Diritto all’aborto: in Ungheria un decreto ministeriale modifica la legge del 1992, rendendo più difficile la vita delle donne.
Apparentemente, il diritto di aborto in Ungheria vige fino alla 12esima settimana di gestazione, come garantito dalla legge in vigore dal 1992, che in realtà fa riferimento alla “protezione della vita del feto”, rendendo possibile abortire solo in alcune condizioni legate a problemi fisici, mentali o economici. Di fatto, gli ostacoli per le donne che vogliono mettere fine a una gravidanza indesiderata o problematica esistono da tempo, tanto più che nel paese è legale solo l’aborto chirurgico, ma non quello farmacologico. Ora, però, undecreto del ministero dell’Interno, in vigore dal 15 settembre 2022, modifica la legge vigente, imponendo che alle donne che intendono abortire di ascoltare il battito cardiaco del feto al momento di compilare il modulo di richiesta in ospedale; un membro del personale ostetrico-ginecologo deve presentare una relazione in cui viene registrato il regolare andamento delle funzioni vitali del feto, che devono essere chiaramente identificabili.
La novità non è arrivata come un fulmine a ciel sereno: già prima di insediarsi come presidente della Repubblica a marzo 2022, Katalin Novák – già ministra della Famiglia – aveva fatto sapere di voler sostenere coloro che difendono la vita fin dal momento del concepimento, che è il modo velato con cui gli antiabortisti fanno intendere che si spenderanno per un inasprimento delle leggi sul diritto all’aborto. L’aria che tira sui diritti delle donne in gran parte d’Europa, d’altronde, non è diversa.
Una corsa a ostacoli
Durante la pandemia, le cliniche ungheresi hanno continuato a eseguire aborti secondo la legge, ma a poco a poco, in modo quasi nascosto, si sono erti alcuni paletti che, pur non impedendone ufficialmente l’esecuzione, lo rendono via via più complesso.
Già prima del decreto non è che ottenere un aborto in Ungheria fosse una passeggiata: è obbligatorio, ad esempio, avere due appuntamenti con i servizi sociali che si occupano di questioni familiari, di fatto una sorta di assistenti all’infanzia. Nel primo incontro, la donna viene messa al corrente in modo dettagliato degli aiuti finanziari, delle organizzazioni a supporto delle madri e dell’opzione dell’adozione; solo nel secondo incontro si parla effettivamente di aborto, dalle condizioni legali al metodo utilizzato. Essere informate su quello a cui si va incontro è sempre una buona cosa, se non fosse che diversi operatori incaricati dei colloqui spesso ne approfittano per bacchettare le donne che vogliono abortire, spaventarle o farle sentire in colpa. Secondo l’associazione per i diritti delle donne Patent, il 13% delle donne intervistate si è sentito segnato o scosso dal contenuto dei colloqui; ad alcune donne è stato consigliato di guardare il controverso film antiabortista The silent scream, mentre il personale fornisce informazioni false o fuorvianti, come il fatto che dopo aver subito un aborto chirurgico non potranno più avere figli. Se dopo tutto questo comunque si procede, la procedura non viene rimborsata dal servizio sanitario, a meno che la gravidanza non sia frutto di uno stupro, o la vita stessa della donna sia in pericolo.
Un diritto non acquisito
Da anni in molti paesi della regione centro-orientale dell’Europa – a partire dalla Polonia, ma non solo: si pensi a quanto sta accadendo anche in Lituania, dove il diritto all’aborto viene eroso un pezzo alla volta – si assiste a una stretta sui diritti delle donne, a partire da quello a gestire il proprio apparato riproduttivo come ritengono meglio per sé. Il diritto all’aborto è infatti il più lampante dei fattori che determinano la libertà e la condizione dell’emancipazione femminile in un paese. Come se non bastasse, in Ungheria – dove la religione negli anni ha assunto sempre più peso, sia sul piano culturale che sociale e politico – l’educazione sessuale è pressoché assente e la disinformazione è imperante, a partire dai pregiudizi legati alla contraccezione.
Anche in Ungheria quello delle donne nella società è un ruolo solo apparentemente emancipato. La presenza di una presidente della Repubblica donna non cancella, però, la loro subordinazione. Come spesso avviene, anzi, le donne che arrivano ai vertici ci riescono proprio perché non mettono in discussione le norme della società patriarcale: non rappresentano un rischio per il sistema, e intanto lottare per i propri diritti diventa sempre più difficile e la complessità di ottenere un aborto entro i tempi stabiliti per legge lo dimostra. Non a caso, per abortire sempre più donne vanno oltreconfine: mentre il numero di aborti eseguito in Ungheria ha continuato a scendere dagli anni Novanta a oggi, infatti, quello delle ungheresi che si rivolgono alle (costose) cliniche della vicina Austria è in crescita. E adesso, con l’entrata in vigore del nuovo decreto, c’è da aspettarsi che cresca ancora.