Alle elezioni dell’11 settembre, il partito con forti radici neonazi ha preso il 20%. Adesso i Democratici Svedesi puntano al governo e, per la prima volta nella storia del paese, diversi partiti di centro-destra non escludono a priori questa possibilità.
Il tasso di crescita della popolazione musulmana è “la nostra più grande minaccia esterna dalla Seconda guerra mondiale”. Minaccia che ha come alfieri le “élites multiculturali” e “l’Occidente oikofobico”. Questa è la bussola di Jimmie Åkesson già da prima del 2009, quando incentrò su questi concetti – e su nient’altro – un suo intervento programmatico pubblicato sull’Afton Bladet. All’epoca il partito di cui era ed è presidente, Sverigedemokraterna (Democratici Svedesi, DS), aveva zero seggi in parlamento, era riuscito appena a entrare in qualche decina di consigli municipali e cercava disperatamente di convincere i cittadini di non essere un covo di neonazi. Tredici anni dopo e con il 20% di voti in più, le posizioni contro l’immigrazione di Åkesson possono far pendere verso l’estrema destra la bilancia del nuovo governo di Stoccolma.
Gli etnonazionalisti di Stoccolma
La sensazione di molti svedesi, sentendo i risultati finali delle elezioni politiche dell’11 settembre, è stata come se si fosse rotta una diga. DS è diventato secondo partito. Il più votato a destra, il campo che ha preso più consensi e adesso è chiamato a formare il governo. I numeri non consentono molti equilibrismi e probabilmente, per la prima volta nella storia della Svezia, ci sarà un esecutivo che incorpora l’estrema destra, o che si regge sul suo appoggio esterno nell’ipotesi di governo di minoranza. Fino al 2018 gli altri partiti di destra si sono rifiutati di governare con i Democratici Svedesi. Oggi sono possibilisti. Åkesson ha lavorato 17 anni alla normalizzazione del partito, nascondendo o sminuendo uniformi brune, celebrazioni dell’invasione nazista della Polonia e roghi di libri. La normalizzazione ha delle falle enormi, ma è bastata a convincere 1,3 milioni di svedesi. Con una crescita di consensi tra i giovani e i lavoratori sindacalizzati.
La parabola di DS è simile a quella di molti altri movimenti e partiti di destra estrema, in Europa e non solo, negli ultimi decenni. Si regge su una strategia semplice: mettere nel cassetto le croci uncinate e gli 88 – e i riferimenti, pratici e concettuali, alla razza – per alzare il vessillo del nazionalismo etnico. Io non discrimino nessuno perché penso che tutte le etnie abbiano pari dignità – argomenta il nazionalista etnico. Io sono per l’etnopluralismo, voglio solo che le etnie restino separate (e ciascuna a casa sua). La distinzione dell’umanità in razze rientra dalla finestra, poggia su giustificazioni culturali che sostituiscono quelle biologiche, ma lavora allo stesso vecchio modo: crea nemici, capri espiatori, spiegazioni semplificate che dividono il mondo in bianco e nero.
Parole nuove imbellettano concetti che lo spazio politico europeo aveva messo al bando. Una di queste è oikofobia. Viene dalla penna di Robert Scruton, un inglese che veniva additato come punto di riferimento tanto da Boris Johnson quanto da Thierry Baudet, il leader del partito di estrema destra olandese Forum per la democrazia. Il “ripudio della propria terra” costruisce un riferimento identitario in positivo, ma tratteggia anche la figura del nemico interno e addita un nemico esterno, indefinito ma “reale”.
L’oikos, in fondo, può essere declinato in molti modi. La propaganda nazista dipingeva gli ebrei come Heimatlos, ovvero un popolo senza oikos. Ma in Svezia è legato a doppio filo al Folkhemmet (“casa delle persone”), concetto che indica il modello svedese di terza via tra capitalismo e socialismo, soprattutto il sistema di welfare, nato nel ‘900 con i Social Democratici e diventato parte integrante dell’identità nazionale.
