crimini di guerra

Crimini di guerra ucraini, perché negarli?

L’esercito ucraino sarebbe responsabile di crimini di guerra verso la popolazione civile, a dirlo è una ricerca dell’ufficio dell’Alto rappresentante dei Diritti umani dell’ONU. Anche Amnesty International ha rilasciato un discusso (e discutibile) documento che accusa Kiev. Rifiutarsi di esaminare tali responsabilità non serve, occorre però contestualizzarle ed evitare strumentalizzazioni…

Scudi umani, le accuse dell’OCHCR

Il 29 maggio 2022 l’Ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (OCHCR) ha diffuso un ampio e dettagliato report dal titolo The situation of human rights in Ukraine in the context of the armed attack by the Russian Federation in cui si prendono in esame una serie infinita di crimini ai danni della popolazione civile in larghissima parte compiuti dai russi ma che hanno coinvolto anche l’esercito ucraino.

Il report dell’OCHCR inserisce i crimini ucraini in un’ampia analisi dei crimini di guerra perpetrati dall’inizio del conflitto da entrambe le parti in causa. Così, delle 44 pagine di cui si compone il documento, solo in una di queste – la pagina 8, ai paragrafi 34, 35 e 36 – si parla dell’utilizzo dei civili come scudi umani da parte dell’esercito ucraino. Tutto il resto del documento è una carrellata delle atrocità russe. In particolare emerge l’accusa secondo cui “le forze armate ucraine hanno preso posizione in aree residenziali […] da dove sono state lanciate operazioni militari senza prendere misure per la protezione dei civili presenti”. Viene quindi presentato il caso di Stara Krasnianka, villaggio nella regione di Lugansk, in cui l’esercito ucraino ha occupato una casa di cura per anziani e disabili mentali. L’evacuazione dei residenti era resa impossibile dal fatto che gli stessi ucraini avevano minato l’area circostante. Uno scontro a fuoco con i russi è costato la morte a un numero imprecisato di persone tra degenti e personale sanitario. Altre testimonianze dello stesso tenore sarebbero state raccolte dagli esperti dell’ONU ma – dice il documento – non sono ancora verificate e, per questo, non sono state riportate.

Le (sballate) accuse di Amnesty

Il 4 agosto 2022 un  documento rilasciato da Amnesty International, organizzazione non governativa britannica, ha portato alla ribalta la questione dei crimini di guerra che sarebbero stati compiuti dall’esercito ucraino. Benché tali accuse fossero già presenti nel precedente report dell’ONU, il documento di Amnesty ha causato un enorme clamore mediatico e dure reazioni. Il documento in questione fa riferimento a un report che, tuttavia, non è stato ancora pubblicato. Non è quindi possibile capire quale metodologia sia stata utilizzata nelle ricerche, quali testimonianze raccolte e come sono state verificate. In sostanza, non si forniscono prove dei crimini commessi.

Il documento è presto divenuto oggetto di aspre critiche che hanno infine convinto l’Ong a scusarsi per la pubblicazione pur ribadendo la correttezza dei contenuti. Tuttavia, un’inchiesta del New York Times ha rivelato, nel maggio del 2023, come Amnesty abbia deciso di sottoporre il report a revisione esterna incaricando cinque esperti in diritto internazionale di far luce sulla correttezza di quanto riportato ma avrebbe poi fatto pressioni per ammorbidire le critiche emerse dal loro lavoro di revisione, che evidenziava l’insufficienza di prove e un linguaggio giuridico ambiguo e confuso.

Gli esperti hanno tuttavia convenuto che la dichiarazione di Amnesty era in parte supportata dai fatti. Ad esempio, ci sarebbero “almeno 42 casi specifici in 19 città e villaggi” in cui i soldati ucraini operavano vicino ai civili, e diversi “attacchi da parte delle forze russe che sembravano prendere di mira l’esercito ucraino hanno provocato la morte o il ferimento di civili e danni a oggetti civili”. Questo solleva interrogativi sulla condotta dei militari che, almeno, avrebbero dovuto evacuare i civili qualora si fossero posizionati vicino agli abitati.

Le accuse di Amnesty escono però decisamente ridimensionate e l’idea che i crimini ucraini fossero in qualche modo equiparabili a quelli russi esce a pezzi dal lavoro di revisione. Amnesty ha diffuso, con quel documento, un’immagine distorta della realtà senza considerare il contesto. A conti fatti, quello che resta sono casi isolati, non “uno schema” come dichiarato nel documento. La mancata pubblicazione del report e l’insabbiamento delle critiche rendono ancora più opaco l’operato della Ong britannica.

