Mercoledì 27 luglio nel campo di concentramento nazista di Staro Sajmište, nel quartiere di Belgrado Novi Beograd, si è tenuta la cerimonia di inaugurazione degli imminenti lavori di recupero del sito – abbandonato da quasi ottant’anni – durante la quale è stata posata la prima pietra per la ricostruzione della torre centrale, uno degli edifici principali di questo campo in cui, dal 1941 al 1944, trovarono la morte quasi 7.000 ebrei, circa 10.000 serbi e decine di rom.
Le parole di Vučić
Il direttore dello Staro Sajmište Memorial Center, Krinka Vidakovic Petrov, ha dichiarato che sono previsti diversi progetti per la ristrutturazione del campo e che saranno aperti anche due musei, all’interno dei quali verranno esposti documenti, fotografie e prove dei crimini commessi. Dal canto suo, il presidente Aleksandar Vučić, archiviate le polemiche del 2018 per aver aperto all’interno del campo un ufficio del partito di cui è leader, ha dichiarato che “la ristrutturazione della torre centrale a Staro Sajmište simboleggia la determinazione del popolo serbo nel voler ricostruire la propria memoria collettiva”.
Il presidente era già stato a Staro Sajmište lo scorso aprile, quando prese parte alla cerimonia per l’inaugurazione di una targa commemorativa sulle rive della Sava, nei pressi appunto del campo. Sulla targa sono incise le responsabilità degli ustaša dello Stato Indipendente di Croazia (NDH) – lo stato fantoccio creato nel 1941 e sotto il controllo delle potenze dell’Asse – per i crimini commessi verso il popolo serbo non solo a Staro Sajmište, ma anche a Jasenovac, dove lo scorso luglio lo stesso Vučić si è visto negare dalle autorità croate il permesso per una visita privata al campo.
Il parlamento serbo aveva approvato una proposta di legge per stabilire un memoriale a Staro Sajmište già nel 2020 (legge 154-20 del febbraio 2020). Ma altri tentativi di memorializzazione del campo, pur con malcelati intenti di strumentalizzazione politica, furono intrapresi qualche tempo prima da Efraim Zuroff, direttore del centro Simon Wiesenthal, israeliano di origine statunitense sempre più di casa a Belgrado anche per il suo incessante impegno nel ricordare le vittime serbe durante la Seconda guerra mondiale – oltre che per aver preso le difese di Vučić nel recente caso della visita negata a Jasenovac. Al momento dell’ufficializzazione della legge 154-20, Zuroff aveva manifestato la propria speranza che il complesso di Staro Sajmište possa “avere un ruolo centrale nell’educare la società sugli orrori perpetuati dai nazisti e dai loro complici ustaša“.
Staro Sajmište e la sua storia
Il campo, allestito nel territorio dell’NDH, fu uno dei primi Judenlager in Europa, e fu inizialmente concepito per il concentramento dei soli ebrei, ma già a partire dalla metà del 1942, quando cioè Belgrado poté essere dichiarata Judenfrei, cominciò a raccogliere anche prigionieri di guerra, avversari politici da tutta la Jugoslavia, partigiani e detenuti costretti ai lavori forzati.
La macabra e pronta efficienza di Staro Sajmište fu testimoniata anche dall’arrivo al campo, in concomitanza con le prime discussioni dei vertici berlinesi sulla soluzione finale, di uno dei primi camion attrezzati per la “gassazione”. Nel maggio del 1944 il campo venne ceduto dai nazisti al diretto controllo delle autorità dell’NDH, e durante l’estate di quell’anno fu definitivamente abbandonato. Abbandono che si è protratto dalla fine della guerra e per tutti i decenni successivi – anche nella Jugoslavia di Tito, salvo talune commemorazioni della Lotta popolare di liberazione – fino ai nostri giorni, nonostante nel 1987 il sito sia stato dichiarato patrimonio culturale.
Resta infine da segnalare che negli ultimi anni una parte del complesso è stata ceduta o affittata a società private che hanno aperto al suo interno ristoranti, locali e palestre. In merito allo stato di abbandono del sito, Vladimir Kovačević, alla guida del partito Nova Stranka, ha reso note le proprie perplessità: secondo Kovačevićm l’opera di ristrutturazione del campo di Staro Sajmište sarebbe dovuta iniziare molto tempo fa, e decisamente prima del controverso progetto tuttora in essere “Beograd na vodi” .
Le condizioni del campo
Al netto di ogni strumentalizzazione e polemica, nella speranza di un rilancio effettivo del sito grazie alla sopracitata legge, e fermo restando l’importanza imprescindibile della memoria e della sua conservazione, il campo di Staro Sajmište è finora rimasto, parafrasando Primo Levi, nella “zona grigia” degli orrori della Shoah. Sebbene si trovi nel centro di Belgrado, esso rimane poco accessibile, poco visibile e poco noto, al punto che molti belgradesi non ne conoscono nemmeno la storia; anche le guide della capitale serba generalmente non forniscono alcune indicazioni a riguardo e i turisti spesso visitano la città ignorando l’esistenza di un luogo così importante, eppure senza memoria.
A questo anonimato storico contribuisce sicuramente l’assenza a Staro Sajmište di forni crematori, torrette, fili spinati elettrificati e “Arbeit macht frei” sui cancelli. Eppure esso è stato a tutti gli effetti un vero e proprio lager, dove tra il 1941 e il 1944 furono internate decine di migliaia (secondo le stime ufficiali della Jugoslavia socialista) di persone tra ebrei, rom, serbi e oppositori politici di ogni nazionalità.
La memoria a Staro Sajmište
Come ha scritto il giornalista serbo Veran Matić, direttore e caporedattore di B92, “i luoghi [della memoria] devono riflettere il rispetto nei confronti delle vittime e [..] devono rimanere liberi da interessi politici o di altra natura. La posizione di Staro Sajmište e un Memoriale moderno, ben concepito e ben realizzato, un museo dei campi di sterminio e dei luoghi di esecuzione, un museo del Porajmos, possono costituire una grande acquisizione per Belgrado e per la Serbia nell’affrontare queste pagine nefaste del proprio passato, un luogo di tristezza e rispetto, di memoria e preghiera, di educazione e conoscenza” . Perché se comprendere è impossibile, conoscere è necessario. Sempre.
Foto: Djordje Vidojevic