Il gruppo dei quattro
L’“oikos” di quello che oggi si chiama Sverigedemokraterna è la provincia svedese di Scania – estremo sud, affacciata su Copenhagen, capoluogo Malmö, una città dove già nei primi 2000 più di un quarto degli abitanti era di origine straniera. Da qui – dalla campagna, non dai centri urbani – vengono Åkesson e gli altri componenti della “Gang dei quattro”, Björn Söder, Mattias Karlsson e Richard Jomshof. Compagni di studi (e di lavoro), insieme hanno prima scalato la branca giovanile di DS, poi dal 2005 hanno preso il timone del partito. La loro linea ufficiale, quella che ha fatto più clamore, passa alle cronache come la “politica di moderazione”. Moderazione di cosa? Del passato (neo)nazista di molti esponenti del partito.
Vogliono uscire dall’angolo, conquistare spazi, andare al potere. Per riuscirci, però, devono infrangere quella conventio ad excludendum per cui tutto l’arco costituzionale rifiuta di fare accordi con loro e dare legittimità al partito. Un cordone sanitario forte quasi quanto quello francese contro il Front National dei Le Pen, oggi Rassemblement National. Iniziano con un repulisti.
Siamo solo conservatori
Dal 2012 – aveva appena conquistato i primi seggi in parlamento – Åkesson lancia la politica di “zero tolleranza verso il razzismo”. Fioccano le espulsioni. In realtà a finire alla porta sono quasi solo gli impresentabili di basso cabotaggio, mentre chi già ricopre qualche posizione di peso resta intoccabile. Chi non si salva abbandona la nave e fonda un partito a destra di DS, Alternativ för Sverige (Alternativa per la Svezia).
Un favore a Åkesson e compagni: adesso è più facile presentarsi come semplici “conservatori”, gli estremisti sono altrove. La linea è proprio questa. Se noi siamo nazisti, allora siamo nazisti proprio come questo o quell’altro partito svedese, ripetono gli esponenti di DS allo sfinimento. E si sa che a forza di ripetere anche i concetti più indigesti iniziano a suonare normali. La dissimulazione è completa quando la “maggiore minaccia esterna” viene collegata con uno dei pilastri del benessere nazionale. La parola d’ordine diventa questa: il welfare state, costruito dai Social Democratici nei decenni passati, è sotto attacco a causa dell’immigrazione.
Tre anni dopo, siamo nel 2015, è l’intera ala giovanile di DS a venire disconosciuta a causa dei troppi legami con elementi estremisti. La mossa fa notizia e, al tempo stesso, mette al riparo il partito dalle critiche delle nuove leve.
Hepatica nobilis
La normalizzazione ha bisogno di compromessi, almeno d’immagine. Dal simbolo elettorale scompare la fiamma – in Svezia è percepita come chiaro richiamo al nazi-fascismo, in Italia evidentemente no – e al posto compare un piccolo fiore con i colori nazionali.
È un’Hepatica nobilis, l’erba trinità, pianta da climi freddi. Pianta “nativa” della Svezia, direbbe un botanico. Il partito la celebra con una canzone, Blåsippans väg (La via dell’Hepatica) in cui la pianta diventa simbolo di resistenza. Dove quasi tutti vendono quasi tutto per arrivare al potere / mi volto di spalle / e guardo a terra / c’è un piccolo fiore, così semplice nella sua gloria. / Vicino al piccolo fiore / solitario e splendente / le cui radici scendono nel suolo per migliaia di anni o più / vedo una piccola traccia. La retorica non è cambiata e richiama da vicino quella di altri gruppi di estrema destra, su tutti il neonazista Nordic Resistance Movement (dal 2016 è pan-scandinavo, all’epoca era solo Svenska Motståndsrörelsen, Movimento Svedese di Resistenza).
