La Duma, la camera bassa del parlamento russo, ha approvato una serie di emendamenti al codice penale che prevedono il rafforzamento delle pene in caso di “mobilitazione“, “legge marziale“, “tempo di guerra” e “conflitto armato“. Anche se manca l’approvazione del Senato e la firma del presidente Putin, la decisione è evidentemente stata presa e non è una buona notizia poiché si tratta del primo passo verso la mobilitazione generale o parziale.
Di fronte alle sconfitte subite nelle ultime settimane, il Cremlino non sembra avere altra scelta se non quella di alzare il livello dello scontro mettendo fine all’«operazione militare speciale» – che impediva la mobilitazione – e dichiarare lo stato di guerra. Affinché ciò sia legalmente possibile, occorre imporre la legge marziale. Ecco quindi che la Duma compie i primi passi in quella direzione, approvando degli emendamenti che puniscono con dieci anni di reclusione la renitenza alla leva. La senatrice Olga Kovitidi ha specificato ai giornalisti che l’approvazione degli emendamenti non significa che ci sarà una mobilitazione militare. Ma significa – aggiungiamo noi – che potrebbe esserci, legalmente e tecnicamente.
Quella della mobilitazione è l’ultima carta che il Cremlino può giocare. La guerra di aggressione all’Ucraina sta andando male, l’esercito è fuggito o si è ritirato da molte posizioni, e subisce in queste ore la pressione degli ucraini. Il rischio di una completa débâcle è reale, e questo significherebbe la fine politica – se non materiale, fisica – per Vladimir Putin di cui già qualcuno ha osato chiedere le “dimissioni” mentre si rincorrono voci su una possibile successione. La guerra in Ucraina è fin qui stata condotta con un numero limitato di uomini, utilizzando le forze già pronte senza dover fare ricorso alla leva di massa. Ma non è bastato.
A seguito di una mobilitazione di massa da parte della Russia – anche solo paventata – il sostegno occidentale verso Kiev potrebbe mostrarsi meno convinto, aprendo la via per un negoziato. Un esempio di “diplomazia coercitiva“, un modo per giungere a una tregua attraverso l’irrigidimento muscolare. Tuttavia, i tempi e i costi di una mobilitazione sarebbero tali da non consentire messe in scena. Qualora dichiarata, la mobilitazione sarebbe il preludio a una guerra totale. Ma ci sono dei rovesci della medaglia. Mobilitare la nazione significa richiamare alle armi i giovani moscoviti e pietroburghesi, cioè quei russi bianchi e occidentali che, alle sirene della guerre patriottica, potrebbero anche non credere. In ogni caso, finirebbe per incrinare quel sostegno – non si sa quanto reale – di cui Vladimir Putin gode ancora. Quando i figli partono per il fronte e tornano cadaveri, il consenso verso il regime scende. È quanto accadde con l’invasione sovietica dell’Afghanistan il cui fallimento fu una delle cause del crollo dell’URSS.
Intanto l’inverno incombe e il Cremlino sembra interessato a consolidare le conquiste. I referendum per l’annessione alla Federazione russa previsti – e rimandati – a Cherson e nel Donbass vanno letti in tal senso anche se non si capisce quali sarebbero i confini delle due entità eventualmente annesse, visto che l’esercito ucraino sta penetrando e spingendo sia verso est, sia verso sud, costringendo i russi ad arretrare su posizioni mai davvero salde. Come salda non è la posizione di Vladimir Putin, in bilico sull’orlo del baratro: la sconfitta o la guerra totale, in ogni caso la catastrofe.
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