REP. CECA: Be brave like Ukraine. La realtà che irrompe dallo schermo

Be brave as Ukraine, questo il nome dell’esposizione en plein air, se così si può dire, nella capitale ceca di cinque mezzi militari russi neutralizzati e catturati in Ucraina: quattro a Černihiv e uno a Kyjiv.

Un luogo pregno di storia

Non casuale la scelta del luogo. L’estesa spianata di Letná, complessivamente ben 47 ettari di prati e verde pubblico in piena città, è stata più volte protagonista della travagliata storia del XX secolo e non solo. Oltre, infatti, all’ampia disponibilità di spazio, atta ad ospitare mezzi così ingombranti, e all’elevata visibilità dalla frequentata strada Milady Horákové (la politica socialista cecoslovacca, antinazista e anticomunista, fatta giustiziare, unica donna tra le vittime politiche nella storia del paese, dai comunisti dopo un processo farsa nel 1950), ha un elevato valore simbolico. Nei secoli rivestì un ruolo strategico per gli eserciti stranieri che assediavano la città (svedesi, austriaci, francesi, prussiani). Non a caso qui, durante l’invasione sovietica del 1968, atterravano gli elicotteri militari degli eserciti del Patto di Varsavia. Durante il vassallaggio sovietico si è vista ripetutamente calpestare dalle parate militari e dalle manifestazioni, più o meno obbligatorie, del 1° maggio rosso.

La spianata di Letná, inoltre, ospitò in posizione ben visibile sopra la Moldava, il colossale monumento a Stalin, all’epoca la più grande statua del dittatore georgiano al mondo. Questo, almeno, fino al 6 novembre 1962 quando fu fatto saltare in aria in onore del nuovo corso politico voluto da Chruščev. Al suo posto, dal 1991, il celebre metronomo di Praga, alto 25 m, con il suo movimento perenne memento silenzioso dello scorrere del tempo e della caducità delle vicende umane.

Non diversamente politico fu l’uso fattone dalla fine del regime. Il 25 e il 26 novembre 1989, durante i concitati giorni della Rivoluzione di Velluto, ospitò una manifestazione di 800.000 persone, la prima trasmessa in diretta dalla televisione cecoslovacca, per poi vedervi, il 21 aprile 1990, papa Giovanni Paolo II celebrare messa in un paese finalmente libero di professare la propria fede religiosa. Seguito, 6 anni dopo, da Michael Jackson che qui si esibì di fronte a 120.000 spettatori. Anche in tempi più recenti ha conservato per i cechi una valenza speciale. Nel giugno del 2019, ad esempio, accolse quasi 300.000 persone riunitesi per protestare contro la premiership di Andrej Babiš e i suoi numerosi conflitti d’interesse.

Non ultimo, va ricordato che il luogo scelto per esporre i mezzi armati non dista molto dall’ambasciata russa. Sita originariamente in piazza Pod Kaštany, quest’ultima fu ribattezzata dal Comune di Praga in piazza Boris Němcov, in memoria dell’oppositore russo di Putin fatto barbaramente uccidere nel 2015 a pochi metri dal Cremlino. Al che i russi hanno reagito spostando la sede in Korunovační 36 (dove hanno un ingresso secondario), indirizzo prontamente trasformato in Ukrajinských hrdinů 36 (via degli Eroi ucraini). Il tutto senza che l’ambasciata si sia fisicamente spostata di un millimetro. Una scaramuccia toponomastica dal forte valore simbolico e politico.

Insomma, davvero difficile immaginare un luogo più adatto per questo progetto che, salvo ottenimento dei permessi, dovrebbe avere in Berlino la sua prossima tappa. Per gli appassionati di affari militari si ricorda che i mezzi esposti sono due mortai semoventi (2S34 Khosta, 14 km di gittata, e 2S19 MSTA-S, 29 km di gittata) un tank (il classico T-90A, 5 km di gittata), un sistema anticarro (Šturm 9K114, 30 km di gittata) e il famigerato sistema missilistico terra-aria BUK M2, simile a quello che, nel 2014, abbatté il volo della Malaysia Airlines lasciando 298 vittime. O chissà, forse proprio quello.

