Bosnia elezioni

Elezioni in Bosnia, la grande incertezza

Il 2 ottobre i bosniaci sono chiamati alle urne per le elezioni generali. Dominano ancora i tre maggiori partiti etnonazionalisti, ma il divario tra il gioco politico e le preoccupazioni dei cittadini è sempre più ampio 

Le elezioni imminenti

Come ogni quattro anni, la prima domenica di ottobre si vota in Bosnia Erzegovina per i tre membri della Presidenza e per rinnovare i parlamenti di stato, entità e cantoni, in un sistema multipartitico frammentato che si basa su ampie coalizioni. Il paese esce da quattro anni difficili: per via di dissidi sulle relazioni con la NATO ci volle più di un anno dopo le elezioni del 2018 perché il governo di Zoran Tegeltija (SNSD) entrasse in funzione, per dover presto affrontare la crisi della pandemia e, dall’estate 2021, la rinnovata spinta secessionista del leader serbo-bosniaco e membro della Presidenza Milorad Dodik, che non si è arrestata nemmeno dopo l’invasione russa dell’Ucraina, con Dodik che rimane il principale uomo di Putin nei Balcani. In tutto ciò, le 14 priorità-chiave per l’integrazione europea, indicate dall’opinione della Commissione europea del 2019, sono rimaste completamente al palo, così come la ricerca di una soluzione all’annosa questione Sejdic-Finci – il cui ultimo tentativo mediato da USA e UE è di nuovo naufragato lo scorso marzo.

L’incognita della riforma elettorale

Da mesi si parla di una riforma elettorale, reclamata a gran voce dal partito nazionalista croato HDZ BiH per assicurarsi il controllo sui 17 delegati croati alla Camera dei Popoli della Federazione – una delle due entità del paese – modificando il numero di delegati croati nominati dai diversi cantoni. Dietro lobbying del governo di Zagabria, prima dell’estate anche l’Alto Rappresentante internazionale (OHR) Christian Schmidt aveva considerato l’opzione di imporre per decreto tali modifiche al sistema elettorale, per poi fare mancia indietro a seguito delle proteste di piazza a Sarajevo. Gli abitanti della capitale protestavano contro il principio di segregazione etnica che tale riforma avrebbe introdotto, in contraddizione con i principi europei di non-discriminazione – e con lo stesso dettato di Dayton. 

In mancanza di sostegno domestico e internazionale, a fine luglio Schmidt si è quindi limitato a imporre per decreto modifiche tecniche per migliorare l’integrità e la trasparenza del processo elettorale e combattere l’incitamento all’odio – una riforma, in linea con le raccomandazioni OSCE/ODIHR del 2014 e 2018, che i partiti nazionalisti serbi e croati (SNSD e HDZ BiH) avevano rigettato in parlamento a maggio, così come avevano rigettato altre riforme sulla lotta alla corruzione. 

I candidati alla Presidenza

Per il seggio croato alla Presidenza statale, il leader HDZ Dragan Čović ha deciso di non ripresentarsi e di lasciare alla sua vice Borjana Krišto il compito di sfidare l’uscente socialdeomocratico Željko Komšić. I nazionalisti croati dell’HDZ di Mostar e di Zagabria  non hanno mai digerito la vittoria del 2018 di Komšić su Čović, avvenuta grazie all’appoggio degli elettori bosgnacchi. Mentre Komšić e il suo Fronte Democratico (DF) promuovono uno stato in cui la rappresentazione etnica costituisca un elemento secondario, l’HDZ reclama una “legittima rappresentanza” dei croati nella Presidenza, attraverso un collegio elettorale separato che impedisca agli elettori bosgnacchi di votare per un candidato croato.

Tra i candidati bosgnacchi, la sfida sarà tra Denis Bećirović del Partito Socialdemocratico (SDP), sostenuto da altri 10 partiti non-nazionalisti, e Bakir Izetbegović dell’SDA, figlio del primo presidente bosniaco Alija. Secondo l’analista bosniaco Adnan Ćerimagić, “una vittoria di Bećirović contro Izetbegović provocherebbe una crisi all’interno dell’SDA”. Le due sfide parallele, per il seggio croato e quello bosgnacco, crea ancora maggior incertezza, dato che gli elettori non-nazionalisti potranno scegliere per quale dei due seggi esprimere il voto.

Per il seggio serbo, infine, anche il leader serbo-bosniaco Dodik non si ripresenta, preferendo scambiarsi di posto con Željka Cvijanović, oggi presidente dell’entità Republika Srpska. Una mossa che potrebbe indicare la volontà di Dodik di consolidare la propria posizione istituzionale nella RS e da lì continuare nella sua agenda secessionista sostenuta da Mosca. Contro Cvijanović alla presidenza statale si presenta Mirko Šarović del Partito democratico serbo (SDS) che fu di Karadžić, mentre per la presidenza dell’entità l’avversaria principale di Dodik sarà Jelena Trivić del Partito del progresso democratico (PDP).

Una prospettiva incerta per il paese

Queste tre battaglie politiche determineranno l’imminente futuro della Bosnia Erzegovina. Se Dodik dovesse vincere nella Republika Srpska, il processo di secessione dell’entità continuerebbe: Dodik ha già messo in atto una serie di misure volte a fiaccare lo stato, incrinando la fragile unità del paese.Un processo che potrebbe rallentare con la vittoria di Trivić. 

Alla luce della riforma elettorale reclamata dai croati per rafforzare il voto etnico, Ćerimagić sostiene che “una vittoria di Borjana Krišto a Sarajevo porterà sul breve termine alla fine dei ricatti da parte dell’HDZ, ma sul lungo termine il progetto politico dell’HDZ potrà continuare”. Ad ogni modo, conclude Ćerimagić, “il vero sconfitto delle prossime elezioni sarà la Bosnia Erzegovina”.

A prescindere dagli esiti, il paese si trascina nello stallo trentennale che affonda le proprie radici negli accordi di Dayton e che interessa sia la sfera politico-istituzionale sia quella socio-economica. Il sistema politico che vige nel paese è di stampo fortemente etnonazionalista, e il pericolo di precipitare nuovamente in una spirale di violenze è alimentato dalle spinte secessioniste, provenienti soprattutto dai gruppi serbi e croati. In questo clima di allerta e incertezza generalizzate, le elezioni in Bosnia Erzegovina sono importanti sia per i loro esiti – che, salvo svolte inaspettate dovrebbero ricalcare l’assetto degli ultimi tre decenni – sia per le implicazioni geopolitiche che riguardano tutta l’Europa.


Foto: REUTERS (da https://www.dailysabah.com/politics/diplomacy/turkiyes-support-for-bosnias-eu-nato-membership-vital)

Chi è Paolo Garatti

Storico e filologo, classe 1983, vive in provincia di Brescia. Grande appassionato di Storia balcanica contemporanea, ha vissuto per qualche periodo tra Sarajevo e Belgrado dove ha scritto le sue tesi di laurea. Viaggiatore solitario e amante dei treni, esplora l'Est principalmente su rotaia

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