Panchine “patriottiche” fanno discutere in Polonia, tra polemiche e ilarità esse sono il simbolo del paternalismo del governo
C’è un curioso caso che in Polonia, in questi giorni, sta attirando l’attenzione dei media (quasi) quanto la guerra tra Russia e Ucraina: l’installazione nelle città più grandi, promossa nella fattispecie dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, di alcune panchine “patriottiche”. La classica panchina da giardino, infatti, è collocata nel mezzo di una struttura che richiama dal contorno la conformazione della Polonia, una sorta di esagono irregolare; il contorno stesso è colorato di biancorosso, mentre l’intera installazione poggia su una base blu. Per poter raggiungere la panchina è necessario salire alcuni gradini; di fronte ad essa, in orizzontale tra i bordi della struttura, corre una catena, la cui funzione è tuttora oggetto di discussione. L’installazione è stata ribattezzata Jarosławka, dal nome del presidente del PiS, nonché politico più in vista del governo attuale, Jarosław Kaczyński.
Le panchine progettate sono sedici, il numero dei voivodati polacchi. Attualmente, solo Varsavia ha rifiutato di accoglierne una. Il finanziamento dell’operazione è stato garantito dalla statale BGK (Banca di sviluppo nazionale) per promuovere gli investimenti del governo e della banca medesima. Il costo totale ammonterebbe a 1.600.000 złoty, ovvero 100.000 złoty (poco più di 20.000 euro) netti per installazione.
Proprio i soldi spesi per la progettazione e l’installazione delle panchine rappresentano una delle fonti più ricorrenti di polemica. Per quanto la cifra non incida così pesantemente sulle casse dello stato, è stato fatto osservare come lo stesso budget sia stato investito quest’anno – ad esempio – per una causa importante come il ripopolamento delle aree marittime; con quei soldi, inoltre, si sarebbe potuto attuare un programma urbano con la posa di migliaia di panchine in più. Del resto, la pioggia che è caduta in questi giorni e ha corroso il colore del contorno dell’installazione a Poznań ha rinvigorito tale genere di critica: nel caso specifico, la panchina “patriottica” è durata appena undici giorni!
La critica alla spesa fatta, tuttavia, non è l’unica, né la più frequente tra quelle rivolte all’operazione. Si tratta, infatti, di un’installazione escludente: per la presenza dei gradini possono accedervi con difficoltà gli anziani e le persone con disabilità fisica, mentre gli stranieri non potrebbero usufruirne affatto. Per farlo bisogna leggere attentamente il cartello con le istruzioni d’uso, che è redatto esclusivamente in polacco.
Pungente ironia, anche attraverso l’uso di meme appositi, si è scatenata proprio intorno al regolamento d’uso delle panchine z polską flagą (con la bandiera polacca, così come vengono definite sulle tabelle affisse). I quindici punti che vorrebbero scandire la fruizione delle installazioni sono stati passati al setaccio da politici e linguisti. Durante un dibattito tra Donald Tusk, prossimo candidato premier di Piattaforma civica, e Rafał Trzaskowski, sindaco di Varsavia nonché candidato alle scorse presidenziali, quest’ultimo ha scandito una per una le istruzioni d’uso delle panchine e suscitato l’ilarità dei presenti: “La panchina va utilizzata solo in posizione seduta, aggrappandosi ai corrimano che la fissano e appoggiandosi allo schienale (!)”. Trzaskowski ha concluso: “È come un ritorno ai tempi del comunismo”.
Grande attenzione alle panchine “patriottiche” e al regolamento d’uso ha dedicato anche Michał Rusinek, linguista e professore dell’Università Jagellonica di Cracovia, “maniaco” (come si autodefinisce) della lettura di questo genere di istruzioni. Supponendo che lo spazio dell’installazione delimiti in realtà quella che egli definisce la Polonia, Polonia, per distinguerla dalla Polonia ordinaria e da tutto ciò che Polonia non è, Rusinek trova finalmente una spiegazione alla presenza della catena: “Se in un primo momento ci siamo sentiti disturbati da questa catena e dai suoi connotati simbolici, dobbiamo limitare la nostra ansia: la catena è per la nostra sicurezza. Non limita la nostra libertà, ma designa la sfera in cui possiamo sentirci al sicuro, ovvero quella della Polonia Polonia”. Osservando come lo spazio per tre persone sia stato immaginato per la tipica famiglia polacca, i due genitori con un bambino, lo studioso si prende gioco anche della distanza consigliata nel regolamento per le persone in attesa di accedere all’installazione: “Le persone in attesa di utilizzare l’installazione dovrebbero tenersi a distanza di 1,5 metri dal perimetro della stessa”. Chiosa Rusinek: “I creatori presumono, immodestamente, che si formeranno delle code davanti alle panchine “patriottiche”: famiglie polacche 2 + 1 che bramano lo svago, il relax e soprattutto l’euforia patriottica, per guardare con superiorità alla Polonia ordinaria dall’altezza dell’installazione, dallo spazio di questa straordinaria Polonia Polonia, oltre le catene”.
Al di là della questione politica, e di quella del linguaggio assurdo delle istruzioni d’uso, ci sono altri motivi che hanno dato alla questione tutto questo risalto. Le panchine rappresentano, ormai, uno dei pochi spazi di libertà sulla cui salvaguardia convergono tutti. Molto spesso, quando si imbastisce una campagna con risvolti sociali, proprio le panchine vengono dipinte e contrassegnate dal messaggio che si vuole veicolare. In Italia, ogni volta che si prevede l’eliminazione delle panchine in funzione anti-senzatetto (il primo fu Gentilini a Treviso) le reazioni contrarie sono molto forti. La cosiddetta architettura ostile si declina in svariate forme, ma quella che inerisce le panchine è senz’altro tra le più denunciate.
Anche l’arte ha contribuito a rafforzare l’immaginario collettivo sul tema: su una panchina si svolgono alcune delle scene più famose del cinema, basti pensare a Forrest Gump e al celebre paragone tra la vita e la scatola di cioccolatini, o alla 25° ora di Spike Lee e alle panchine di New York su cui siede Monty (Edward Norton) fissando le ultime ore di libertà. Del resto, proprio la libertà è il sentimento che le panchine veicolano principalmente a chi le osserva: si pensi ancora a quelle disegnate dagli impressionisti (Camille Monet su una panchina di Monet, Ballo al Moulin de la Galette di Renoir), o a quella più recente progettata da Stefano Boeri, Panchina per chi ha una casa e per chi non ce l’ha.
L’installazione di panchine in qualche modo “guidata” dall’alto è accettabile, in Polonia e altrove, solo se mira ad unire anzi che dividere. I magnifici Planty di Cracovia, la passeggiata che corre intorno all’antico perimetro del centro cittadino, sono costellati di panchine dedicate alle grandi personalità che vi abbiano soggiornato: ci sono delle placche che ne ripercorrono la vita e, attraverso un QR-code, si può approfondire le loro opere. “Le panchine con la bandiera polacca”, spiega l’architetto Paweł Jaworski, “ricordano il comportamento del genitore dominante che dice ai propri cari: «Facciamo qualcosa tutti insieme, ma come voglio io»; mentre sarebbe meglio: «Divertiamoci tutti insieme come vogliamo»”.