Quasi cento morti negli scontri tra Kirghizistan e Tagikistan. Biškek accusa Dušanbe di «invasione militare premeditata».
di Luna De Bartolo
Un confine lungo quasi mille chilometri, quello tra Kirghizistan e Tagikistan, che a trent’anni dalla caduta dell’Unione Sovietica resta disputato per oltre un terzo della sua estensione. Scontri transfrontalieri accadono con frequenza, ma quanto avvenuto nei giorni scorsi è qualcosa di diverso. Le autorità kirghise hanno accusato il governo di Dušanbe di «invasione militare premeditata». Le forze tagike, ha affermato il Comitato statale per la sicurezza nazionale del Kirghizistan, sono penetrate nel territorio kirghiso in diversi punti, occupando villaggi e costringendo all’evacuazione oltre 140.000 persone. Le autorità tagike hanno ribattuto incolpando i kirghisi di aver preso di mira abitazioni e obiettivi civili con elicotteri d’attacco, droni e armi pesanti. Non si ha notizia di evacuazioni nel territorio tagiko.
Il ministero della Salute kirghiso ha confermato la morte di 59 persone e quasi 200 feriti. Dati ufficiali da Dušanbe, la capitale del Tagikistan, sede di un regime autoritario con a capo lo stesso uomo dal 1994, sono iniziati ad arrivare solo domenica, dopo giorni di silenzio: le vittime sarebbero 35. La situazione al confine resta tesa, in particolare nella regione kirghisa di Batken e nel distretto kirghiso di Čong-Alaj, nella regione di Oš. Un accordo di cessate il fuoco è in vigore dalle 16:00 ora di Biškek (mezzogiorno in Italia) del 16 settembre, ma bombardamenti sporadici sono stati segnalati anche il giorno successivo. Le autorità kirghise hanno osservato lunedì 19 settembre una giornata di lutto nazionale.
Un’aggressione premeditata del Tagikistan?
Domenica sera, il ministero degli Esteri kirghiso ha rilasciato una dichiarazione ufficiale, nella quale ha ribadito di considerare «gli eventi occorsi tra il 14 e il 17 settembre 2022 sul proprio territorio sovrano come un atto di aggressione armata premeditato da parte del Tagikistan» e che «possiede prove (materiali fotografici e video) in grado di mostrare le fasi iniziali dell’aggressione, nonché tutte le atrocità e i crimini commessi dal personale militare tagico sul territorio del Kirghizistan». Biškek, si legge nella nota, «ha agito esclusivamente a scopo difensivo, non avendo come obiettivo quello di impadronirsi del territorio altrui, a differenza della parte tagika, che ha violato infidamente l’integrità territoriale e la sovranità del Kirghizistan». La diplomazia kirghisa ha poi definito estremamente preoccupante «la partecipazione attiva di formazioni paramilitari irregolari sul versante tagico». Il ministero degli Esteri tagiko ha rilasciato un comunicato simile, nel quale ha accusato il vicino kirghiso di «un atto di aggressione armata».
Sono però numerosi i video che circolano in queste ore sui social media, verosimilmente realizzati dagli stessi tagiki, e che sembrano corroborare la versione di Biškek. I filmati mostrano – quelli che paiono a tutti gli effetti essere – soldati tagiki fare irruzione in villaggi kirghizi e sventolare il loro tricolore, mentre abitazioni e altre infrastrutture civili vengono date alle fiamme e vandalizzate. Azioni che difficilmente possono essere scambiate per legittima difesa. In molti di questi video si vedono uomini vestiti di nero o in tuta mimetica, senza alcun segno che possa identificarli come appartenenti all’esercito, maneggiare fucili e compiere razzie. Questi materiali sono stati pubblicati sui media kirghisi, come la testata Kloop, nota per le inchieste sul potere, che ha tuttavia sottolineato come non sia possibile per loro verificarne indipendentemente l’autenticità.