Torture ai prigionieri di guerra

Nel marzo 2023 l’ufficio delle Nazioni Unite per i Diritti umani (OHCHRha dichiarato che sia l’esercito russo, sia quello ucraino, sono responsabili di torture nei confronti dei prigionieri di guerra, costretti a subire elettroshock o umiliazioni fisiche. Gli osservatori che si sono occupati della questione hanno intervistato più di cento prigionieri di guerra di entrambe le parti in conflitto.

Matilda Bogner, capo della missione di monitoraggio dell’ONU, si è detta “profondamente preoccupata per l’esecuzione sommaria di venticinque prigionieri di guerra russi”  spiegando come i reati di tortura e le esecuzioni sommarie siano avvenute anche da parte ucraina “benché in modo meno sistematico e più occasionale”, ha puntualizzato, osservando come i pubblici ministeri ucraini stiano cercando di far luce su alcuni di questi casi, benché ancora nessuno sia stato portato in tribunale. Gli osservatori hanno inoltre denunciato dozzine di omicidi di civili “ritenuti traditori” o collaboratori del nemico. A rendere tutto più grave è che questi omicidi sono stati condotti da agenti dei servizi ucraini.

Il precedente del Donbass

Anche durante la guerra del Donbass, tra il 2014 e il 2015, le forze ucraine (come quelle filorusse, ovviamente) si sono macchiate di crimini di guerra. Niente di paragonabile a un genocidio, come vorrebbe la propaganda del Cremlino, ma torture, detenzioni illegali, rapimenti, furti ed estorsioni sono state ampiamente documentate sia da Amnesty International – in un report dal titolo You don’t exist. Arbitrary detention, enforced disappearances and torture in Eastern Ukraine (2016) – sia dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OHCHR) nel Report on the human rights situation in Ukraine 16 February to 15 May 2016.

Responsabili di quei crimini erano però le milizie paramilitari, composte perlopiù da volontari, che operavano in sostanziale autonomia benché formalmente incluse nelle strutture di sicurezza ucraine. Occorre notare come tra i crimini contestati ci fosse anche il bombardamento deliberato di stazioni per il filtraggio e la fornitura dell’acqua in aree densamente popolate, senza considerazione per le ricadute sulla popolazione civile. Una prassi non dissimile da quella contestata dalle ricerche più recenti. In tal senso, è interessante il caso di Shyrokyne, villaggio in posizione strategica, a 23 chilometri da Mariupol’ e collocato nella “zona grigia” tra quelli che erano i due fronti, dove gli ucraini requisirono numerose case, allontanando forzosamente la popolazione civile e lasciandola senza riparo, per farne postazioni di tiro.

Attenzione al contesto

Appare dunque giusto monitorare la condotta anche di chi si sta difendendo, e non solo dell’aggressore. Tanto più che l’esercito ucraino opera anche grazie al sostegno economico e militare dell’Occidente. Tuttavia occorre considerare il contesto: sono i russi a fare degli attacchi ai civili “uno schema”, non gli ucraini. Sono i russi ad aver acceso la miccia di un conflitto brutale che, inevitabilmente, può sfociare nell’orrore della tortura e del crimine. Allo stesso tempo, rifiutarsi di discutere dei crimini di guerra ucraini è un errore. Sia perché in tal modo si abdica alla necessaria obiettività con cui l’informazione dovrebbe guardare al conflitto, sia perché così facendo si alimenta una visione distorta della guerra, trasponendola sul piano morale. Quello in corso in Ucraina non è uno scontro tra le forze del bene e quelle del male, uno scontro in cui i buoni non possono compiere crimini mentre i cattivi sono invece dei mostri. La disumanizzazione del nemico, insegnava Umberto Eco, ci consente di odiarlo, di combatterlo, di ucciderlo. Ma è una vecchia trappola. Così, quando crimini dei buoni vengono scoperti, ecco che la notizia deflagra in un’opinione pubblica polarizzata e impreparata, causando sgomento, rifiuto, oppure vile esaltazione nei detrattori.

Non si però deve fare l’errore di mettere tutti sullo stesso piano, asserendo che in fondo russi e ucraini siano colpevoli uguali, che non ci siano ragioni o torti, assolvendo tutti in nome della comune barbarie. È vero il contrario. Questo non fa dei soldati e dei volontari ucraini degli eroi senza macchia. Ma le macchie non cambiano di una virgola la questione: gli ucraini continueranno ad essere le vittime di questa guerra e continueranno ad avere la ragione di chi difende casa propria da un’aggressione.

Immagine da war.ukraine.ua di Kostiantyn e Vlada Liberov, Mykolaïv, 31 luglio 2022

articolo aggiornato al 5 maggio 2023

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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