Dagli esperimenti con le prime piantagioni in Adjara alla crisi post-sovietica, passando per la fortuna portata da un giovane cinese: la strana epopea della coltivazione di tè in Georgia, tra storia e leggenda.
La leggenda è romantica, come tutte le leggende che si rispettino: il tè sarebbe stato coltivato per la prima volta in Georgia durante la guerra di Crimea, quando un ufficiale inglese avrebbe deciso di trasferirsi nel Caucaso per amore di una ragazza georgiana, dedicandosi alla coltivazione delle piantagioni di tè. La storia la racconta un po’ diversamente, ma non è meno affascinante: l’artefice delle fortunate colture sarebbe stato un giovane cinese, Lao Jon Jaw (o Lao Jin Jao, secondo altre trascrizioni), approdato in Adjara – la regione sud-occidentale della Georgia, al confine con la Turchia, oggi regione autonoma con capoluogo Batumi – nel 1893.
Dai primi esperimenti al boom
Alcuni esperimenti con i primi cespugli di tè erano stati fatti nel 1845, ma fu solo quando una delegazione locale fu inviata in Cina in viaggio-studio che le cose cambiarono. Lao Jon Jaw era, invece, tra gli esperti cinesi chiamati come consulenti a insegnare i segreti delle colture del tè, e diede il via alle piantagioni in Adjara, apparentemente improbabile – in effetti, le zone di coltivazione della pianta, India e Cina principalmente, distavano migliaia di kilometri – ma che in realtà si rivelò una trovata imprenditoriale di grande fortuna, tanto che il tè georgiano di Lao Jin Jaw nel 1900 vinse una medaglia d’oro all’Expo di Parigi. Un risultato sorprendente che proiettò il tè georgiano, una coltivazione iniziata come un esperimento appena pochi anni prima, nell’olimpo delle bevande tradizionali e dei carburanti della sete dell’Impero russo e poi dell’Unione Sovietica, nei cui territori ancora oggi le giornate e le occasioni sociali e famigliari sono scandite a da bicchieri di tè e non c’è casa che si rispetti che non abbia un samovar.
Sembra che il clima umido dalle estati calde della Georgia occidentale – un territorio rigoglioso – sia particolarmente adatto alla coltivazione del tè e gli inverni freddi che rallentano la crescita delle foglie conferiscono loro un gusto unico e dolce; le quantità di prodotto, di conseguenza, in quella prima fase erano limitate ma di alta qualità. Almeno fino a quando l’economia georgiana crollò a seguito degli anni turbolenti che seguirono la rivoluzione bolscevica e le colture di tè furono sostituite da altre, più nutrienti, come il mais. Passata la fase più instabile, una volta che la Georgia divenne a tutti gli effetti una delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, i dirigenti – compreso lo stesso Stalin – decisero di puntare di nuovo sul tè. Ma il nuovo corso politico ed economico impose una coltivazione più popolare, in cui la quantità contava più della qualità, e le autorità stabilirono, come per gli altri prodotti, tonnellaggi e tempistiche da rispettare. Ne seguirono sperimentazioni, tentativi di ottimizzare il procedimento e l’uso di macchine per meccanizzare la raccolta. Il risultato è che la qualità colò a picco e gli antichi fasti del pregiato tè georgiano erano ormai solo un ricordo; il successo economico però arrivò, tanto da trasformare il paese in uno dei primi produttori mondiali di tè negli anni Ottanta, nonché del 95% di tutto il tè dell’Unione Sovietica, dove era pubblicizzato come inibitore dell’appetito e fonte di energia per i lavoratori.
La nuova fortuna viene (di nuovo) dalla Cina?
Il crollo dell’Urss e la conseguente disgregazione dell’economia dei territori ex sovietici mise in crisi un comparto che fino a poco prima impiegava 180.000 persone. Venne meno anche il mercato sicuro per il tè georgiano, mentre la scarsa qualità del prodotto lo relegò in una posizione marginale, che sul mercato mondiale non resse il confronto con i competitor asiatici. Nel 2014, il punto più basso della sua epopea, la produzione georgiana fu del 99% inferiore a quella di 30 anni prima; oggi sembra che sia leggermente in aumento e negli ultimi anni si sono segnalate alcune iniziative per riportare in auge la coltura che ha avuto grande fortuna in passato: tra queste un programma del governo per finanziare il rilancio del settore e il ripristino di circa mille ettari di coltivazioni abbandonate. Un’iniziativa interessante è poi quella di Renegade Tea Estate, una compagnia fondata da una manciata di giovani estoni e lituani che hanno approfittato dei sostegni governativi per recuperare e rendere di nuovo produttiva una piantagione abbandonata. La Cina stessa, poi, si è interessata all’opportunità del territorio georgiano per intensificare la produzione di tè, la cui domanda mondiale è in aumento e, grazie anche ai facili collegamenti tra le piantagioni e i porti di Poti, sul Mar Nero, ha stipulato un accordo temporaneo per ottimizzare il comparto, permettendo anche un aumento del numero dei lavoratori nel settore e dei salari. Forse l’epopea del tè georgiano non è ancora destinata a finire.