Le reazioni

Non si sono fatte attendere, comprensibilmente, le voci critiche, questa volta assai più trasversali del solito, provenienti anche da chi, pur condannando l’aggressione russa contro l’Ucraina, non condivide questa modalità di informazione ravvisandoci, più che altro, un’inappropriata spettacolarizzazione della guerra. L’autore di quest’articolo, al contrario, in tale contrarietà intravede il fastidio di chi, in realtà, ammanta di indignazione per l’esposizione al pubblico ludibrio di mezzi militari reali, recentemente usati in combattimento, il proprio fastidio di esser confrontato così da vicino con la brutalità di una guerra che, da mesi, infuria a poche centinaia di chilometri da quello spazio politico, storico, culturale e geografico chiamato Unione europea, che credevamo ormai al sicuro da simili barbarie.

A vedere immagini di guerra sugli schermi, televisivi o digitali che siano, siamo oltremodo avvezzi. Certo, era dai tempi del secondo conflitto mondiale che un paese europeo non veniva aggredito militarmente (il caso jugoslavo, ben diverso, va piuttosto derubricato alla categoria, non meno grave, di guerra civile) e questa aggressione ha “bucato” violentemente gli schermi, ma, dopo tutto, basta un dito per cambiare canale o scrollare oltre sui social. Cosa diversa è vedere da vicino mezzi militari “ancora caldi”, non reperti storici da museo, che hanno sì combattuto, ma chissà quando e chissà dove, né il celebre carro armato russo ridicolizzato di vernice rosa dall’eccentrico artista ceco David Černý, bensì reali strumenti di morte spediti sole poche settimane prima a distruggere e uccidere i cittadini di un paese libero, sovrano e soprattutto pacifico. Esattamente come liberi, sovrani e pacifici sono i paesi in cui viviamo noi europei. E questo è già di gran lunga più disturbante dell’ennesimo filmato di guerra, destinato a fondersi e confondersi nell’immenso magma della comunicazione digitale. Social e non.

Quello che urta, allora, è questa sfacciata invasione di campo di sistemi d’arma tragicamente veri e presenti che osano irrompere nello spazio reale, sicuro e tranquillo, dell’europeo medio per disturbarlo, inquietarlo e metterlo a confronto col fatto che mezzi militari russi come questi, che stanno massacrando migliaia di innocenti non sono soltanto uno dei tanti stream di immagini indistinte con cui affolliamo, e inquiniamo, quotidianamente il nostro spazio mentale e visuale.

No, nell’esposizione degli strumenti di morte con cui la Russia sta cercando di distruggere l’Ucraina non c’è niente di spettacolare. È, questa, anzi, una modalità assai efficace in un contesto di cronica sovraesposizione mediatica alle tragedie più disparate, inevitabilmente foriera di assuefazione, distacco e alienazione, per rendersi conto più da vicino di costa sta accadendo.

Stigmatizzare l’operazione è uno dei tanti modi per allontanare da sé la responsabilità di fare i conti con le gravi emergenze del mondo odierno, similmente, mutatis mutandis, a quegli atteggiamenti di negazione o minimizzazione, più o meno consapevoli e più o meno colpevoli, del cambiamento climatico in corso e delle dolorose misure necessarie per combatterlo. Dall’NIMBY, Not in My Backyard, all’NIFOME, Not in Front of My Eyes.

A loro modo, questi armamenti, ci ricordano silenziosamente che esiste una realtà fisica, tangibile, non digitale, che non può essere semplicemente spenta o scrollata via, e che eventi apparentemente lontani e remoti, un giorno potrebbero, e già sta accadendo, riguardarci da vicino. Così come oggi a Praga sono vicini, per chi ha la coscienza di andare a vederli, questi vettori russi di morte e distruzione.

Foto dell’autore

 

Chi è Andreas Pieralli

Pubblicista e traduttore freelance bilingue italo-ceco. Laureato in Scienze Politiche a Firenze, vive e lavora a Praga. Si interessa e scrive di politica, storia e società dell’Europa centrale. Coordina e dirige il progetto per un Giardino dei Giusti a Praga.

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