La Russia invoca la pace
Il leader russo, Vladimir Putin, ha parlato domenica al telefono con i presidenti del Kirghizistan e del Tagikistan esortandoli a trovare una soluzione pacifica alla loro disputa, e offrendo la disponibilità della Federazione a ricoprire il ruolo di mediatore. Mosca ha legami stretti sia con Biškek, sia con Dušanbe. Entrambi i paesi ospitano basi militari russe nel proprio territorio, e le loro economie dipendono profondamente da Mosca. Kirghizistan e Tagikistan sono poi membri dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (OTSC), l’alleanza militare a guida del Cremlino portata all’attenzione dell’opinione pubblica lo scorso gennaio, quando è stata chiamata a sedare le proteste in Kazakistan. Il segretario generale dell’OTSC, il bielorusso Stanislav Zas, ha chiesto a Biškek e Dušanbe di risolvere i loro contrasti con mezzi politici e diplomatici.
I fatti
Tutto ha avuto inizio la mattina del 14 settembre con uno scambio di fuoco tra le guardie di confine dei due paesi, che si sono incolpati a vicenda di aver scatenato le ostilità. Il Kirghizistan ha inoltre accusato il Tagikistan di aver preparato il blitz in anticipo, sostenendo come già l’8 settembre, col pretesto di garantire la stabilità durante le celebrazioni per la giornata dell’indipendenza, che ricorre il 9 settembre, Dušanbe avrebbe trasferito unità di forze speciali nell’exclave di Vorukh, allestito postazioni di tiro e scavato trincee nei pressi delle linee di confine.
Il 15 settembre la situazione sembrava essersi normalizzata, ma la mattina successiva, mentre a Samarcanda, in Uzbekistan, si teneva il vertice dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, gli scontri tra i due alleati di Mosca si sono intensificati, e Biškek ha accusato Dušanbe di aver bombardato molteplici avamposti delle aree di frontiera della regione di Batken, la stessa città di Batken, che si trova a più di 10 km dal confine, e il suo aeroporto. Il presidente kirghiso Sadyr Japarov e il suo omologo tagiko, Emomali Rakhmon, erano entrambi a Samarcanda a fianco del capo di Stato cinese Xi Jinping, del russo Vladimir Putin e di altri leader regionali. Durante un colloquio a margine del summit, Japarov e Rakhmon avevano concordato di dare mandato alle autorità competenti per negoziare la fine delle ostilità, e un accordo di cessate il fuoco era stato poi raggiunto nel pomeriggio. Ma già la sera i combattimenti erano ripresi, anche se con minore intensità, e bombardamenti sono stati segnalati nella giornata di sabato. Da domenica non si sono più registrati incidenti, ma la tregua appare ancora fragile.
L’origine del conflitto
La regione kirghisa sudoccidentale di Batken, teatro principale degli scontri armati, è circondata su tre lati dalla provincia tagika di Sughd e racchiude al proprio interno due exclave tagike – Vorukh e la minuscola Lolazor – e quattro uzbeke. I confini risalgono all’epoca sovietica, quando Mosca decise di dividere l’Asia centrale in repubbliche etnicamente omogenee, ma l’area della valle di Fergana, di cui la regione di Batken fa parte, con la sua composizione etnica mista, rappresentò un rompicapo impossibile da risolvere. Le linee di demarcazione tra le RSS kirghisa, tagika e uzbeka furono modificate più volte nel corso di sette decenni, ma le controversie territoriali si fecero particolarmente aspre al crollo dell’URSS, quando i confini diventarono improvvisamente reali, le persone non poterono più spostarsi liberamente, cospicue minoranze etniche si trovarono all’interno di stati indipendenti, e le risorse naturali, in particolare idriche, divennero oggetto di contesa. Se il Kirghizistan e l’Uzbekistan fin dal 2016, grazie al nuovo corso della politica estera uzbeka inaugurato alla morte del presidente-dittatore Islom Karimov, si sono dati da fare per risolvere le loro dispute, e il tracciamento complessivo dei confini tra i due paesi è finalmente in dirittura d’arrivo, i rapporti tra Biškek e Dušanbe restano invece problematici.
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Foto di Danil Usmalov via Eurasianet
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