanti. Da un costante monitoraggio delle attività nel paese è apparso un avvicendamento di tre caccia militari russi Sukhoi-30 nella base aerea di Baranovichi, nonché, secondo il politico in esilio Pavel Latushko, la preparazione di alloggi per ospitare potenzialmente i nuovi coscritti russi, almeno ventimila. Lukashenko si è finora guardato bene dall’intervenire nella guerra, pur concedendo il proprio territorio per il primo attacco russo e per il lancio di missili sull’Ucraina. Certo non intende associarsi a un’impresa che appare già fallimentare, e tenta sempre di strizzare l’occhio all’Occidente, ma rischia comunque di essere preso in un gioco pericoloso. Nel paese è in atto intanto una silenziosa e crudele repressione, con notturni e subdoli arresti, e persone che spariscono nel nulla. Ancora si stanno ricercando e catturando i partecipanti alle proteste scoppiate dopo le ultime elezioni. Vengono arrestati poi per ritorsione i parenti dei volontari che combattono in aiuto dell’Ucraina.

Anche dalla Bielorussia sono fuggiti negli ultimi mesi molti uomini, temendo una mobilitazione, e soprattutto una grande quantità di tecnici informatici, che sta depauperando e distruggendo la promettente Silicon valley bielorussa. Sul piano militare, l’Ucraina è comunque da tempo pronta a respingere un possibile attacco dal confine bielorusso.

Photo by Stringer/Anadolu Agency via Getty Images

Chi è Giovanni Catelli

Giovanni Catelli, cremonese, è scrittore e poeta, esperto di cultura e geopolitica dell’Europa orientale. Suoi racconti sono apparsi in numerose testate e riviste, tra cui il Corriere della Sera, la Nouvelle Revue Française, Nazione Indiana, L’Indice dei Libri. Ha pubblicato In fondo alla notte, Partenze, Geografie, Lontananze, Treni, Diorama dell'Est, Camus deve morire, Il vizio del vuoto, Parigi e un padre (candidato al Premio Strega 2021). Geografie e Camus deve morire (con prefazione di Paul Auster) sono stati tradotti in varie lingue. Collabora con Panorama e dirige Café Golem, la pagina di cultura di East Journal. Da più di vent'anni segue gli eventi letterari, storici e politici dell'Europa orientale, e viaggia come corrispondente nei paesi dell'antico blocco sovietico.

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