Dugin

RUSSIA: Volevano uccidere Aleksander Dugin?

Darya Dugina, figlia del noto politologo russo Aleksander Dugin, è stata uccisa in un attentato lo scorso 20 agosto mentre viaggiava in autostrada. La sua auto è esplosa alle porte di Mosca. La donna aveva partecipato insieme al padre a un festival culturale fuori dalla capitale russa. La sua morte è stata immediatamente collegata alla guerra in corso, ma nessuno ha ancora rivendicato la responsabilità dell’attentato. Darya Dugina era una giornalista di fama, personaggio importante nel mondo mediatico russo, non a caso soggetta a sanzioni occidentali, che ha lavorato come corrispondente dal Donbass portando avanti le idee pan-russe del padre. Al momento le autorità non escludono nessuna pista ma si fra strada l’idea che l’obiettivo sarebbe in realtà stato il padre, Aleksander Dugin, considerato l’ideologo del Cremlino e descritto dalla stampa occidentale come un novello Rasputin, capace di influenzare e ispirare lo stesso Vladimir Putin. Ma è davvero così?

Dugin fascista rosso

Dugin ha una lunga militanza alle spalle nei movimenti del contropotere russo e fu uno dei fondatori del Partito Nazional-Bolscevico, strano ibrido tra l’ideologia nazista e quella comunista, insieme ad Eduard Limonov, eccentrico intellettuale molto apprezzato in Europa – che peraltro non ha mai nascosto le sue idee sui destini dell’Ucraina 

Ben presto Dugin rompe con Limonov, ritenendolo troppo filo-occidentale, ed elabora una propria idea politica riassunta nel famoso articolo del 1997 dal titolo “Fascismo immenso e rosso” in cui sosteneva la necessità per la Russia di “un fascismo originale, reale, radicalmente rivoluzionario”. Lo stesso anno pubblica Osnovy Geopolitiki (Fondamenti di Geopolitica) in cui l’autore illustra le sue idee sul futuro della Russia post-sovietica attingendo alla lunga tradizione del pensiero eurasiatista russo. Il risultato è una sorta di neo-imperialismo marcatamente anti-occidentale, che riconosce alla Russia un ruolo messianico nella costruzione di un blocco continentale eurasiatico, “da Lisbona a Vladivostok”, capace di rompere il dominio americano sul mondo.

Utile al regime

Il pensiero di Dugin conosce un’improvvisa notorietà all’indomani dell’invasione di Crimea e Donbass da parte dei russi nel 2014. Nella sua dottrina, egli  sembra prefigurare e spiegare le azioni del Cremlino, inquadrandole dal punto di vista teorico e giustificandole storicamente. Già nel 1997, Dugin aveva parlato dell’Ucraina come di un problema cruciale per il futuro geopolitico della Russia, affermando che “uno stato ucraino non ha alcun significato geopolitico. Non ha alcuna rilevanza culturale, specificità etnica o peculiarità geografica”. Ai suoi occhi, l’Ucraina sarebbe solo uno strumento in mano all’Occidente per impedire la nascita di un’alleanza eurasiatica.

Aleksander Dugin abbandona così la periferia del mondo intellettuale russo e viene catapultato al centro della propaganda di regime. I suoi libri vengono ristampati e promossi mentre l’Università Statale di Mosca gli offre una cattedra. Giornali e televisioni fanno a gara per intervistarlo, e non mancano gli inviti all’estero. In Italia è un’associazione legata alla Lega Nord a invitarlo, il 2 luglio 2014, a una conferenza insieme a Nicolai Lilin e Gianluca Savoini – quest’ultimo poi coinvolto in un’indagine su presunti fondi russi destinati proprio alla Lega.

Gli ultimi anni

A seguito degli Accordi di Minsk, con cui la Russia intese giocare la carta negoziale, la stella di Dugin cominciò a declinare: l’uomo che affermava la necessità di annettere il Donbass era diventato scomodo. Gli inviti iniziarono a diminuire e l’Università decise di rescindere il contratto. Dugin continuò però a coltivare il proprio personaggio, intestandosi la paternità delle politiche del Cremlino e promuovendo la propria immagine di filosofo controcorrente. La sua figura è recentemente tornata in auge con la guerra, di cui è aperto sostenitore. I media internazionali hanno ricominciato a interessarsi a lui, facendone un’icona del putinismo. La morte della figlia non farà che rafforzarne il mito, suo malgrado.

L’ideologo del Cremlino?

Alla luce della carriera di Dugin, appare piuttosto difficile immaginare che Vladimir Putin sia un suo proselito. È più probabile, invece, che le idee di Dugin siano semplicemente funzionali al regime anche perché Dugin non ha alcun legame personale con Putin. Egli è solo uno dei tanti “imprenditori politici” che cercano di promuovere le proprie dottrine presso il Cremlino, sperando di ricavarne vantaggi.

Descrivere Aleksander Dugin come “la mente del Cremlino”, l’eminenza grigia, il nuovo Rasputin, può essere affascinante, ma è sbagliato. Sicuramente è ciò che lui aspirava ad essere e affermava di essere. E questo può aver convinto qualcuno che lo fosse davvero. Ucciderlo significherebbe colpire un simbolo, benché falso. Ma non significa in alcun modo colpire il Cremlino.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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