Un fiore con radici naziste
D’altronde tutta la storia di Sverigedemokraterna è intrecciata con gli epigoni del nazismo – e anche con alcuni nazisti doc. E lo rimane fino ad oggi. DS nasce nel 1988 per raccogliere l’eredità politica del Sverigepartiet, il Partito Svedese. Questo nasceva appena due anni prima con un dna chiarissimo. Metà dal Partito del Progresso, una formazione populista con percentuali da zero virgola nota per slogan come “L’AIDS viene dall’estero”. L’altra metà (in realtà più di 3/4) da un movimento anti-immigrazione con un nome parlante: Bevara Sverige Svenskt, Mantenere la Svezia Svedese (BSS) (“La Svezia per gli svedesi” era il motto storico del Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori di Sven Olov Lindholm, collaborazionista del Terzo Reich, che poi mutò nome in Assemblea Socialista Svedese). Sono alcune delle fazioni più radicali di BSS, in cui trovano spazio molti neonazisti e più in generale ampie frange del movimento skinhead, che creano i Democratici Svedesi. E sono in maggioranza: 18 su 22 dei fondatori arrivano da BSS, e di questi almeno 10 hanno legami evidenti con la galassia neonazista.
Al partito, fin dal primo momento, aderiscono anche figure che il nazismo l’hanno vissuto e servito. Veterani delle organizzazioni fasciste e naziste attive tra gli anni ’30 e ’40. Uno dei co-fondatori, Gustaf Ekström, militò nelle fila del partito di Lindholm negli anni ’30 e si arruolò volontario nelle SS nel 1941, trascorrendo almeno 2 anni a Berlino. Il primo leader di DS, Anders Klarström, aveva legami stretti con il Nordiska rikspartiet (Partito del Reich Nordico), apertamente nazista.
Altri relitti nazisti hanno partecipato in veste di consiglieri, per lo più informali. Questo è uno stralcio del discorso rivolto ai quadri dei Democratici Svedesi da Ingemar Somberg, un veterano delle SS, durante il capodanno del 1998: “Chiedo a tutti di considerare la difficile situazione in cui siamo costretti a combattere. Non è come negli anni ’30 e non possiamo usare gli argomenti politici del partito nazista tedesco. Pertanto, tenete presente che il simbolismo nazista degli anni ’30 non è più valido. A voi giovani voglio rivolgere un forte appello: “Appendete l’uniforme, mettete giù la lattina di birra e smettete di gridare al massacro degli ebrei””.
Prossima fermata Kabul
Non sono episodi isolati e non riguardano solo vecchie cariatidi. Il ricambio generazionale incarnato dal Gruppo dei quattro non ha sbarrato la strada a militanti apertamente nazisti, che non di rado arrivano a rivestire incarichi di un certo rilievo nel partito. Di questi episodi ne mette in fila a decine “I Democratici Svedesi e il nazismo”, un piccolo pamphlet di Maria Robsahm, già parlamentare europea e giornalista. Un rapporto di Acta Publica apparso a fine agosto di quest’anno ha individuato 289 politici dei maggiori partiti svedesi che hanno espresso posizioni razziste e in alcuni casi apertamente naziste. Di questi, 214 sono candidati con i Democratici Svedesi.
Nel manifesto elettorale del partito tutto questo assume i toni di un’agenda fortemente anti-immigrazione. L’ha riassunta il portavoce dei Democratici Svedesi in campagna elettorale, da una fermata della metro a Stoccolma: “Benvenuti sul Rimpatrio Express. Ecco un biglietto di sola andata. Prossima fermata Kabul”. Una campagna costruita sull’aumento (reale) della criminalità e delle violenze delle gang nelle maggiori città, arbitrariamente addebitate da DS a generazioni di vecchi e nuovi immigrati.
L’obiettivo del partito, spiega il suo manifesto politico, è portare la Svezia ai più bassi livelli di immigrazione d’Europa. Come? Con una legge che permette di rifiutare l’asilo a chi è perseguitato perché omosessuale o perché si è convertito, ad esempio. I rimpatri dovrebbero avvenire su larga scala, toccando chiunque non si sia “ben integrato” e chi si è macchiato di “comportamenti antisociali”. Nel frattempo, via i sussidi agli immigrati, più poteri alla polizia per controlli mirati, espulsioni immediate per stranieri che commettono reati, abolizione dei permessi di soggiorno permanenti. E misure per scoraggiare la “migrazione culturalmente onerosa”. Cioè, a conti fatti, quella di chi non ha la pelle bianca.
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Nella foto: il leader di Sverigedemokraterna, Jimmie Åkesson, durante un comizio elettorale. Crediti: Per Pettersson via Flickr (CC BY 2.0)